Via Francigena

Via Francigena – Canterbury – Roma

copertina_smallQuesto “Diario di Pellegrinaggio” lungo un’antica via europea di pellegrinaggi da me vissuta  e qui descritta è idealmente dato, come traccia di pellegrinaggio a colui che, con le giuste motivazioni e con desiderio di conoscenza, si pone in cammino cercando, per quanto possibile, di osservare e di attenersi al “Decalogo” descritto nel capitolo 2, fonte certa di arricchimento spirituale e culturale qualunque sia il suo Cammino.

Sala Mauro
Novembre 2000 © Tutti i diritti riservati

Capitoli:

  1. Introduzione: Anno Santo Giubilare 2000 – Ripercorrendo la “Via Francigena” da Canterbury a Roma
  2. Al Pellegrino della “Via Francigena”
  3. Diario
  4. Cartina e tappe
  5. Fotografie

Introduzione: Anno Giubilare 2000 – Ripercorrendo la “Via Francigena” da Canterbury a Roma

Un Capodanno a casa di amici; è il 1996. Eugenio mi mostra il libro di Corbellini-Grazioli “La Via Francigena” di recente pubblicazione; un diario di viaggio sulle orme di un Vescovo sassone che ritornava a Canterbury da Roma dove aveva ricevuto l’investitura di Arcivescovo dal Papa Giovanni XV correndo l’anno 990. Ne resto avvinto; sono eventi che mi catturano l’animo ancor prima della mente che, notoriamente, essendo più razionale già rema all’indietro, tant’è che l’idea si deposita negli angoli della psiche dove vagola per i successivi 3 anni. Nel frattempo i pellegrinaggi compiuti a Santiago di Compostella mi hanno aperto nuovi orizzonti con un buon bagaglio di esperienze fatte direttamente sui Cammini di Francia e Spagna, cosi nell’inverno 1999 l’indizione dell’Anno Santo Giubilare 2000 fa saltare il tappo che teneva buono il desiderio di lanciarsi su questa Via.. Libri,guide, cartine,telefonate,Internet,andirivieni in librerie alla ricerca di ogni informazione utile; poi preparo una traccia del percorso con i relativi luoghi di sosta che in due mesi, partendo da Canterbury nella Contea del Kent in Inghilterra, mi consentirebbe di raggiungere Roma e la Cattedrale di San Pietro. Non vi è nulla di segnalato, mi dovrò affidare alle cartine ed alla bussola nei percorsi boschivi; i numeri telefonici ed i punti di sosta indicati sui libri potrebbero essere cambiati. però mi dico che i pellegrini di un tempo ne sapevano ancora meno e partivano lasciando le case le proprietà e gli affetti fidando nella Provvidenza ed armati solo della fede e di un bastone. Il 29 maggio 2000 parto da Milano in Pullman diretto alla volta della terra di Albione; un viaggio incredibile con contrattempi notevoli ed assurdi. Canterbury mi accoglie con una giornata di sole splendente, inusuale per quelle terre dove fra un acquazzone e l’altro piove. E’ una cittadina caratteristica ed incantevole; la Cattedrale dove si compì il martirio di Thomas Beckett è stupenda, un gioiello incastonato in una cittadina che le fa da degno corollario. Il giorno 01 di giugno mi incammino sui sentieri della North Downs Way nota anche come Pilgrims Way, sono 30 Km fra i campi, i prati ed i boschi verdissimi del Kent fino al porto di Dover sul Canale della Manica; un giorno con il tempo minaccioso e le nuvole nere come la pece sospese 30 m sopra la testa, poi la traversata in traghetto tranquilla ma con raffiche di pioggia che spazzano la coperta. Giunto a Calais tocco con mano la realtà di non riuscire a trovare un Abbè (Curato), a cui chiedere ospitalità per il tipo di accoglienza povera che vorrei avere lungo il cammino; non ci sono mai, hanno troppe Parrocchie a cui attendere e le chiese sono per la gran parte del tempo chiuse. Il giorno successivo, completo una bella tappa camminando per 20 km alla volta di Wissant sulla sabbia della spiaggia che la bassa marea lascia scoperta; il sole ed il vento, sottovalutati, mi procurano una arrostita oceanica color gambero tanto è vero che mi scambiano sempre per un tedesco! Le prime tappe mi riservano sorprese in tutti i sensi; il tempo che è oltremodo variabile (la Manica è vicina), ma anche le persone che mi accolgono nelle loro case sono estremamente gentili, e rimanendo sorpresi da questo pellegrinaggio, mi chiedono di fornire loro piu notizie possibili; in alcuni luoghi trovo tracce del passaggio di Corbellini & Co nei libri di dediche. Il paesaggio del Pas de Calais in cui mi inoltro è boscoso: diverrà una immensa piana coltivata nella Piccardia e più ancora nelle Champagne-Ardenne scendendo verso l’Haute-Marne e la Saône. Molti sono i sentieri in questi foreste che rimpiangerò poi, dovendo camminare su asfalto; giorni di pioggia intensa si alternano ad altri dove il sole cuoce il pellegrino. Una lunghissima ed antica Via Romana, ora asfaltata, corre per circa 60 Km fino ad Arras diritta come una fucilata; quando la imbocco a Thérouanne è con un senso di smarrimento: non se ne vede la fine! La percorrerò per due giorni; è la Chaussée Brunehaut. Ai suoi lati piccoli ed ordinatissimi cimiteri militari Alleati o Tedeschi della guerra del 15/18 si alternano; sembrano giardini, in realtà sono muti testimoni di ciò che può fare la violenza cieca e stolida dell’uomo. Arras è una stupenda città, la Petite-Place o Place des Heròs, e la Grand Place, sono circondate da case che sono gioielli dell’architettura Fiamminga del ‘700, più volte distrutte e poi ricostruite nel medesimo stile. Non trovo nessuno a cui accompagnarmi in questo pellegrinaggio; la solitudine è fedele compagna di ogni mio passo, non vi sono escursionisti, neppure semplici globetrotter sul cammino; occasionalmente nei villaggi ho modo di scambiare quattro chiacchiere, oppure alla sera nel luogo di sosta quando la conversazione si fa più consistente e varia, spaziando fra più argomenti. Attraverso la Foresta di St-Gobain, immensa e verdeggiante, arrivando a Laon che domina la pianura dall’alto di un plateau; è un’ altra città splendida la cui Cattedrale ha pochi rivali al mondo come bellezza. Qui non riuscendo a trovare alloggio nel raggio di 15 Km dalla città, affollatissima per la festa della Pentecoste, l’O.T della città si fa in quattro per trovare al pellegrino una sistemazione presso una famiglia, la Provvidenza è sempre all’opera nei riguardi del pellegrino bisognoso… Da questa località iniziano le grandi pianure che mi accolgono con i loro smisurati orizzonti e silenzi agricoli; campi di grano,mais,colza…..Solitarie “Ferme” indicano una presenza umana in un luogo altrimenti solo vegetale: se fermassi i miei passi potrei sentire l’erba crescere! Attraverso la grande Foresta di Vauclair, immenso polmone verde, che mi apre la strada verso Reims; altra città in cui i tesori artistici e la stupenda Cattedrale di Notre-Dame attirano migliaia di visitatori. All’indomani il mio percorso mi porta verso la Montagne de Reims attraversando gli estesissimi vigneti di tutte le più note case di Champagne che coprono le sue pendici, tenuti come giardini con i preziosissimi grappoli guardati a vista che forniranno in seguito il nettare degli Dei. Ma la mia meta è oltre la Montagne, è la Voie Romaine che comincia dopo Châlons-en-Champagne; è un sentiero diritto come una lama che attraversa l’immensa pianura come una ferita bianca, è tutto in terra battuta ed è bianco perché il suolo della Marne è gessoso. Lo percorrerò per due giorni per più di 60 Km non incontrando anima viva; solo enormi trattrici che pompano continuamente acqua per irrigare le coltivazioni punteggiano l’orizzonte. Nei piccolissimi villaggi in cui faccio tappa le persone sono curiose di sapere il perché della mia presenza e rimangono sorprese quando spiego questo  pellegrinaggio che terminerà a Roma; loro conoscono benissimo queste antiche Vie Romane ma non conoscono per nulla il Cammino della Via Francigena di Sigerico che passò in queste lande, ora spopolate, ma che ai tempi erano ricoperte da foreste immense. Queste informazioni che do loro, sono la costante di questo pellegrinaggio; sono un pellegrino, ma allo stesso tempo sono un apritore di vie obliate, un ricognitore che riapre a chi verrà dopo di me, luoghi e percorsi dimenticati dalla stessa gente del luogo. Le grandi Foreste di Clairvaux e di Châteauvillain mi avvicinano a Langres, città fortificata cinta da possenti mura in alto su di un plateau roccioso; non ho trovato alloggio in essa e diventerà la tappa più lunga del mio cammino, 53 Km per arrivare ad una Gîte d’etape che scoprirò poi, guardando il mappale catastale che lo stesso proprietario mi mostra, essere esattamente sul percorso di una Via Romana ancora acciottolata!Cammino sempre sui bordi delle dipartimentali ed i miei scarponi lamentano una usura notevole delle suole; fra le città di Langres e Besançon non vi sono possibilità di alloggiamenti e vengo ospitato in case private, non vogliono alcunchè come pagamento, solo lo spiegare il mio pellegrinaggio è ritenuto sufficiente ed appagante. Sono persone gentilissime e mi accorgo che sto accumulando dei debiti di riconoscenza impagabili verso di loro. L’attraversamento di Besançon, come del resto tutte le grandi città è sempre problematico; si piomba da minuscoli villaggi deserti, alle grandi metropoli dove il traffico è infernale, e si è costretti a camminare con i camion che sfrecciano a cinquanta centimetri di distanza: le preghiere salgono da sole alle labbra… Mi avvicino alla Svizzera ed altissime nuvole bianche mi avvisano che il tempo laggiù è oltremodo variabile; attraverso il profondissimo intaglio roccioso delle Gorges de Nouailles (nel Giura), di aspetto orrido e selvaggio: se non vi fosse lo stretto nastro di asfalto che taglia la roccia sui fianchi delle gole, potrebbe essere benissimo un paesaggio fermo al Giurassico e non mi stupirei di vedervi creature preistoriche! Con delle viste mozzafiato su questi profondissimi canyon, mi avvicino al Paese del cioccolato che mi accoglie con pioggia e vento, giusto per farmi sentire ancor più precaria la mia situazione di pellegrino. Ad Yverdon-les-Bains sul lago di Neuchâtel, e poi il lago Lemano a Losanna, mi accolgono però con una bella giornata di sole. Da Losanna fino a Vevey cammino sui bordi del lago, provocando uno stridente contrasto mescolandomi con i turisti d’alto bordo che ciondolano fra un caffè e gli Hotel a cinque stelle che qui prosperano. Ancora giorni di pioggia con la vista dei nevai, lassù in alto sulle cime; alle volte mi devo svestire e rivestire continuamente quando smette la pioggia e torna a splendere il sole. In queste valli che mi avvicinano al Passo del Gran San Bernardo, a causa del brutto tempo non ho la possibilità di percorrere intieramente il sentiero Napoleonico, ma solo un tratto di 2 Km fino all’Ospizio quando il sole me lo permette; alla sera però quasi a ricordarmi che si è a 2470m nevischia leggermente. Il rientro del pellegrino (come il figliol prodigo) in Italia, avviene in una giornata di sole meravigliosa scendendo ad Aosta sul bel sentiero del Tour des Combins; uno degli ultimi che potrò calcare prima di arrivare sui sentieri del Passo della Cisa. In Italia vengo accolto in tutte le Parrocchie a cui chiedo accoglienza; ne sono felice, anche se in talune si potrebbe fare qualcosa di più mentre in altre mi sono sentito come un principe. (Stupende comunità laiche, come ad Orio Litta e Senna Lodigiana, Altopascio, Ponte d’Arbia, Radicofani e Campagnano, fanno sentire al pellegrino la vera essenza della accoglienza e di come essere ospitalieri). Cammino quasi sempre su asfalto, e nel territorio da Viverone fino a Fornovo, devo pagare il tributo di sangue che le zanzare reclamano come dazio per il passaggio nei loro territori. Anche qui la strade sono fra le più pericolose, strette e percorse da un intenso traffico. Un ottimo sentiero segnalato mi porta da Berceto fino in alto al monte Valoria, al Passo della Cisa; poi Lucca, Siena, Altopascio, con tappe e paesaggi favolosi; Radicofani, Acquapendente e Montefiascone, paesini meravigliosi arroccati in alto a dei cocuzzoli: quanto sudore per arrivarci! Ma poi scoprire la gentilezza dei loro abitanti nei confronti del pellegrino, era una cosa che allargava il cuore. La Via Cassia mi porta nel Lazio dove una tappa molto dura a San Martino al Cimino si conclude trovando il Convento di S.Angelo che non fa accoglienza, per cui devo scendere a Cura di Vetralla ed essere accolto in Parrocchia. A Sutri ammiro gli splendidi ruderi dell’Anfiteatro Romano, giungendo poi a Campagnano; dopodiché, la Cassia diventa una superstrada a cui porre la più grande attenzione durante il cammino. Giungo a Monte Mario, da dove scorgo con comprensibile emozione il “Cupolone” della Cattedrale di San Pietro, che raggiungo a rotta di collo assieme ad un pellegrino di Verona incontrato a Campagnano dopo 55 giorni di solitudine. Ora è tutto alle spalle, Roma mi accoglie in una giornata di sole abbacinante; varco la Porta Santa e mi reco alla tomba dell’Apostolo Pietro così come fece oltre 1000 anni fa Sigerico, suggellando un pellegrinaggio di 1800 Km che ha permesso a me, come spero a molti altri in un prossimo futuro, di riscoprire i tracciati che più di dieci secoli fa portavano migliaia di persone, nobili o plebei, commercianti o pellegrini, santi o malfattori, a Roma e che era nota come la Via dei Franchi perché proveniente dalla Francia. Un immenso reticolo di strade, che ora, percorse da pellegrini di ogni Nazione, solitari od in gruppo, da questo anno Giubilare diventerà ancor più la “ Via Francigena “.

Sala Mauro

Al Pellegrino della Via Francigena

  1. Considera che migliaia di pellegrini di ogni classe e condizione hanno percorso il tuo stesso cammino durante secoli. Anche tu calpesterai le loro orme, e dopo di te altri faranno lo stesso cammino, fai parte di una lunga Storia!
  2. Cammina con un bagaglio leggero, uno zaino ed una borraccia bastano, così nella vita, poche cose sono necessarie e solamente alcune sono imprescindibili.
  3. Passa da ostello a ostello senza pregiudizi né preconcetti, ricevi con umiltà l’ospitalità, lasciati accogliere senza esigenze e pratica la nobile virtù della riconoscenza ed il saluto cordiale, il rispetto, porta con gioia la tua precarietà.
  4. Sperimenta con tutta la tua anima ed in tutto il tuo corpo come, andando, si fa cammino. Che la stanchezza di ogni giorno non ti privi della gioia intima di sentirti pellegrino, il cammino ti affatica, però il tuo spirito si rinvigorisce.
  5. E così scopri come, facendo il cammino, il cammino ti forma, perché mai si cammina invano. Tu sei anche il cammino che fai!
  6. Ricorda che è durante il cammino che avviene l’insolito ed il salvifico! “Gesù andava ad un paese chiamato Nain…” “Scese a Cafarnao” “Attraversava alcuni campi seminati” “Di ritorno dal fiume Giordano entrò in un villaggio” “Scendendo dal monte si fermò in un posto piano” “Gesù in persona si avvicinò e si mise a camminare con loro…” Per questo ha potuto dire con verità: “Io sono il Cammino.”
  7. Sai che il pellegrino non è un turista né un vacanziere, sai che essere pellegrino è simboleggiare la tua uscita di casa, guarda che non si ritorna come si è usciti! E’ la tua propria anima che cammina.
  8. Cammina con gli occhi ben aperti pronti alla sorpresa ed alla ammirazione del mondo che percorri, allora non avere fretta, gioisci con il camminare, non affrettare i tuoi passi, non agitarti, tranquillizzati e prega.
  9. Se fate il cammino assieme, fatelo tollerabile, canta e rendi felici i passi dei tuoi compagni, rendi facile il camminare insieme, forse puoi fare nuove amicizie, consolidare quelle iniziate, rafforza i legami di amicizia.
  10. Visita con devozione i santuari del Cammino di Santiago indicati durante il percorso, cerca le vestigia del percorso, avvicinati al cimitero, al mercato ed alla piazza del paese, osserva gli usi locali, i monumenti, conosci la sua storia, le sue leggende, le sue tradizioni, prova la sua acqua, il suo vino ed il suo pane, conversa con la gente del posto, il pellegrinaggio è anche culturale, letterario, artistico, musicale, folclorico e gastronomico.
  11. Cerca per quanto possibile di seguire i vecchi cammini del pellegrinaggio: Attraversare quel vecchio ponte, riposare ai piedi di quella croce, bere a quella fontana, scendere al fiume, ascendere a quella chiesetta… e praticare i riti propri del pellegrino.
  12. Pensa infine, se tutto quello che stai sperimentando nel cammino non è in fondo se non una chiamata di Dio che ti invita a seguirlo per il “Gran Cammino”, quello della Vita…

ed ogni mattina recita al cominciare il cammino:

HERRU SANCTIAGU
GOT SANCTIAGU
ULTREYA E SUSEYA
DEUS ADIUVA NOS
ALLELUYA
conchiglia1

Diario

“Camminavo a sinistra” – Pellegrino sulla Via Francigena da Canterbury a Roma

Lunedì 29, Martedì 30 Maggio 2000: viaggio da Milano a Canterbury by bus

Il pomeriggio è assolato ed il treno che mi allontanerà da tutto ciò che mi è familiare tarda a cigolare; dalla banchina una voce mi scuote: “Mauro stai partendo?” è Paolo, un caro amico di ritorno con la moglie dalla zona di S.Quirico d’Orcia dove ha compiuto un breve pellegrinaggio; con un tuffo al cuore penso a quella cittadina che forse, a Dio piacendo, vedrò fra cinquanta giorni! Sono contento di averlo rivisto, so quanto desideri essere anche lui su questo cammino, ma per ora non gli è possibile calcare questa “Via Francigena” sulla quale mi accingo a posare i miei primi passi. Giovanna ed Alice mi accompagnano a Milano dove salirò sul pullman che mi porterà al di là della Manica, a Dover. Il Pullman Eurolines che arriva da Bologna è in orario, vi sono poche persone a bordo; alla reception dicono che è un giorno infrasettimanale e di bassa stagione altrimenti sarebbe completo in ogni ordine di posti. Alle 19 parte ma dopo 500 mt sbaglia un rondò e perde tempo per ritrovare il percorso giusto; appena fuori città si ferma per una sosta, non capisco se prevista o meno, ripartendo poi per Torino. Vi arriviamo che è già buio e qui il conducente, che evidentemente è nuovo su questa linea, sbaglia strada in piena città e perdiamo più di un’ora prima di arrivare alla fermata dove ci attendono due extracomunitari; si riparte velocemente ed a Chambery si cambia bus ed autista, ma evidentemente è una giornata storta ed a causa di code ed incidenti sulle strade verso Parigi accumuliamo più di due ore di ritardo sulla tabella di marcia. A Parigi nuovo cambio di bus ed autista e dopo altre soste arriviamo a Calais alle16 (il programma prevedeva di essere a Dover alle 14,15!), ma è un viaggio cominciato male ed a Calais i traghetti sono in sciopero. Ci avviamo all’Eurotunnel; qui i documenti non vanno bene (sono per il traghetto via mare) e ci si riporta a Calais per il cambio documenti ma poi ritornati all’Eurotunnel anche qui sono entrati in sciopero! Il nostro imbarco è previsto per le 20,45 ed al controllo doganale, visto che ad un bus proveniente dall’Olanda avevano requisito droga, ci ispezionano per benino. Sul pullman ho trovato, provenienti da Bologna, due bikers che faranno la Via Francigena in bicicletta e cosi si ha modo di scambiarsi notizie e impressioni su questo pellegrinaggio; i loro nomi sono Luigi ed Angelo. Ci si imbarca sul convoglio per l’Eurotunnel alle 20,45 infilandoci al disotto della Manica, ed io che volevo vedere le bianche scogliere di Dover! Pazienza, sarà per l’indomani sempre che il tempo ed il mare siano di buonumore.Dopo essere scesi dalla navetta ripartiamo per Dover dove si arriva alle 22 (qui sono le 21 ora locale), mi dirigo alla bus-station per il ticket (costo 3 sterline) e dopo 15 minuti sono a bordo di un bus rosso fiammante che guidando a sinistra della strada, fila come uno Spitfire verso Canterbury, dove giungo alle 21,30. Già comincia ad imbrunire e con la cartina alla mano cerco la via dove è situato il mio piccolo albergo facendo un largo giro attorno alla Cattedrale; l’illuminazione fornita da lampioncini però è fioca, come si addice ad una cittadina di case antiche e caratteristiche, per cui ho difficoltà a leggere i nomi delle vie sulla cartina. Come Dio vuole arrivo da Kipps alle 22,10 (poco fuori la zona centrale) atteso dal proprietario che mi porta subito alla mia cameretta; fanno 35 sterline invece di 30, forse il riscaldamento? Comunque mi sistemo bene e penso a Stephane che mi attendeva fra le 18,30/19 davanti alla Cattedrale; ritornerà forse domani se potrà. Come premio per l’inusitato e tribolato viaggio mi preparo nella ben attrezzata cucina un piatto di fusilli ai funghi, e mentre fuori il tempo è sul nuvoloso-ventoso, alle 23,30 mi infilo nel lettino sperando che il domani, giorno dedicato alla visita di Canterbury e della sua Cattedrale, sia più fortunato e premiato dal sole.

31-05-00: Mercoledì, Tour di Canterbury e della Cattedrale

Ho dormito bene in questa minuscola ma accogliente cameretta, i termosifoni sono ancora tiepidi ed i vetri delle finestre hanno un lieve velo di vapore che si sta dissolvendo seguendo il sorgere del sole. Il mio primo risveglio sul suolo inglese è alle 7,30 ed il tempo sembra volgere al bello adeguandosi alle mie preghiere; l’aria è ancora frizzante quando alle 8 mi dirigo in pantaloni corti e sandali verso il centro della bella cittadina. Vi sono già frotte di turisti che si dirigono verso la piazzetta ed io da buon turista, quale oggi sono, mi infilo in un bar per una doverosa colazione: milk and coffee e dei piccoli croissant sono sufficienti per affrontare la giornata. Restando in contemplazione dello stupendo portale che immette nell’ampio sagrato dove è la Cattedrale, ne attendo l’apertura, poi pago il ticket (3 sterline) e mi inoltro verso l’imponente costruzione. Inondata di sole è grandiosa e la sua imponenza mi lascia attonito, così come l’alone di fascino e leggenda che fluisce da queste antiche pietre mi riporta alla Storia di cui è intrisa profondamente, ed ancor più ai terribili avvenimenti di cui furono protagonisti il Re Enrico II e l’Arcivescovo Thomas Becket.

Qui venne S.Agostino, fondando una delle prime Abbazie Benedettine sul suolo inglese, e trovarmi ora all’interno di queste mura… è come una sensazione, mi sento come un eletto essere ammesso al loro interno…. avvolto ed immerso nella loro Storia. Il luogo dove l’ Arcivescovo Thomas Becket venne colpito a morte è lì davanti a me ed un cero, perennemente acceso posato sul nudo pavimento, sta ad imperitura testimonianza di ciò ed a cosa può portare una Fede cristallina ed incrollabile. Assisto alla S. Messa con altri fedeli in questa Basilica Anglicana ma non mi sento estraneo ed al termine il prelato, vedendomi la conchiglia al collo, mi augura buon cammino. Passeggio fra chiostri, cripte, scalinate e corridoi con il naso per aria ammirando tutte le sculture e le belle volte decorate, e quando risorgo all’esterno un sole caldissimo mi accoglie. Sono con Angelo e Luigi che mi hanno ritrovato all’interno della Cattedrale ed all’information-point li aiuto per avere una sorta di Credenziale su cui apporre i timbri durante il loro viaggio alla volta di Roma; qui non ne hanno, e neppure sanno a cosa può servire, il pellegrino è ancora cosa rara da queste parti…Scattiamo alcune foto all’esterno della Cattedrale per ricordo e poi, salutandomi, ripartono alla volta di Dover; non faranno la North Downs Way ma prenderanno la A2; dovranno stare ben attenti a pedalare a sinistra mi dicono ridendo!

Ritorno da Kipps per mettermi pantaloni lunghi ed il pile, tira un’aria fredda adesso poichè le nuvole scorrazzano veloci sopra il Kent; al pomeriggio presso l’information-point una commessa che parla spagnolo mi indirizza ad una libreria dove posso acquistare una cartina dell’East Kent molto dettagliata (1:50000), trovandovi ben delineata la North Downs Way con tutti i villaggi di cui ero a conoscenza lungo il percorso, è della Ordnance Survey e costa 5 sterline; poi in un negozio poco fuori dal centro acquisto viveri e bevande per la cena e per il giorno dopo e, ritornando ancora una volta davanti alla Cattedrale, mi accingo ad attendere Stephane. Ora fa veramente fresco e quando arriva, alle 19, ci si rifugia in un pub per una buona birra ed infine alle 20 in un piccolo restaurant per la doverosa cena tirando tardi davanti ad una gustosa bistecca con patatine fritte. Sono quasi le 23 quando mi riaccompagna da Kipps con la sua Panda sgommando fra le oramai vuote e semibuie vie di una Canterbury deserta e freddolosa spazzata da un gelido vento che non lascia ben sperare per il meteo di domani…

01-06-00: Giovedì, Canterbury – Dover-Calais by ferry. 30 Km. 7 h + 1h,30 Ferry

La sveglia è alle 5,30, ora inglese, ed in cucina mi preparo la colazione con latte e biscotti mentre tutti dormono ancora, poi riordino e quando lascio Kipps sono le 7, orientandomi velocemente con la cartina (che si rivela preziosissima) per uscire dalla città. Vi è già un bel movimento di macchine nelle vie della cittadina ed all’angolo della strada un ufficio postale, a differenza dell’Italia, è già aperto e spedisco delle cartoline; il tempo è brutto, il cielo è li sopra di me, sembra sospeso a 10m e le nuvole che sono di colore grigio tendente al nero non si muovono per nulla. Uscendo dalla città trovo le indicazioni per la Pilgrim’s Way che mi portano nei sobborghi e poco più oltre, ecco le prime indicazioni per la North Downs Way con frecce di direzione e piccoli rettangolini affissi su pali di legno, per cui mi inoltro verso i campi fiducioso. Poco dopo la Hode Farm ho un piccolo intoppo, vi è un bivio, ma il segnale non c’è ed un provvidenziale gentleman mi indirizza al meglio; poi le frecce e le piccole etichette mi avviano decisamente per i campi, dove mi inoltro in una traccia lasciata libera dalle coltivazioni; noto però che, se piovesse, sarebbe un disastro poichè il fango la farebbe da padrone. Ora le segnalazioni mi portano verso la A2 che costeggio, attraversando boschetti e tracce di sentiero con erba alta; i miei pantaloni sono già bagnati fino al ginocchio così come le pedule, però entrambi questi articoli si rivelano perfetti ed assolvono egregiamente al loro compito. Vengo ora indirizzato verso una recinzione che scavalco con l’aiuto di una piccola scaletta li presente inoltrandomi nell’erba altissima; c’è una esilissima traccia che sembra porti all’estremità dell’estensione d’erba, sul lato opposto, dove mi sembra di scorgere ora un’altra scaletta, così è effettivamente e ne sono rinfrancato; il cielo sembra sempre ingessato e non una nuvola si muove; spero che non sia la calma che precede la tempesta, poichè ieri in città, mi avevano detto che la settimana prima vi era stato un fortunale di vento ed acqua che aveva spazzato tutta la zona per un giorno intero. Passo accanto a dei Tumuli, resti di antichi cimiteri; sono proprio in stile Old English! Arrivo nei pressi di Womenswold dopo aver attraversato un’altra recinzione, al cui interno pascolavano mucche dall’aria sdegnosa: difatti sono stato ignorato con sufficienza inglese; qui vi è un Hotel molto bello in un parco di piante di alto fusto, e la North Downs Way passa proprio al suo interno (solo passaggio pedonale). Giungo ad attraversare un altro vecchissimo cimitero le cui tombe sono tutte sottosopra, con le pietre tombali divelte e rovesciate da ogni parte, le date scolpite sopra alcune di esse sono di parecchi secoli fa; vi è anche una piccola Cappella ed un boschetto, ma è tutto in disordine e cadente con erbacce che invadono tutto. Attraverso un piccolo ponticello coperto arrivando nei pressi di Sheperdswell che aggiro tenendomi sul sentiero, senza entrare nel villaggio; poco dopo passo sopra un ponte la A256 nei pressi della Minacre Farm, attraverso Couldred Court e, sempre fra i campi coltivati, arrivo ad Ashley dove il sentiero compie una curva di 90° a destra, dirigendosi verso la Maydensole Farm. Il tempo tiene, anzi, sembra che un debole chiarore filtri fra le nuvole, mentre una leggera brezza fa ondeggiare l’erba alta, sarebbe una bellissima tappa con il sole splendente; gli alberi, le distese d’erba ed i campi coltivati formano un paesaggio che è mortificato da questa giornata plumbea che avvolge la Contea di Kent, però oggi mi devo accontentare, e devo dire che mi va bene visto che, per ora, non ha stillato una sola goccia di pioggia. Dopo Ashley prendo i segnali della White Cliff Country Trail, della Roman Road e della North Downs Way, poiché essi portano tutti a Dover. Poco dopo Pineham attraverso su di un ponte la A2 e più avanti, con una lunga discesa, entro nei primi sobborghi di Dover; qui devo chiedere indicazioni per indirizzarmi verso il Canale, vi sono dei valloncelli e non possedendo una mappa della città, rischio di fare dei giri oziosi e delle salite non gradite; vengo indirizzato al meglio, e dopo 30 minuti sono in vista del pontile. Sono le 14, sono stato veloce ed il tempo è stato clemente; là in fondo sopra il Canale qualche raggio di sole illumina dei fazzoletti di mare: il Canale della Manica è lì davanti a me, mentre i ferry della P&O Stena Line mi appaiono giganteschi. Mi procuro il biglietto per l’imbarco (24 sterline), ed alle 14,30 il ferry si stacca dalla banchina dirigendosi verso la costa francese. Salgo in coperta per le doverose foto alle bianche scogliere, soggetto di tanta letteratura, guerresca e non, ma non vi è il sole ad illuminarle, anzi una leggera pioggia ed un vento sferzante mi obbligano, poco dopo, a ritirarmi in un salone sottocoperta con tutti gli altri passeggeri; la traversata è ottima, non vi sono problemi e quando si attracca a Calais sono le 17, ora continentale. Il tempo è ora soleggiato, e mi dirigo verso la Cattedrale di Notre Dame per chiedere accoglienza all’Abbè; qui però è tutto chiuso e delle persone gentili a cui chiedo informazioni mi spiegano che non abita qui e che anche la Paroisse è chiusa; mi dirigo allora verso il Centre Européen de Sejour, Auberge de la Jeunesse, che si trova vicino alla spiaggia ed è anche sul percorso di domani, ma è fuori dal centro città; pazienza! Altri km da percorrere, e poi eccolo lì, è una bella e moderna costruzione ed hanno delle camere libere al costo di 78 FF con la colazione; una buona doccia ed il primo bucato, poi scendo al self-service per la cena,70 FF, tutto ottimo ed abbondante, però il budget è gia sforato. Comunque oggi è stata una tappa importante, in una giornata che si preannunciava male ma terminata ottimamente, non sono stanco, e questo mi è di conforto per il prosieguo del cammino. Domani mi incamminerò verso Wissant, sulla GR du Littoral che costeggia per gran parte il Canale della Manica; spero ardentemente che il sole mi sia amico e compagno di cammino!!.

02-06-00: Venerdì. Calais – St-Inglevert (Wissant). 23 Km 6, 30h

Alle 05 sento che si apre la porta della camera ed un extracomunitario prende posto sull’altro letto, dato la camera ha due posti e può darsi che l’Auberge sia al completo; poco male, ma sono un poco contrariato perché stavo dormendo bene e vengo svegliato nel cuor della notte! Comunque alle 6,30 prendo lo zaino e scendo per la colazione, che anche qui è ottima ed abbondante; fuori il tempo è sul bello, ed un sole limpido si fa strada fra piccole nuvole bianche mosse da una leggera brezza. Lascio Calais dirigendomi alla spiaggia, ed approfittando della bassa marea che lascia scoperto un largo tratto di sabbia, percorro così più di 6 Km in riva al mare; poi risalgo le dune che conservano ancora i bunker tedeschi di guardia alla costa dirigendomi ad un punto panoramico dove sorge il monumento a H.Latham, un pioniere trasvolatore della Manica ai tempi eroici del volo; qui mi fermo circa quindici minuti per uno spuntino mentre numerose persone si dirigono ai bordi della scogliera più avanti. Riprendo il cammino sulla dipartimentale dirigendomi verso Cap Blanc Nez la cui alta stele già vedo da lontano; c’è da salire un discreto pendio per arrivarci ma vi è un panorama da ammirare che è stupendo, oltre alla stele vi è una tavola di orientamento, mentre il mare è più sotto a 130 mt e le persone che passeggiano sulla spiaggia assomigliano a puntolini colorati. E’ un posto molto panoramico, per cui molte persone scendono o salgono per gli ampi pratoni verso questo balcone naturale, da cui, parecchi animosi si lanciano, cimentandosi con il parapendio. Il sole ora è alto e la giornata è più che magnifica (mi accorgerò poi che ho sottovalutato questo sole ben ventilato!). Discendo rapidamente il pendio e mi inoltro di nuovo sulla spiaggia, la GR du Littoral corre su in alto ma qui è più bello potendo camminare sulla sabbia dura, dove alle volte si affonda leggermente, è gratificante, ma un poco faticoso poichè con lo zaino supero bene i 92 Kg. Il via vai di persone che percorrono questa spiaggia frugando nella sabbia è intenso, e due di loro incrociandomi si avvicinano, ed indicando la mia piccola conchiglia al collo, mi chiedono se sto andando a St-Jacques de Compostelle; spiego loro che ci sono già stato due volte e che sto iniziando un pellegrinaggio che ha per meta Roma, sono stupiti e mi chiedono notizie su questa “Via Francigena”, loro sono stati a St-Jacques l’anno scorso e ne sono stati entusiasti; poi proseguendo nella loro passeggiata, mi augurano buon cammino salutandomi. Mi dirigo verso Wissant, le cui bianche case ancora lontane sono rese abbacinanti dal sole che splende e sempre camminando sulla spiaggia vi arrivo alle 12 dirigendomi subito all’Office du Tourisme: qui però ho una delle prime sorprese che il cammino mi riserverà. Wissant è una rinomata e ben quotata località di villeggiatura e, sia qui che nelle immediate vicinanze, Les Virmetz o Sombre, non vi sono posti disponibili; sono esterrefatto ma effettivamente vi sono moltissime persone che passeggiano ed anche molti camper e roulottes parcheggiate; mi suggeriscono di recarmi a St-Inglevert dandomi un numero telefonico che si rivela utile, là mi rispondono che hanno due camere libere, però la località si trova a 6 Km da qui ma è sul percorso, per cui domani ne avrò di meno da percorrere. Lascio la GR du Littoral e mi avvio sulla D 244 iniziando il cammino sulle strade asfaltate, arrivando a St-Inglevert alle13,30; dove alla periferia Est del villaggio, vicino al piccolo campo di aviazione, trovo la casa, bella e ricoperta da foglie di vite canadese. La camera costa però 250FF ed alla mia sorpresa mi spiegano che vi è un’altra camera ma è senza doccia e piccolina, accetto la prima e qui i Mrs Stevenard venendo a conoscenza che sto iniziando un pellegrinaggio verso Roma, mi offrono la cena gratuitamente, (un piccolo segno della Provvidenza..). Sono sistemato comodamente e posso lavare e far asciugare tutto il bucato dato il sole cocente e la bella brezza, dopo un buon sonnellino M. Stevenard mi tiene compagnia in giardino mentre compilo il diario; esco poi più tardi per visitare il villaggio e la sua Chiesa del XIII sec. Sedendomi su una panchina davanti alla Mairie, attendo che l’Abbè termini di officiare due funerali ma poi al termine egli, molto sbrigativamente, mi dice che il timbro da apporre sulla credenziale non è qui, ma a Marquise dove ha sede la Parrocchia, e non può fare nulla, non si interessa minimamente ne di me ne del pellegrinaggio, sono un poco deluso ma ero preparato a questa eventualità ed a questo sgradito disinteresse. Ritorno presso M. Stevenard dove Madame, a cui avevo chiesto di comprarmi della frutta a Marquise è ritornata e ha già preparato per la cena, sono cortesissimi e mi sommergono cordialmente di domande circa questo pellegrinaggio per loro nuovo, per cui, rispondendo a tutte le loro domande capisco, che è un modo per sdebitarmi, trovandoli molto interessati sia al percorso sia al contesto in cui si sviluppa. Sono contenti di conoscere tutte queste notizie e mi riprometto di inviare loro una copia del libro di Corbellini. La cena si svolge ottimamente con i prodotti della loro terra e delle loro vigne, anche la torta è di loro produzione accompagnata da un ottimo vino bianco spumeggiante. Cosa dire? Piccoli miracoli… il Cammino è già iniziato…!

03-06-00: Sabato, St-Inglevert – Licques 27 Km 7 h

Una buona dormita, ma la notte è stata fredda, e vi sono ancora i vetri delle finestre coperti di vapore quando alle 7 prendo la colazione con M e Madame Stevenard; caffè latte e marmellate di loro produzione. Il tempo è incerto e grigio quando alle 7,20 saluto questa gentile famiglia e prendo la D244; il Canale è ancora troppo vicino e la situazione meteo è estremamente mutevole. Mi incammino sulla strada deserta raggiungendo il piccolo villaggio di Pihem lès Guînes, poi arrivo a l’Ermitage, non proseguo per Guînes, ma prendo la variante che mi porterà sulla GR128. Proseguendo sulla dipartimentale, all’altezza di un viale alberato che porta ad una villa sulla destra fra degli alberi, trovo il sentiero della GR120 che viene da sinistra, ed il sentiero non segnalato che si inoltra a destra, deve necessariamente essere, secondo la cartina, il suo seguito che diventa la GR128; mi inoltro decisamente e dopo 1 Km mi porta su una dipartimentale, la D231; ritorno a destra per 500m sottopassando la linea del TGV, per poi immettermi di nuovo a sinistra nella GR128 che si infila nella foresta. Non è ben chiara la segnaletica, a volte è segnalata come “pista equestre” e come tale si dimostra nei fatti, estremamente fangosa perché percorsa soprattutto dagli equini. Effettivamente non vi sono tracce di scarponi, ed alle volte non è possibile uscire dal sentiero perché il sottobosco è troppo fitto di arbusti per cui bisogna sondare il terreno su cui posare il piede. I sentieri si succedono intersecandosi fra loro e prendendo nomi diversi per cui bisogna lavorare con la bussola cercando di non perdere l’orientamento; la segnaletica è carente ed alle volte per evitare tratti di fango, bisogna deviare nella boscaglia ai lati per decine di metri, tutto ciò è estremamente faticoso e snervante, è un percorso da evitare assolutamente in caso di pioggia preferendo ad esso la dipartimentale fino a Guînes e poi prendere la D215 fino a Licques, io ormai ci sono dentro e di sicuro non torno indietro. La bussola mi è di grande aiuto poichè la GR ad un certo punto, compie un anello tornando al punto di partenza, per cui nei pressi di Le Mat esco dalla GR128 e, prendendo un viottolo in mezzo ai campi, raggiungo la D191 che seguo fino ad Hermelinghem e poi vedendo che la segnaletica è pessima ed i sentieri troppi da decifrare, procedo sempre sulla D191 per Alembon, Sanghen ed infine verso Licques allungando il percorso di 3 Km circa. Ora però comincia a piovere e sono fortunato ad essere sull’asfalto: in fretta metto il coprizaino ed apro l’ombrello rimanendo però in canotta e pantaloncini corti per evitare di sudare, una fitta al calcagno destro mi rallenta un poco, ma è cosa leggera; adesso piove bene ed il cielo è tutto coperto mentre entro a Licques alle14,30: Vi è una Gite Rural subito dopo la curva che porta nel villaggio, ma ai miei richiami non risponde nessuno per cui procedo verso la Chiesa più avanti nella piazza. All’interno vi è l’Abbè che sta dirigendo un coro di ragazzini aiutato da due signore, attendo 15 minuti e poi visto che nessuno mi si avvicina, chiedo a una delle due di poter parlare con l’Abbè e mostro loro le credenziali e la lettera di Don Luigi, costei parla con un’altra signora che sussurra qualcosa all’Abbè ma non succede nulla continuando loro a disporre fiori e candele senza neanche avvicinarmi; attendo in disparte per altri 35 minuti, poi quando vedo che l’Abbè fa la voce grossa con un ragazzino del coretto, mi carico di nuovo lo zaino sulle spalle ed esco senza più girarmi indietro: se questi sono i pastori della Chiesa, non posso attendermi niente di buono lungo il cammino dato che, chi dovrebbe accogliere, non fa neanche un gesto sia pure di cortesia, e rimango ancora deluso da questo secondo contatto con gli Abbè. Procedo lungo la via e dei ragazzi a cui chiedo se vi è qualche alloggio nel villaggio, mi indirizzano ad una Gite Rural che si trova in fondo al paese; quando busso, una giovane donna esce per dirmi che è una Gite per gruppi e che sono già al completo, però si vede che non se la sente di mandarmi via, poi con suo marito mi invita ad entrare quando dico loro che sono un pellegrino italiano diretto a Roma. M e Madame Hennuyer mi fanno posto a tavola con tutti i loro parenti e mi portano cibo e vino chiedendomi di metterli al corrente di questa “Via Francigena” che passa per il loro villaggio; così tra un boccone e l’altro, mostro loro la Guida, le Credenziali e la lettera di Don Luigi; sono cordialissimi e parliamo poi di tutto restando a tavola per 3 ore circa, poi M.Hennuyer mi accompagna ad una bella camera e mi dice di sistemarmi al meglio poichè mi dà tutto ciò gratuitamente, con la sola richiesta di pregare per loro e per il piccolo Emile loro figlio una volta giunto a Roma. Sono particolarmente commosso da ciò: prima l’Abbè che mi ignora, e poi questa famiglia che mi accoglie alla sua tavola e nella sua casa a titolo gratuito senza neanche conoscermi, questa è la mano della Provvidenza mi dico in cuor mio sapendo di essere nel vero. Dopo aver fatto la doccia e sistemato lo zaino, esco a fare le compere per la tappa di domani, e nel negozio di una fioraia, scelgo un bel vaso di fiori da consegnare loro il giorno dopo quando io sarò già partito: mi sembra il minimo che possa fare per questa gentilissima famiglia, visto che non hanno voluto assolutamente nulla.

Domani andrò a Therouanne alla Gite de France di Mme Dewilde; mi costerà 160FF, il mio unico desiderio è che sia una giornata di sole e trovarmi poi presso persone cortesi.

04-06-00: Domenica, Licques – Thérouanne. 33 Km 9 h

Parto al mattino alle 6,30; nello zaino ho le provviste per la tappa: frutta, una baguette, una bottiglia di Coca-Cola e 2 etti di salame, credo che pesi all’incirca 13 Kg; sono parecchi e li sento tutti non avendo ancora fatto l’abitudine ad averlo sulle spalle tutti i giorni, penso proprio che ci vorrà ancora parecchio per sentirlo più leggero. Esco da Licques prendendo la D191, attraverso Le Breuil arrivando a La Quingoie, poi Hauteville ed infine Journy; il tempo volge al bello, c’è una leggera brezza e grossi fiocchi di candide nuvole si inseguono mollemente, scomponendosi e ricomponendosi in un gioco senza fine nel cielo azzurrino; qui la campagna è vasta ma non ha ancora gli orizzonti illimitati che troverò fra alcuni giorni, difatti alla mia destra, vi è una linea di colline boscose che limitano il panorama. A Journy trovo i primi problemini con i crocicchi di strade senza segnaletica per cui bisogna chiedere alle persone del posto la direzione giusta per non fare giri oziosi; tengo la direzione di Alquines sempre sulla D191, ed appena fuori dall’abitato vado a sinistra per Le Buisson lasciando la D191; giunto a questo hameau di poche case, sulla destra della strada vi è una grossa croce di ferro tubolare circondata da alberi, e prendendo il viottolo che si diparte alla sua destra, mi inoltro per circa 300m; poi rasentando una recinzione dove brucano capre e pecore, prendo un altro sentiero subito a sinistra. Proseguo cosi su una strada bianca per circa 2 Km ed al suo termine, in fondo ad un valloncello, vi è un quadrivio dove prendo il sentiero che, dipartendosi a destra, in salita ed in direzione E.S.E, mi conduce a Bouvelinghem e da qui sulla D208 verso Westbecourt e successivamente ad Aquin-Westbecourt. Camminare su queste Dipartimentali è come camminare su un sentiero perché l’erba che cresce ai lati è tenuta ben rasata, ed ha il fondo piano e sufficientemente largo per cui, camminarci sopra è come camminare su un qualsiasi sentiero di campagna, se non ci fossero delle rare vetture a rammentarti di essere su di una strada aperta al traffico. Appena fuori l’abitato di Aquin-Westbecourt, ad un bel crocicchio di strade, prendo per 30m la direzione di Quincamp (sulla cartina non è segnalato) e poi a sinistra per E.S.E verso la D225 (tengo comunque sempre d’occhio la bussola per maggior tranquillità), dopo aver sottopassato la N42, entro nell’abitato di Lumbres passando davanti alla sua Chiesa e continuando diritto, giungo ad una Gite equestre a destra della via (possibile posto tappa). Procedo sempre diritto sulla via che attraversando una serie di case, mi conduce sulla D192 poco dopo Wawrans-sur-l’Aa, mentre alla mia sinistra vi è sempre la linea di colline che qui chiamano La Montagne d’Acquin. Entro ad Assinghem, e poi con diverse salite e discese a Remilly-Wirquin; faccio delle foto alle Chiese di questi piccoli villaggi sperando di rammentarle tutte, alcune sono di aspetto massiccio con un campanile che sembra una torre, altre hanno un campanile più leggiadro nel contesto della costruzione imponente ma ingentilita da grandi vetrate, purtroppo sono tutte chiuse e non mi è possibile visitarle. Ora la D192 che indica Pihem, mi conduce a Crehem dove con una curva a destra di 90°, arrivo a Bentques, poi passato l’abitato di Herbelles, vedo in fondo ad una lunga dirittura, situato in un vallonamento, le prime case di Thérouanne. Sono le 16 quando arrivo alla Gite de France di Madame Dewilde, ero atteso, e mi accolgono con estrema sollecitudine facendomi accomodare in salotto, portandomi una caraffa di acqua fresca con dei cubetti di ghiaccio! Dopo le presentazioni, mi conducono ad una bella cameretta dove mi sistemo comodamente; prendo una buona doccia e scendo in salotto con loro, dove ho modo di scoprire che Corbellini, Grazioli & Co, sono stati loro ospiti cosi come Piero Amighetti e gli amici di Bruno Bosia che viaggiavano con un triciclo: Giulio Tonali, Domenico del Barba e Di Coscio Annibale. Sono contento di questo perché tutto corrisponde anche alle informazioni in mio possesso, mi informano anche di un altro italiano che aveva una zaino pieno di libri e guide, dicono però che era già troppo stanco e che con tutta probabilità era rientrato a casa, mostrandomi cartoline e ritagli di giornali con le loro foto. Più tardi M. Dewilde mi accompagna in macchina a vedere una antica chiesa costruita su una base ancora più antica, e poi sul colle dove era anticamente situata la città-fortezza di Thérouanne; ora vi sono i ruderi ben conservati di una antica Abbazia, il luogo è quello di un “Oppidum “ Gallico poi divenuto un “Castrum” Romano, si riconosce bene il perimetro rialzato delle mura ora totalmente sparite. Thérouanne era una città fortificata e per la sua conquista furono combattute aspre battaglie, (famosa quella di Enguinegatte, una località poco distante), alla fine fu rasa al suolo con il divieto assoluto di essere ricostruita sul colle: ecco perché ora il villaggio è situato al fondo della valle. M. Dewilde mi illustra bene tutto ciò, portandomi ad una tavola illustrativa della disposizione delle fortificazioni; risulta che qui vivevano più o meno circa 15000 persone nei secoli passati. Vi è anche un museo che ha cura di tutto e prosegue gli scavi i quali però sono tollerati malvolentieri dalla popolazione poichè sottraggono spazio e terreno alle proprietà private ed alle coltivazioni.

Al ritorno mi chiedono di cenare con loro, cosa che accetto con piacere informandoli sugli ultimi sviluppi di questa “Via Francigena” e sulla situazione dei pellegrinaggi in generale; quando al termine mi accomiato da loro ritirandomi nella cameretta, sono circa le 23. Anche oggi ho trovato delle persone gentilissime ed affabili che oltre tutto mi hanno offerto la cena gratuitamente, ancora un’altra volta un esempio di accoglienza; sto accumulando debiti di riconoscenza giorno dopo giorno, ne sono lieto, perché vedo e tocco con mano che di persone e famiglie generose e benevole ce ne sono e molte!

05-06-00: Lunedì, Thérouanne – Bruay la Buissiere( Gosnay). 34 Km 9,30 h

Ho trascorso una buona nottata svegliandomi alle 6,30; faccio colazione con i Mrs Dewilde ed alle 7,20 mentre mi sto incamminando comincia a piovere; mi vesto rapidamente con l’ occorrente e mentre Mme Dewilde mi riprende con una cinepresa, parto salutando queste gentili persone prendendo la D341. Mi immetto sulla Chaussée Brunehaut, una antica strada Romana rettilinea come una fucilata, non se ne vede la fine e per due giorni la percorrerò; ora è asfaltata e la leggenda vuole che sia stata la Regina Brunilde nel VI secolo a ricostruirla dopo che era caduta in rovina, per cui ecco il nome con cui ora è conosciuta. Vi sono poche vetture che circolano e non danno alcun fastidio anche se sta piovendo bene, oltrepasso la località di Estrée Blanche, altro toponimo che lascia intuire che nei secoli scorsi era una strada dal fondo bianco, dato il terreno di natura calcarea che essa solca. Procedo sulla sinistra della strada per vedere le vetture che sopraggiungono, mentre la dirittura della via ed il tempo uggioso mi rendono malinconico; tutto è come spento, i prati, le coltivazioni, le case tutte bagnate da questa pioggia, che rende ed avvolge tutto in un grigiore freddo ed autunnale. Dopo il villaggio di Auchy-au-Bois vi è Amettes, (c’è un Abris per pellegrini), luogo natio di St.Benoit, un Eremita che ritenendosi l’ultimo fra gli ultimi, rifuggiva da tutti conducendo una vita santa ed errabonda fra queste lande: vi è una grande venerazione per lui ora in queste terre. Amettes è fuori percorso di circa 2 Km, ed anche se mi dispiace decido di non andarci, poichè la pioggia sta aumentando di intensità e la tappa è abbastanza lunga oggi, ciò mi costerebbe una ora di cammino in più; sta piovendo a dirotto adesso ma sono ben protetto e coperto, solo la parte inferiore dei pantaloni è bagnata All’uscita del villaggio di Ferfay sulla sinistra, vi è una Chiesa; spingo il cancelletto ed entro riparandomi sotto il piccolo portico, la Chiesa è chiusa ma anche così assolve al suo compito: accogliere colui che cerca riparo spirituale ma anche materiale. Aspettando che la pioggia battente cessi un poco, mangio dei panini; mancano circa 14 Km a Bruay, ne ho fatti 18 ma non sono in ritardo e sono solo le 12,30. Dopo mezzora riparto, mentre la pioggia cala di intensità e mano a mano che procedo diminuisce ancora. Passo sotto la D916 ed entrando a Cauchy-la-Tour posso riporre l’ombrello, poi raggiungo Calonne-Ricquart e più avanti ancora, Divino. Prendendo a sinistra mi dirigo ora verso il centro di Bruay-la-Buissiere a 3 Km circa, la strada è in salita e devo chiedere informazioni per raggiungere la Comunità Emmaüs, venendo indirizzato a più riprese verso la periferia e sempre più lontano; lontani, vedo i famosi “terril”, le montagne di detriti estratti dalle miniere di carbone ormai chiuse. Proseguendo sulla N41 sono ormai fuori dalla città di Bruay, e le persone a cui chiedo informazioni mi indirizzano ora verso il villaggio di Gosnay, poichè è là che si trova la Comunità; sono 7 Km lontano dalla Chaussée e me li dovrò fare ancora domattina per riprenderla. Vengo ricevuto da Père Leon, il successore de l’Abbè Pierre alla guida di questa Comunità, uomo massiccio dalla gran barba grigia, mi fa poche domande e dà un’occhiata alla lettera di Don Luigi, poi chiama una persona e mi fa accompagnare ad un dormitorio, non senza avermi prima detto che in questa Comunità vi sono attualmente 600 persone: senzalavoro, disadattati e gente appena uscita dalle prigioni che qui tentano di reinserirsi nella società; l’ambiente è un poco trasandato ma vedo che per queste persone è un tetto sicuro e che l’attività di recupero di oggetti e di cose dismesse, è per loro una occasione per sentirsi utili e non alla deriva; mi offrono una tazza di caffè e poi vado a coricarmi nella branda. Sono stanco e non faccio neanche la doccia; dormo per un paio di ore, poi mi invitano a prendere parte alla cena; vorrei poter parlare con qualcuno di loro ma mi sembra che ognuno è assorto nei suoi pensieri, inseguono un sogno con la testa china sul piatto, vedo persone con gli occhi persi, e mi rendo conto di essere la classica mosca bianca in un ambiente di persone che sanno di essere ai margini di una società, in cui io quantunque pellegrino, sono inserito, ed ho delle possibilità materiali che loro non hanno; non mi è possibile incontrare i loro sguardi, sono aldilà della mia persona fissando altro. E’ una esperienza che mi mette fortemente a disagio. Più tardi saluto tutti e vado nella branda cercando il sonno che alternato a dormiveglia, non tarda a venire ma non mi permette di riposare come la tappa di oggi avrebbe richiesto.

06-06-00: Martedì, Bruay-la-Buissiére (Gosnay) – Arras. 40 Km 9,30 h

Dopo una notte di dormiveglia parto alle 6, voglio partire al più presto e visto anche lo stato dei servizi igienici (servirebbero un bel po’ di soldi per sistemarli), non mi attardo più di tanto; non ho nulla con cui fare colazione e devo anche recuperare i 7 Km che mi separano dalla Chaussée. Nella città deserta di primo mattino, mi perdo un poco prima di trovare l’ esatta via sulla D57 che mi porta alla Chaussée Brunehaut, la D341;, vi giungo alle 8 a Houdain, propaggine sud di Bruay-la-Buissiere, poi a Rebreuve-Ranchincourt di nuovo ho sotto i miei piedi il lungo e rettilineo nastro d’asfalto. Ho deciso di non andare ad Olhain e poi a Fresnicourt-le-Dolmen per vedere la Table de Fées, un Dolmen residuo di un complesso più vasto, saccheggiato nei tempi passati dalla popolazione per essere usate come pietre da costruzione; so quanto mi costi ciò amando i Dolmen, ma la tappa di oggi è già piuttosto lunga ed il tempo non promette nulla di buono. Mi fermo in un bar per una doverosa ed abbondante colazione e poi in una epicerie per acquistare dei viveri per la tappa odierna, non piove, ma il cielo è sempre coperto e c’è anche vento, foriero di cambiamenti in bene o in male; attraverso la località di Estrée Cauchy, altro toponimo che significa “strada calcata” ricavato quando nei secoli scorsi la strada era di dura terra battuta.Passo Camblain-l’Abbé e lontanissimi ancora, mi appaiono i ruderi delle torri di Mont-St.Eloi; il paesaggio è verdissimo, vi sono pascoli ai lati della strada ed alberi sulle basse collinette che stanno gradualmente lasciando il posto alla vasta pianura. Giungo a Mont-St.Eloi con una piccola salita che diparte a sinistra della D341; i ruderi sono altissimi ed impressionanti, sembrano dita residue di una mano protesa al cielo; hanno visto e subìto la distruzione delle guerre, e sembra gridino tuttora: “ Perché?, Perché? “.

Al loro cospetto sono piccolissimo, e mentre corvi e piccioni svolazzano sui cornicioni gracchiando e azzuffandosi, penso a questi giganteschi ruderi; doveva essere stata un’opera veramente imponente questa Abbazia, ma le opere dell’uomo… mi allontano da questo luogo con un senso di qualcosa che mi è stato negato, non concesso di vedere, di come fosse nel pieno del suo fulgore: perché non è stata ricostruita? Il cielo è ora più chiaro, le nubi si stanno schiarendo ed il vento sta dissolvendo le residue nuvole grigie che ancora resistono; passo accanto a dei cimiteri di guerra inglesi: sono dei veri giardini tenuti perfettamente in ordine, e non un filo d’ erba è fuori posto, solo rammentano al passante di cosa è capace l’umanità quando perde la ragione….. Arrivando alla fine della Chaussée Brunehaut entro in Arras, una gran bella città; fotografo delle belle Chiese già nell’immediata periferia e poi giungo nella Petite Place, la Place des Heròs; l’attraverso per recarmi nell’adiacente e più vasta Grand Place dove è situato l’Auberge de Jeunesse, sono le 15,30 e qui non aprono che alle 17! Mi accomodo in un angolo mettendomi il pile, perché sta soffiando un vento fresco e sono un poco accaldato. Mentre attendo mangio dei panini ed ammiro questa bellissima e spettacolare piazza distrutta nel corso della 1° Guerra Mondiale e poi ricostruita nel medesimo stile Fiammingo che è possibile ammirare ancora oggi; finalmente arriva l’addetta che apre l’Auberge e dopo le formalità, mi posso sistemare nel comodo letto di una camera dove un altro ragazzo è gia alloggiato. Dopo aver fatto la doccia, esco velocemente per le necessarie compere e per un piccolo tour nella Grand e Petite Place. Quando rientro mi preparo una buona cena nella cucina, pasta al ragù e frutta con una buona birra; la ragazza mi ha anche avvertito che l’Auberge al mattino non apre che alle 7,30, per cui ho comprato per colazione mezzo litro di latte, della marmellata, pane e biscotti: sarà una colazione da nababbi! Alle 9,30 vado a nanna, ma poco dopo prende posto nella stessa camera anche un silenzioso extracomunitario che, forse avendo freddo, chiude senza neanche chiedere il nostro parere tutte le finestre per cui, essendo nel sacco a pelo, avrò un caldo fastidioso per tutta la notte!

07-06-00: Mercoledì, Arras – Bapaume. 25 Km 5 h

Uscire a piedi e di mattino presto dalle grandi città è sempre complicato e disagevole, cosi è anche per Arras, ma come Dio vuole ne sono finalmente fuori, ed ora sono incamminato in una stradina che corre infossata fra i campi, parallela alla trafficata N17 lasciata con sollievo nei sobborghi di Arras, o più precisamente a Beaurains; passo ora da Mercatel e subito dopo con una piccola deviazione in un bel sentiero a destra, raggiungo Boislieux-au-Mont. Il tempo è sul bello stabile tendente al magnifico, e almeno per me, viandante ma soprattutto pellegrino, è ciò che maggiormente desidero: sempre ed immancabilmente sole da mane a sera; sono certamente esigente, ma la pioggia la sento ancora come una punizione di colpe che hanno la tendenza a non estinguersi mai! Mentre il cielo si va ripulendo ancor più dalle rade nuvole, mi incammino sulla D36 raggiungendo Hamelincourt (che sia questa la località del famoso pifferaio?); non vi è traffico dato che è tutto assorbito dalla poco distante N17. La tappa corta ed il tempo splendido conciliano il camminare con il piacere di godere appieno del panorama e dell’ambiente agreste che attraverso, i campi ed i pascoli offrono allo sguardo tutte le sfumature del verde, mentre piccole mandrie di bovini dalle larghissime corna pascolano, gettando uno sguardo distratto e mi sembra anche compassionevole, al pellegrino accaldato e frettoloso in transito; ho un solo dilemma che mi disturba: trovare un alloggio a Bapaume, poichè ho solamente l’indirizzo della Mairie presso cui mi avvierò per avere ragguagli. Sono ora ad Ervillers e ad un crocicchio di strade, la sua bella Chiesa mi si offre allo sguardo; spingo il portone che stranamente è aperto: è l’eccezione che conferma la regola delle Chiese tutte chiuse. Visito con piacere il suo interno molto bello e decorato, dalle risposte che mi dà un giovane capisco che vi è un incontro fra diverse Parrocchie in questo luogo, ed ecco svelato il perché è aperta; lascio la D36 che con il suo tracciato diretto ad Ovest, mi porterebbe ad allungare decisamente il percorso e mi immetto sulla N17; poco più avanti già rimpiango la decisione presa: anche se risparmio circa 3 Km di strada, il traffico è notevole e continuo; meglio sarebbe stato aver preso la dipartimentale che, con il suo percorso sinuoso ma tranquillo, mi avrebbe condotto comunque a Bapaume. Arrivo nella cittadina alle 13,30, dirigendomi alla Mairie nel centro città dove vi è anche una bella fontana; devo aspettare 20 minuti, poi quando aprono mi appongono il timbro sulla credenziale, avvertendomi che nella cittadina non vi sono né Chambre d’hôtes, né Gite d’etapes: mi danno l’indirizzo dell’unico albergo, l’Hotel “Le Gourmet”, situato all’ingresso della cittadina; alloggio che accetto subito, anche se a malincuore. All’Hotel mi assicurano che hanno una camera, ma che devo attendere le 15 perchè ora devono occuparsi dei clienti in sala da pranzo; non ho alcun problema ed aspetto all’esterno seduto su una panchina facendo uno spuntino. Alla reception mi informano che il costo della camera è di 180 FF comprensivo della colazione; mi accomodo e posso fare anche il bucato approfittando della finestra esposta al sole, poi esco per le compere e per visitare la bella cittadina che è tutta situata lungo la N17, con belle case dai bei giardini fioriti. Vi è però un bel traffico di mezzi pesanti che l’attraversano in continuazione; ora ho un pensiero che mi si pone sempre più spesso; alleggerire lo zaino da cose che non mi servono se non in casi estremi e da altre che hanno terminato il loro compito: cartine, pellicole, libriccini di località; dovrei giungere in qualche paese o città in cui possa trovare l’ufficio postale aperto al momento del mio arrivo; potrebbe essere Laon, vedremo!

08-06-00: Giovedì, Bapaume – Trefcon. 41 Km 9 h

All’Hotel “le Gourmet”, è costume servire una abbondante prima colazione a cui faccio onore anche se non è proprio di prima mattina come vorrei; difatti parto alle 7,40. Ieri dopo aver ben consultato le cartine avevo deciso di non fare tappa a Peronne, ma di arrivare a Trefcon, alla Gite Equestre dei Mrs Wynands che mi hanno assicurato la disponibilità di alloggio; saranno all’incirca 41 Km, non pochi, ma mi sento bene ed in forma; il tempo si é messo stabilmente sul bello, e vorrei anche saggiare le mie possibilità fisiche con una tappa di lunghezza non trascurabile. Prendo la N17 per circa 2 Km, poi sottopassata la A1-E15 e la linea del TGV, vado a destra verso il villaggio di Riencourt camminando ai bordi della D11E fino a Villers-au-Flos; subito dopo le ultime case, ad un Calvaire (crocifisso), prendo una carrareccia immediatamente a destra per evitare di arrivare al villaggio di Barastre allungando il percorso, procedo così per circa un Km arrivando ad una dipartimentale, dove un sentiero malmesso si diparte alla mia destra, però mi sembra che finisca in un boschetto di rovi e radi alberi 500m più in là e non mi arrischio a prenderlo, la cartina non mi è di aiuto e seguo a malincuore l’asfalto che mi porta alla periferia di Barastre, dove, con una curva secca a destra di 90°, vengo diretto verso Rocquigny; un Km dopo ecco il sentiero che ho evitato di prendere prima, sbucare da un campo e dallo stesso boschetto molto più bello e definito a vedere da questa parte, peccato, avrei risparmiato almeno 3 Km! In lontananza vedo sulla destra una alta costruzione che a prima vista sembra un silos per immagazzinare cereali od altro, ma vi è qualcosa di strano perché mano a mano che mi avvicino, i suoi contorni e la forma cambiano; quando sono più vicino mi rendo conto che è un campanile dalle originalissime forme, non sembra in buono stato ma vi sono ancora due campane lassù; la Chiesa, di cui è parte integrante sebbene non entri a visitarla, mi appare bella, con un grande rosone, ed in buone condizioni, ma non di forme così originali. Scatto una foto perché mi incuriosisce, ma non trovo nessuno a cui chiedere notizie od informazioni su questa opera così fuori dall’usuale, almeno per queste contrade: il villaggio è quello di Rocquigny. Proseguo sulla D20 che mi fa passare sopra la A2-E19 per arrivare a Sailly-Saillisiel; non ho trovato la strada che più a destra mi avrebbe permesso di risparmiare altri 2 Km, sono contrariato da ciò e decido di recuperarli prendendo la N17 che mi condurrà a Peronne; la strada è fiancheggiata da grossi alberi, mentre le coltivazioni nei campi sono soprattutto di granoturco e frumento, e vi sono ancora pochi pascoli; mi sto addentrando nella Francia più agricola, che per ora, è fatta solo di piccoli appezzamenti. Di passaggio a Rancourt, l’ombra di uno Chateau d’Eau con un bel prato attorno mi invita ad una sosta per uno spuntino, il sole è alto e quasi a perpendicolo sulla testa; sono le 11,30 e non vi è una nuvola in cielo. Riprendo la strada sulla N17, attraversando Feauillaucourt, poi passo sul ponte che scavalca il Canal-du-Nord con il suo andirivieni di grosse chiatte cariche di merci; arrivo a Mont-St-Quentin, e sempre sulla N17 entro in Peronne, gustando la vista della Somme e dei suoi meandri. Giunto nella cittadina di Doingt, evito di andare in direzione di Courcelles, ma prendo la D44 che mi porterà diritto a Estrées-en-Chaussée, dove un panneau ad un grande svincolo nei pressi della nota Ditta conserviera Bonduelle, mi indirizza per 300m sulla destra per Tertry-Monchy-Lagache, e poi definitivamente per Tertry sulla D44 verso sinistra. La D44 è deserta ed apro l’ombrello per difendermi con tutti i potenti mezzi che ho, dai raggi di un sole che sembra voglia cuocere il solitario ed accaldato pellegrino. Dopo aver superato Estrèes-en-Chaussèe, incrociando la Chaussèe Brunehaut ora N19-E44, giungo nei pressi di Tertry; ho terminato anche l’acqua ma manca poco per giungere alla meta, circa 3 Km dice la cartina; passo il fiume Omignon dalle ombrose rive, è limpidissimo ed un pescatore intento alle sue prede neanche si avvede del mio passaggio. Ora vi è una discreta salita che mi porta verso una macchia di alberi su in alto dove vedo il cartello che segnala Trefcon, ma non vi è alcun segno di abitazioni; devo avanzare ancora per 400 m per scoprire, celati da un bosco sulla sinistra, i primi tetti delle case; cammino ancora per un Km ed entro nel cortile della Gite equestre dei Mrs.Wynands, finalmente! Sono quasi le 17 quando busso alla loro porta, sono gentilissimi e mi fanno accomodare subito in una cameretta della loro abitazione e non nella Gite, mi dicono anche che avrebbero piacere se stasera ceno con la loro famiglia; ne sono felice, poichè cosi avrò modo di scambiare quattro chiacchiere. Mi sistemo più che comodamente e dopo la doccia ho modo di lavare e far asciugare tutti i miei vestiti nell’assolato cortile; nel frattempo giungono anche gli altri ospiti, cavalieri e bikers che arrivano ora dalle passeggiate che in questa valle del fiume Omignon sono ricercate, dato l’ ambiente ricco di acque e di freschi boschi. La cena è alle 8, ed è una bella tavolata, ci sono anche le loro giovanissime e timide figlie che rendono allegra la cena; anche qui vengo a sapere che vi hanno soggiornato Corbellini & Co, per cui è un susseguirsi di domande e di informazioni circa gli avvenimenti che si sono succeduti da allora; terminiamo l’ottima cena con un caffè francese, lungo per un italiano, ma colmo di cortesia e buonumore.

09-06-00: Venerdì, Trefcon – Tergnier (Beautor). 40 Km 9 h

Telefonando a Tergnier ieri pomeriggio non ho trovato nessun alloggio in città, ma bensì una Chambre d’hôtes a Beautor circa 3 Km ad est; però la Madame mi avvisa di arrivare là non prima delle 15,30 dato che sarà impegnata altrove: data la lungezza della tappa odierna penso proprio che arriverò anche un poco più tardi! Parto alle 7 questa mattina dopo la colazione con i coniugi Wynands, ma è già da parecchio che Hubert traffica nelle scuderie; li saluto e mi dirigo all’uscita di questo villaggio ameno e tranquillo, mentre gli altri ospiti dormono ancora nella Gite. Il sole, basso all’orizzonte ed all’altezza degli occhi, mi abbaglia già pieno e limpido, scaldandomi appena in questa aria frizzante e fresca. Dai campi coltivati si alza una sottile bruma che resta sospesa fluttuando nell’aria; mentre camminando sull’erba, che ai bordi della strada delimita la carreggiata, mi bagno le pedule. Il soggiorno alla Gite è costato poco, solo 140 FF, ne sono lieto e mi convinco, che è per il fatto che sono un pellegrino e non un qualsiasi randonneur, che mi offrono il soggiorno con la cena ad un prezzo così modesto, ed invitandomi altresì alla loro tavola: è sempre la mano della Provvidenza dico in cuor mio! Ora sono in aperta campagna ed al primo quadrivio prendo a destra in direzione di Beauvois-en-Vermandois la D34; è mia intenzione modificare il percorso originario della tappa, passando da Vaux-en-Vermandois, quindi Roupy, e poi ricongiungermi al percorso originario a Serancourt-le-Grand, accorciando di circa 2 Km la tappa, ed evitando i villaggi di Germaine, Douchy, Fluquieres ed Happencourt, con tutti i loro crocicchi di stradine senza segnalazioni che si dipartono dal centro, e che comunque non mi risparmierebbero l’asfalto.A Serancourt-le-Grand, ho la gradita sorpresa di trovare una Gite Rural sulla destra della strada, dall’aspetto molto bella e di cui non ero a conoscenza; proseguendo sulla Dipartimentale sempre fra campi di mais, frumento, colture di girasole ed estese coltivazioni di colza, giungo nei pressi dell’Aerodromo di Clastres. Qui le strade sono state stravolte, non vi è riscontro sulla mia cartina a tutte queste strade, ed anche alle direzioni che prendono; faccio conto sulla bussola e camminando fra cantieri ancora aperti arrivo a Clastres, curiosamente non ho visto e neppure sentito un aereo, nemmeno un ultraleggero. vi è un silenzio che più campestre di così non si può, vi sono impianti di irrigazione in funzione il cui getto potentissimo forma dei tenui ed evanescenti arcobaleni; l’orizzonte è un’immensa linea piana, e lo sguardo è fermato solo da linee di alberi che delimitano dei campi, o che fanno da ala ai viali che introducono a delle ville nascoste nei parchi. A Montescourt-Lizerolles, subito a destra del sottopasso ferroviario, vi è una aiuola provvista di panchine in ombra dove mi fermo per uno spuntino; ora comincia a fare caldo e sento il bisogno di una sosta. Mezz’oretta di riposo e riparto in direzione di Remigny, ponendo attenzione ai bivi per prendere la D420 fino ad incontrare la più trafficata D1 verso Liez, posso camminare su una bella sterrata che gli corre a fianco fino ad arrivare ad un grande svincolo, prendo a sinistra la D53 diretta a Liez; la giornata è caldissima e quando mi fermo a bere vicino ad una aiuola ombreggiata, un ragazzo mi chiede se va tutto bene; gli chiedo se mi può indicare una fontanella d’acqua, ma dicendomi che nel villaggio non ve ne sono mi chiede gentilmente di attendere; ritornando poi da casa sua con una bottiglia di acqua minerale frizzante porgendomela. Mi fa compagnia mentre sosto un minuto sul bordo di un muricciolo, chiedendomi da dove vengo e dove vado poi mi augura buon cammino. Lo ringrazio di cuore salutandolo, mentre proseguo verso Quessy. Il Canale di St-Quentin corre poco lontano ed ogni tanto riesco a vedere le sue acque; entro in Tergnier che si rivela un grande agglomerato urbano parecchio trafficato, qui devo chiedere parecchie volte le indicazioni per indirizzarmi verso Beautor, ed una volta giuntovi, chiedere ancora per trovare la Rue St-Quentin: inutile dire che è proprio l’ultima casa dell’ultima via alla periferia di questo sobborgo, già disperavo di trovarla! La casa è bella e vi è l’insegna delle Gites de France all’esterno; sono le 16 quando suono, un bel cane lupo si avvicina al cancello e temo di dover aspettare il ritorno della proprietaria, ma la porta si apre ed una sorpresa Madame, che evidentemente si aspettava un normale turista, e non un accaldato pellegrino, mi introduce in casa e poi ad una bella cameretta; mi sembra di poche parole ed un poco frettolosa. Alle domande che gli pongo per informarmi su eventuali restaurant nelle vicinanze, è di poche parole; mi dice che uno si trova a circa 2 Km, così come una Brasserie, ed una Friterie è 500m più indietro verso Tergnier; così dopo la doccia, faccio il bucato e lo stendo tutto in camera, dato che è rivolta al sole; poi mi dirigo ad un supermarket vicino alla Friterie, per acquistare i viveri per domani e per la cena di stasera, avendo deciso di cenare in camera. Qui a Beautor non vi è nulla da vedere e Tergnier è troppo lontana. La Madame è uscita in macchina per delle commissioni e mi ha lasciato le chiavi, per cui faccio una capatina a La Fere distante 2 Km, ma anche qui le Brasserie aprono solo alle 8,30, troppo tardi, dovendo poi di nuovo rifare la strada per ritornarci. Mi rassegno alla cena solitaria con pane, salame, prosciutto e birra. Avrei maggiormente apprezzato un piatto di pasta od una insalata di pomodori! Più tardi la Madame rientra con altri ospiti, evidentemente attesi, che si attardano a chiacchierare in giardino accanto alla mia finestra: ora credo di capire il perché di tanta fretta e non avermi offerto l’uso della cucina!

10-06-00: Sabato, Tergnier (Beautor) – Laon. 30 Km 8 h

Lo squillo tecnologico dell’orologio è sempre sgradevole, tanto più se mi invita a mettermi in cammino di prima mattina: è il primo pensiero che mi passa per la testa quando si sta dormendo bene e si viene svegliati di soprassalto; poi penso che oggi vedrò altri orizzonti, altre persone e vivrò altre situazioni, che stanno rendendo questo mio pellegrinaggio anche, e soprattutto, scoperta di una umanità generosa e aperta al prossimo, ed allora anche lui è il benvenuto. La Madame mi ha preparato una buona colazione ed è anche più loquace di ieri, per cui si ha modo di parlare mentre si fa colazione; alle 7 sono sulla via verso Tergnier dove ho visto ieri il pannello “direzione Deuillet” a circa 3 Km da qui; là arrivato, prendo a destra la D424 che mi porta sulla N32 accorgendomi che sto ritornando, 1 Km più a Sud, ma parallelo alla via percorsa prima ed aldiquà del Canale, verso Beautor; effettivamente è così: c’era una strada che se avessi potuto chiedere indicazioni, mi avrebbe risparmiato all’incirca 4 Km! Ora al crocevia prendo a destra la D13, proveniente da Beautor, per raggiungere Deuillet, e poi proseguendo, raggiungo la bellissima e profonda Foresta Domaniale di Saint-Gobain, dagli alberi secolari fitti ed ombrosi. Ai lati di questa strada che l’attraversa, vi è anche uno spazio erboso di 3 metri dove cammino con piacere sull’erba morbida; sono contento di poterla attraversare, mi sento come tornato alle origini; poter camminare come sulle montagne di casa con boschi ed alberi attorno, e morbida erba sotto i piedi. La foresta è percorsa da una forte brezza che fa stormire le fronde; il cielo è nuvoloso ma le nubi non mi sembrano incombenti, sono piuttosto alte e non presagiscono pioggia, la strada è un falsopiano che mi porta in alto ed una ciclista che la discende, mi saluta con una scampanellata ed un saluto alla voce, riconoscendomi come pellegrino dalla conchiglia che porto al collo regalandomi un radioso sorriso. Passo dal complesso della Manifattura des Glaces, la Fabbrica dei famosi vetri e specchi di Saint-Gobain; poi sulla D7 mi dirigo al Carrefour de la Croix des Tables dove potrei, con una deviazione, andare a visitare L’Abbazia di St-Nicolas ma il tempo che si incupisce ed un pensiero che mi disturba da stamane mi fanno continuare il cammino: sarebbero solo 4 Km in più, però il vento è rinforzato ed ho fretta di arrivare a Laon. Ieri ho telefonato all’Office de Tourisme a Laon, per un alloggio, ma mi hanno detto che a Laon, e nel raggio di 15 Km dalla città, non vi è più disponibilità di alloggi in quanto vi è la Festa della Pentecoste, ed in più, vi sono anche delle troupe di cineasti per delle riprese alla città, e quindi è tutto completo. Il campeggio al quale mi sono rivolto, accetta solo chi ha una tenda; io ne sono sprovvisto, per cui ecco la fretta di giungere, e, potendo rendermi conto della situazione, eventualmente proseguire. Il camminare nella quiete della foresta, mi rende meno ansioso per questo dilemma, che comunque è sempre presente; di tanto in tanto lepri e grandi volatili attraversano la strada velocemente, e degli improvvisi sbattere di ali sui rami degli alberi al mio passaggio, mi rendono questa foresta viva e pulsante. Procedendo, la foresta si dirada ed i panorami si aprono poco a poco; dopo l’abitato di Cessieres la foresta termina, e ad una cabina telefonica richiamo Laon, ma la situazione è la medesima di ieri: tutto completo! Sono le 13, il vento ha portato via le nubi ed il sole è ora prepotente e caldo con il cielo limpido; arrivo a Laon passando davanti al campeggio e poi, salendo sul plateau, arrivo davanti alla Chiesa Romano-Gotica di Saint-Martin del XII secolo; incontro un randonneur canadese che si sta avviando al campeggio, scambiandoci saluti ed informazioni sul nostro cammino; mi dice che la sua meta finale è Amiens. Arrivo davanti alla stupenda facciata della Cattedrale di Notre-Dame, dove diversi gruppi di turisti occupano la piazza, mentre i Caffè che le fanno corona sono affollati. Sono le 15,30 quando entro nell’O.T posto in fianco alla Cattedrale, la signorina mi riconosce subito e mi spiega ancora la situazione; ma evidentemente lei è una vera appassionata della Via Francigena perchè si fa in quattro per trovarmi una soluzione, telefonando a destra ed a sinistra ad amiche e conoscenti; mi dice, nel frattempo, di provare a chiedere ospitalità all’Abbé, che abita proprio di fianco alla Cattedrale. Mi presento con la lettera di Don Luigi, porgendola alla perpetua che la legge, ma quando arriva l’Abbé e ne viene informato, egli non fa neanche una piega: freddamente mi dice che non ha posto e la cosa finisce lì. Anche la signorina dell’O.T., ne è rammaricata, dicendomi però di pazientare ancora; ci sono delle novità, difatti, ci sarebbe una Ferme a Chambry che ha una camera libera, a 10 Km da qui ad Est fuori percorso: la tengo come ultima alternativa. Sono ormai le 18,30, e qui stanno per chiudere quando tutto si risolve; una signora sua amica, arriva, ed in macchina mi conduce presso la casa di Madame Forgue, una casa privata dove lei abita con i propri figli, Pierre ed Agnes; sono molto ospitali e gentili, mi mettono a disposizione una camera con bagno, soggiorno ed un comodo letto. Poi a cena, mi chiedono se ho necessità di qualcosa, mi chiedono informazioni riguardanti questa Via Francigena, che per loro non è nuova, del mio pellegrinaggio così solitario; parliamo di Laon e di questo week-end particolare, ma, allargando le braccia, mi dicono che ogni anno è così: Laon è una città molto bella e, durante i week-end, viene regolarmente invasa dai turisti; specialmente durante la Festa della Pentecoste! Anche questa volta la Provvidenza mi ha dato una mano a risolvere una situazione che si stava profilando faticosa (proseguire per Chambry), facendomi trovare: prima la signorina dell’O.T. che è appassionata della Via Francigena, e poi Madame Forgue e la sua accogliente famiglia: ho un solo rammarico; non aver potuto visitare Laon, ma forse è pretendere troppo…!

11-06-00: Domenica, Laon – St-Croix. 20 Km 5 h

Faccio colazione alle 7 con Madame Forgue e suo figlio Pierre, poi saluto questa cordiale e gentile famiglia incamminandomi verso Ardon scendendo nella pianura; vi sono molte strade, ed un provvidenziale pannello con la pianta della città, chissà come mai qui installato, mi aiuta a districarmi fra le tante viuzze. Procedo verso la periferia attraversando un mercatino delle pulci già animato; in una boulangerie compro i viveri e le bevande per oggi e per stasera rendendo così lo zaino pesante. Ieri non ho potuto contattare i prossimi probabili luoghi di tappa, Aizelles o Corbeny, perché non ho i loro numeri di telefono; quindi devo trovare un elenco telefonico e poi contattarli. Comunque, sono fiducioso di trovare una sistemazione in una delle due località, mentre, incamminandomi sulla D967, il giorno si preannuncia sereno e ventilato con il sole già caldo. Camminando sulla D967 arrivo a Bruyeres-et-Montberault, un grazioso villaggio immerso nella frescura dei boschi che lo circondano; lontano all’orizzonte, ed al disopra delle cime degli alberi, scorgo le torri del Castello di Valbon camminando lungo dolci vallate o risalendo collinette macchiate dal verde cupo di boschi. La tappa di oggi sarà comunque corta, per cui non mi affretto; però devo trovare il modo per arrivare ai numeri telefonici che mi servono. Passando da Cheret, vi è un bel palazzo a destra della strada, e noto che è una Gite de France con delle Chambre d’hôtes! Anche qui vi sono parecchie vetture parcheggiate nel cortile, e degli ospiti stanno uscendo ora dall’ingresso, mentre passo davanti al grande cancello: vi è anche una fontanella di acqua per i viandanti, una delle poche trovate finora. Ad un crocevia prendo la D903 direzione Bievres, un piccolo villaggio, e mentre passo accanto alla Mairie, noto che è aperta ed entro per chiedere un annuario telefonico. Una giovane donna con in braccio un bimbo mi aiuta, ricavando ben presto i numeri che mi interessano; mi informa inoltre che a St-Croix, vi è una Chambre d’hôtes, ma a me sembra che la tappa diventi troppo corta e la tengo come ultima possibilità. La cabina telefonica è all’esterno, e così telefonando, subito mi prendo una bella doccia fredda: ad Aizelles il camping non esiste più e la Gite Rural non fa più servizio, mentre a Corbeny l’Hotel non risponde. Così prendo la decisione di passare da St-Croix e tenere, come ultima soluzione, Corbeny, sperando che là vi sia un altro Hotel o delle Chambre d’hôtes non segnalate! Questo mio pellegrinaggio, è segnato tutti i giorni, dalla ricerca di un qualsiasi alloggio presso i villaggi o le città dove decido di fare tappa, ed il più delle volte mi devo adeguare ad esso e recarmi dove trovo accoglienza; la Provvidenza mi ha sempre aiutato fino ad ora, anche più del dovuto! Penso se anche ai tempi di Sigerico, vi era questa assillante ricerca di trovare un ricovero giorno dopo giorno, oppure se aveva degli emissari che gli assicuravano un tetto, già parecchi giorni prima del suo arrivo, per cui poteva procedere con serenità sul cammino. E’ una bella domanda che mi pongo, ma che, forse, non avrà mai risposta! Proseguo sulla D19 verso Chermizy-Ailles; il paesaggio è vasto, con macchie di bosco e filari di alberi che punteggiano la pianura; mi avvicino alla Foresta di Vauclair superando Chermizy-Ailles, e poco dopo, sono sotto le sue fronde. Proseguendo verso Bouconville-Vauclair, in un paesaggio bellissimo, incontro parecchi bikers che sbuffano arrancando sulle salitelle; qui vi sono circuiti con sentieri ciclabili che portano all’interno della foresta a loro completa disposizione. Ad una Ferme nei pressi di Bouconville, un cane latrante schizza fuori da un cancello cercando di assaggiare le mie caviglie, ma il bordone che maneggio lo tiene a debita distanza, facendolo rinsavire; si ritira, ma quando sono già lontano, ci ripensa, e si getta di nuovo all’inseguimento del pellegrino, dovendosi però di nuovo ritirare con ignominia, impaurito dal grosso bastone. Saprò poi che ha dato parecchio fastidio anche a degli ignari bikers. Entro in St-Croix alle 13 e trovo la Chambre d’hôtes al centro del villaggi;, M. Jean Lecat il proprietario, mi dice che è al completo e che non vi è posto, poi vedendo la conchiglia che porto al collo, mi chiede se sono un pellegrino, e dove mi porta il mio pellegrinaggio, poi, ecco la Provvidenza! Mi dice « Vieni con me, se ti va bene c’è una camera in casa mia », portandomi ad una cameretta bella ed accogliente nella sua abitazione; mi chiede se ho già pranzato, ed al mio no mi dice ancora « Fatti una doccia, e dopo esserti sistemato con comodo, vieni da me; anch’io non ho ancora pranzato, se ti va pranziamo insieme ». Gli ospiti della Gite sono tutti fuori, chi a cavallo, chi in bicicletta, per cui pranziamo con comodità in giardino; ottimi spaghetti al ragù, carne, vino, una grande coppa di fragole (ne è ghiotto mi confida); il caffè ed una grappa concludono un pranzo come non ne avevo mai fatti! Mentre parliamo a ruota libera, mi informa anche che a Corbeny vi è un solo Hotel e che la domenica è chiuso; per cui penso che, se non avessi avuto accoglienza qui, probabilmente avrei dormito alla “belle etoile“ stasera. Sto accumulando dei grossi debiti di riconoscenza; tutte queste persone così accoglienti e gentili verso un perfetto sconosciuto, un viandante con al collo una conchiglia; la certezza che San Giacomo e la Provvidenza mi tengono particolarmente sotto la loro protezione, da incrollabile che era, diventa ora anche granitica!! La Gite è di un livello superiore alle altre, è bellissima e vi sono anche scuderie per i cavalli; parecchi sono per sentieri ora, mi dice Jean; altri ospiti sono in giro in mountain bike. Nel tardo pomeriggio esco per telefonare a Reims; ho il numero di telefono dell’Auberge de Jeunesse, ma credo che Annelise si arrabbierebbe, se le facessi il torto di non essere ospitato da lei; già lo aveva detto più volte anche ad Alice, così le telefono, e mi da appuntamento per domani alle 17 al suo indirizzo. Anche se è lunedì è ancora giorno di festa (la Pentecoste), ed in Francia, oggi non si lavora. Rientrando alla Gite, Jean mi invita a cena dove alcuni bikers incontrati al mattino e qui ospiti, mi fanno posto al loro tavolo; sono curiosi di conoscere chi era il pellegrino incontrato al mattino, e quale è la sua meta e la Via di pellegrinaggio che segue. Restano increduli quando dico loro che la mia meta è Roma; ho cosi modo di illustrare la Via Francigena e far loro conoscere Sigerico. Sono interessati anche alla Via Podensis, che partendo da Le-Puy-en-Velay verso Santiago, non è a loro del tutto sconosciuta: può essere che il prossimo anno ne percorreranno un tratto in sella. La cena si svolge ottimamente, i cibi sono buonissimi, ed al termine facciamo tutti dei grandi complimenti alla cuoca. Mi accomiato da loro ringraziandoli per la gradita compagnia, mentre Jean mi da appuntamento per domattina, la colazione sarà alle 6,30!

12-06-00: Lunedì, St-Croix – Reims. 35 Km 8,30 h

Sono le 6,30, Jean ha già preparato la colazione e sorridendo, mi dice che oggi avrà parecchio da fare nelle scuderie; quando lo saluto lo sento come un amico di vecchia data, mi rammenta di pregare per lui a Roma e di tener fede ad una promessa che gli ho fatto ieri e che gli sta particolarmente a cuore. Per me è un nuovo stimolo ed impegno a non mollare, qualunque cosa succeda, pur di arrivare “Ad Petri Sedem”. Nella piazzetta del villaggio fotografo la bella chiesa incamminandomi verso la non lontana N44; la giornata si annuncia limpida e radiosa, il sole splende ma non vi è la solita brezza mattutina a rinfrescare. La N44 non è per nulla trafficata, ed anche questo va bene; i grandi ed i piccoli camion, quando ti incrociano, provocano un colpo di vento che ti rinfresca e, dato che sei accaldato, può essere piacevole; è una frescura artificiale che diminuisce il disagio dato dal traffico e dal rumore. Come facevano gli antichi pellegrini a difendersi dal caldo? Avevano delle vesti e dei cappelli che, a vedere i dipinti e le iconografie, sembrano parecchio pesanti. Ma forse noi siamo figli del nostro tempo; troppo abituati alle comodità, e sicuramente non abbiamo ne la tempra ne la dura scorza che essi avevano; è anche vero che potevano camminare immersi nell’ombra dei boschi, che sicuramente erano freschi, ma che, altrettanto sicuramente, nascondevano pericoli che a noi oggigiorno, metterebbero addosso un caldo che non conosceremo mai. Divagazioni mentali che, forse tutti i pellegrini solitari, sicuramente hanno durante il loro pellegrinare sulle antiche Vie…… Passo da Corbeny, è un piccolo villaggio e non mi attardo a cercare l’Hotel che avrebbe dovuto ospitarmi ma che, inopinatamente, era chiuso; proseguo sulla N44 che, diritta come un grigio e lunghissimo giavellotto posato sui campi, mi porta a Berry-au-Bac; un bel villaggio verdeggiante frammezzato al corso dell’Aisne, alle sue Marais, ed al Canal de l’ Aisne che mi accingo a costeggiare. Scatto delle foto alle chiuse, che stanno facendo passare delle grandi chiatte con al timone delle ragazze. Poi dopo il secondo ponte, vi è a sinistra una strada che scende, ed avanti 200m prende, prima del ponticello che scavalca il canale ed a destra dello stesso, la strada alzaia che mi condurrà per 24 Km fino a La Neuvillette, a circa 6 Km dal centro di Reims. Ho di fronte, leggermente a destra, dei grandi silos, e la strada che costeggia il Canal, è stata sfortunatamente asfaltata ma, per ora, è all’ombra. Cammino senza incontrare anima viva; il Canal è percorso da numerose chiatte, ma non vi sono imbarcazioni da diporto, e tutto è immerso nel silenzio e nella calura. Il percorso è ora completamente al sole, a cui non vi è modo di sottrarsi, se non aprendo il magico ombrello, buono per tutte le stagioni Vi sono degli angolini graziosi ed ameni dove sono le chiuse, con alberi, fiori ed aiuole ben tenute attorno alla casettina, dove vi è la persona addetta. Arrivo al villaggio di Loivre dove faccio una sosta all’ombra di grandi pioppi, in compagnia di famigliole intente a preparare il pic-nic, mentre numerosi pescatori, sono all’opera per acchiappare le ignare prede da mettere in padella. Da qui in avanti, la strada alzaia diventa sterrata, afosa e sempre in pieno sole, ed il fondo del sentiero che è di bianco calcare gessoso, anche se è asciutto, è a tratti scivoloso, mentre gli alti argini impediscono che la vista spazi all’orizzonte. Quando arrivo a La Neuvillette e mi porto sulla N44 che mi porterà al centro di Reims, mi sembra di respirare di più. Vi sono ancora da percorrere almeno altri 6 Km, della grande e densamente urbanizzata periferia, dove la N 44 diventa la lunghissima Avenue de Laon, che penetra al cuore di questa città, le cui radici storiche e religiose sono antichissime. Giungo davanti alla Porta di Marte quando sono le 15,30, e sono in anticipo; qui vi è una grande fontana con un bel prato attorno e dei viali alberati con delle panchine nell’ombra densa, sulle quali mi riposo consumando uno spuntino. Nel frattempo telefono all’Auberge de Jeunesse di Châlons-en-Champagne che mi rassicura sull’alloggio per domani tranquillizzandomi. Quando incontro Annelise alle 17, è emozionante; una cascata di ricordi, tuttora vividi, ci vede allegri compagni del Cammino di Santiago, che si ritrovano in circostanze straordinarie; ci chiediamo notizie reciproche su amici di Cammino di cui siamo a conoscenza, come va il cammino da me percorso finora, ed i progetti futuri di entrambi; poi, sapendo che ho la credenziale su cui apporre il timbro della Cattedrale, mi suggerisce di sistemarmi in fretta con una doccia, perché la Cattedrale potrebbe chiudere i battenti; cosa che faccio velocemente. Lei stessa mi accompagna alla Cattedrale che, vista dalla grande piazza, è stupenda nella luce dorata di questo tardo pomeriggio. L’addetto all’accueil nella Cattedrale, sta effettivamente per chiudere ma, gentilmente, mi appone il timbro sulla Credenziale. Usciamo poi per le doverose foto-ricordo davanti alla bellissima facciata della Cattedrale, ammirandone i cavernosi portali riccamente lavorati; tutta la facciata è stata recentemente ripulita dallo smog per cui è di una luminosità che abbaglia; non abbiamo il tempo di vedere le altre Chiese poichè Reims è troppo grande. Ci vorrebbero più giorni ed una comoda e più veloce bicicletta per poterla ammirare! Annelise è anche una brava cuoca, ed anche il suo ragazzo, Christian, simpatico e cordialissimo, che nel frattempo è giunto, ne fa gli elogi. A cena, fra una portata e l’altra, le foto, i ricordi e le notizie di luoghi ed amici reciproci, non ci accorgiamo del tempo che scorre velocemente in allegria e convivialità: sono già le 0,30!, che bellissima giornata!! Domani mi attende una tappa molto lunga, e probabilmente anche un giorno dal sole splendente; ma proprio questo è il mio desiderio; poichè attraverserò la Montagne di Reims, le cui pendici sono ricamate dagli stupendi vigneti dei più grandi e nobili Vignerons dello Champagne!!

13-06-00: Martedì, Reims – Châlons-en-Champagne. 44 Km 10 h

La sveglia oggi è alle 7,30; faccio colazione con Annelise, e quando parto, lei mi ha già preparato un paniere di viveri per la tappa di oggi, pane, prosciutto, formaggio, mele e torta! Ho lo zaino strapieno e pesante, ma alle mie deboli obiezioni lei non sente ragioni e mi ordina di portarmi tutto! Benedetta ragazza! Ci salutiamo con la speranza di poterci incontrare di nuovo un giorno, magari in Italia o su un Cammino verso St-Jacques. Il mattino è, almeno per me, già inoltrato; sono le 8 e sono ancora nel centro di Reims; prendo la direzione di Cormontreuil passando davanti alla bella Chiesa di St-Remi, e passo su un ponte il Canal de l’Aisne tenendolo alla mia sinistra. Quando finalmente raggiungo Cormontreuil e l’estrema periferia di Reims sono le 9 passate, e la strada accenna ad essere in salita, già, oggi avrò davanti la Montagne di Reims ma prima…… prima passerò attraverso i più rinomati vigneti del mondo!! Quando vi giungo è uno spettacolo; gli estesi vigneti, a destra ed a sinistra della strada, sono tenuti come giardini mentre numerose persone, all’interno dei filari, ne controllano i grappoli ancora acerbi (per mia sfortuna!). Accanto ai vigneti, ai bordi della strada, dei bianchi cippi in pietra, con alla base cespugli di rose rosse, portano inciso il nome della Maison a cui appartengono: i nomi sono quelli dei più blasonati Vignerons produttori dello Champagne. Dei grandi pannelli indicano le Maison poco distanti; sono splendide e tipiche case bordate da aiuole di fiori, dove si è invitati a degustare, ed eventualmente acquistare, il lussuoso prodotto dalle dorate e magiche bollicine…… Ma il ramingo pellegrino, passa e prosegue con un sospiro, la strada è lunga……e la sete resta. Sempre in salita entro nella Montagne di Reims, la D9 la attraversa per intero, è boscosa e fresca; camminarvi è gratificante e vi transitano solo poche vetture e qualche solitario ciclista; però nei piccoli villaggi che attraverso non vi sono bar od epicerie dove poter acquistare dei viveri! Se Annelise non mi avesse messo nello zaino tutto il cibo che mi ha dato, sarei a patire parecchia fame ora! Parecchi Km dopo, arrivo a Condé-sur-Marne dove, in un piccolo bar, posso bere una buona birra e riempire di nuovo di acqua la bottiglia vuota; riparto di nuovo e vedo una indicazione per la GR14 che si diparte sulla destra, guardando la cartina vedo che è una variante di circa 5 Km. Preferisco proseguire per Vraux sulla D1 e prenderla là; se non fosse praticabile, il sentiero della variante sarebbe di soli 2 Km e non perderei troppo tempo. La D1 è senza alberi e fa parecchio caldo; l’ombrello aperto si rivela un’arma vincente per ripararmi dal sole, anche perché non vi è traffico di mezzi pesanti, suoi nemici naturali. A Vraux prendo la GR14 e ben presto i miei timori circa la sua percorribilità si dimostrano fondati; dopo poche decine di metri diventa una traccia di sentiero con erba alta, rovi e ragnatele in quantità, indicano che non vi è passaggio di persone oltre che assenza di manutenzione; tra l’altro alla sua destra vi sono delle “marais” e laghetti per cui mosche e moscerini sono in gran numero. Decido di uscirne a Jouvigny, riprendendo la D1 e la graticola che essa è a questa ora; sono le 16 ed il calore che sale dall’asfalto viene avvertito dai piedi, che mi danno la sensazione di non volersi posare per terra, per cui, cerco di camminare sui bordi erbosi. Spero che l’Auberge de Jeunesse situato in Rue Kellermann sia vicino, ma non ho modo di saperlo fino a quando giungerò in città. Sono nell’immediata periferia ora, precisamente a St-Martin-sur-le-Pré; quando due persone sul marciapiedi di fronte, mi fanno dei grandi gesti, dicendo qualcosa che il rumore del traffico si porta via, e mi fermo aspettandoli. Mi dicono che mi hanno riconosciuto come pellegrino dalla conchiglia che porto al collo, vengo a sapere che lui, è un responsabile dell’ Associations des Amis de St-Jacques della regione di Parigi, ed assieme alla moglie abitano qui. Mi raccontano del loro pellegrinaggio a St-Jacques segnato da guai fisici per lei, ma anche del gran desiderio di riprendere il Cammino appena rimessa; sono sorpresi e stupiti quando dico loro la meta del mio pellegrinaggio, mi informano che tutte le Associazioni della zona di Châlons, sono in fermento promuovendo incontri sulla Via Francigena. Mi invitano gentilmente a casa loro per prendere delle bevande, ringraziandoli, declino cortesemente l’invito. E’ già tardi (sono le 18 ora), ed i negozi chiudono alle 19,30; poi devo ancora trovare l’Auberge. Mi dicono che devo andare sempre diritto verso la Cattedrale, e poi proseguire a sinistra per circa un Km. Ci salutiamo con un arrivederci e mi incammino velocemente, la Cattedrale è proprio diritta davanti a me; prendo a sinistra e dopo parecchie richieste di informazioni, raggiungo l’Auberge situato vicino ad un giardino pubblico, a circa 1,5 Km dalla Cattedrale. Mi stanno aspettando, sono cordialissimi e rimangono sorpresi dalla meta del mio pellegrinaggio, per loro inusuale anche se non sconosciuto; mi forniscono di lenzuola e coperte, e dopo aver fatto la doccia, esco per le compere; ma è tardi, sono quasi le 20 e tutti i negozi sono chiusi. Mi reco alla Cattedrale, anche lei già chiusa, è molto bella ed imponente, però noto che avrebbe bisogno di essere ripulita dallo smog che annerisce, mortificandole, le sue splendide decorazioni. Sono un poco deluso; la tappa è stata lunga, e come sempre nelle grandi città, la ricerca dell’Auberge, mi ha sottratto tempo prezioso. Sono arrivato troppo tardi e non ho potuto vedere nulla di questa bella città, forse domattina riuscirò a fare qualche buona foto sempre che la Cattedrale sia aperta. Di ritorno verso l’Auberge, entro in una pizzeria gestita da immigrati romani, fermandomi per la cena: pasta, scaloppina e patatine fritte, il poi è deja vù.

14-06-00: Mercoledì, Châlons-en-Champagne – le Meix-Tiercelin 38 Km 8 h

Implacabile la sveglia squilla alle 6,30, ieri sera avevo fatto tutto il bucato per cui le calze sono ancora bagnate, che fare? In cucina accendo i fornelli elettrici per asciugarle, e mi viene in mente che non ho nulla con cui fare colazione, se non una busta di minestrone da tre porzioni che mi porto nello zaino da una settimana: ciò che ci vuole alle 6,30 per un pellegrino che crede di avere necessità di sali minerali. Così mentre le calze si asciugano ai bordi delle piastre elettriche, alle 7 faccio colazione con un minestrone, invece di un più consono caffè e latte: roba da pellegrini…

Poco dopo le 7,30, nei pressi della Cattedrale, trovo un piccolo supermercato dove posso comperare i viveri per oggi: pane, salame, prosciutto, mele e Coca-Cola (che si dimostra una eccellente bevanda ed un tonico senza pari), riempiendo così lo zaino che è sempre sul troppo pesante. Anche qui l‘uscita dalla città si rivela difficoltosa, e prima che arrivi a Compertrix, estrema periferia di Châlons, sono le 9. Sulla D2E giungo a Coolus, dove gli immancabili crocicchi non segnalati, fanno perdere altre decine di minuti; poi passato il ponte ferroviario, giungo ad una biforcazione della dipartimentale: a destra la D4, ed a sinistra la D2. Poco avanti a destra sulla D4, dovrebbe esserci l’imbocco della “Voie Romaine”; una antica ed ancor oggi usata strada romana non asfaltata, che seguirò per due giorni. Infatti eccola qui, davanti a me bianca e rettilinea; la imbocco, ma avanti 500 m finisce davanti ad un cartello ed a una sbarra; c’è il campo di aviazione di Châlons che la interrompe: me ne ero scordato, ma Corbellini lo aveva scritto nel suo libro! Allora prendo a sinistra tagliando per un campo di frumento, raggiungendo la D2 che seguo fino a Sogny-aux-Moulins, dove prendo una strada bianca a destra, che mi porta all’incrocio con la strada asfaltata che proviene da Ecury verso Mairy-sur-Marne. Qui vi è una casamatta a destra, ed a sinistra, davanti a me, vi è l’inizio della Voie Romaine; lunghissima e diritta a perdita d’occhio. Non è senza emozione che mi inoltro; è così, ancora immutata nei secoli come l’avevano tracciata i Romani; Sigerico e tutti i pellegrini, come i viandanti e mercanti l’avranno sicuramente percorsa come la sto percorrendo ora io: a piedi! Le mie orme si sovrapporranno alle loro, come contributo per una continuità che, è mia viva speranza, cominci ora di nuovo, e non abbia mai più fine. Il tempo non mi è amico, il cielo è coperto ed una nuvolaglia grigia ed estesa rende l’orizzonte offuscato, non vi è brezza e forse oggi non vedrò il sole splendere. Si cammina bene sulla Via, è di un biancore che se il sole splendesse sarebbe abbacinante. Questo è l’altopiano bianco e gessoso della Marne, piatto come un tavolo da biliardo. Ai lati della via vi sono estese coltivazioni di frumento, colza, mais, legumi, estesi fazzoletti di terreno, dove il papavero spicca con i suoi grandi petali rosa od i suoi grossi baccelli verdi, rendendo l’immensa pianura una tavolozza di colori campestri. Passo accanto a boschetti di pini, distrutti e spezzati dalla tempesta che aveva sconvolto la Francia l’anno scorso, Arrivando all’incrocio con la D79 che viene da destra, dal villaggio di Fontaine. Qui il sentiero si biforca: invece di proseguire sulla via per incrociare la D81, scelgo di andare a destra per passare dal villaggio di Vesigneul-sur-Coole, e da lì proseguire poi sulla D4 proveniente da Coolus fino a Coole; un bel villaggio fiorito e bagnato dal suo torrente. Attraverso la N4, poi cammino ancora un per Km sulla D4, e ad una nuova biforcazione, ecco di nuovo la Voie Romaine rettilinea e bianca su cui mi incammino. Passo attraverso la Foresta di Vauhalaise, anche qui la tempesta ha provocato danni enormi, e moltissimi alberi di grosso fusto sono divelti e abbattuti come birilli, in un groviglio inestricabile di rami spezzati. Come un lampo scuro, la sagoma aggraziata ed elegante di un capriolo o di un daino, balza dal bordo del sentiero e si lancia nella distesa di frumento, acquattandosi al suolo e sparendo alla vista, lasciandomi sorpreso e meravigliato. Non avrei mai pensato di trovare degli animali di questo genere in questa immensa pianura agricola! La Via prosegue fino ad un alto terrapieno bordato da alberi che la blocca perpendicolarmente, prendo un sentiero a destra e lo risalgo, il terrapieno è una strada sterrata molto larga; deve essere quella che da Sompuis porta a Blacy! La percorro verso sinistra per 200m e poi discendo la scarpata a destra, vedendo che la Voie Romaine prosegue aldilà, sempre fra i campi e sempre rettilinea fino ad Humbauville. Qui la Via si innesta sulla D12, proveniente a destra da Sompuis, vedo un pannello che segnala una Gite Rural a Sompuis, circa 4 Km più indietro. Mi incammino sull’asfalto per i restanti 2 Km fino a le Meix-Tiercelin; già da parecchio tempo il sole si è fatto strada fra le nuvole, ed ora sta dardeggiando su questa immensa pianura; il cielo è punteggiato da tanti fiocchi di nuvole bianche e soffici, portati in giro da un leggero e caldo vento. Arrivo nel piccolo villaggio di le Meix-Tiercelin allineato ai bordi della strada; sono le 15,30, quando varco il cancello della Ferme di Madame Allette, che arriva nel medesimo istante a bordo di una vettura; è in compagnia di un’altra signora, è stata a Vitry e si lamenta per il troppo traffico incontrato là; lei si occupa anche del trasporto degli anziani del villaggio, che hanno necessità di cure in città. Gentilmente, mi offre un bicchiere di succo di banana fresco, mi accompagna poi ad una camera ricavata al piano superiore della casa (probabilmente una parte del fienile), molto comoda e rustica; e avvisandomi che la cena sarà per le 7,30, riparte per altre faccende. Ritardo un poco alla cena, poiché ero intento a scrivere il diario e non mi sono accorto del tempo che scorreva; la cena è ottima, zuppa di fave, uova con pomodori, fagiolini, prosciutto con insalata russa, formaggi e vino bianco e rosso: una cena super. Mi informa che vi è anche una lavatrice, ne approfitto poi per lavare con detersivo, il mio scarno guardaroba. Più tardi, chiacchierando comodamente seduti davanti al televisore, sorseggiamo un buon caffè corretto mentre la Nazionale di calcio Italiana si avvia a vincere con il Belgio.

15-06-00: Giovedì, le Meix-Tiercelin – Dienville. 38 Km 8 h

Il giorno inizia sempre più presto, ed il tiranno tecnologico al mio polso non sgarra minimamente; ma è saggio incamminarsi presto al mattino. La giornata è sempre più lunga, con il sole che; ligio al suo compito di immensa fornace, su in alto nel cielo, fa imbiondire le spighe del grano, ma arroventa con indifferenza anche il pellegrino che vi cammina attraverso. Per questo preferisco alzarmi all’alba, quando Lui ancora è sonnolento, e camminare poi fino al termine della tappa senza eccessive soste, per essere nel primo pomeriggio presso il rifugio, al riparo dalla grande calura pomeridiana. Camminando in questo oceano agricolo, ho notato distese di frumento ancora non maturo, ed altre che sono già di un colore biancastro; non sono esperto, ma, temo che ci sia qualcosa che non vada bene: le spighe sembrano vuote, non vi è il chicco o se vi è, è piccolo come se fosse malato; dovrò informarmi presso qualche agricoltore per saperne di più. E’ un aspetto del pellegrinaggio che non va lasciato senza essere approfondito: pellegrino, infatti vuol dire “colui che va per agro“; per il campo, attraverso i campi, ed è doveroso per lui conoscere i prodotti delle terre in cui si passa. Oggi la sveglia è alle 6, una ottima colazione alla tavola di Madame Allette, e poi alle 6,30 sono sulla Via. Un solo Km di asfalto e poi lascio la D12 che va a destra verso Bréban, mentre io mi incammino di nuovo sulla Voie Romaine che solca le coltivazioni, bianca come un giglio e rettilinea svanendo nel lontano orizzonte. Il cielo sembra la copia di ieri, coperto da nuvole grigio piombo e senza brezza; spero che sia come ieri con il sole vincente sulle nuvole al pomeriggio. Mentre cammino in un paesaggio piatto, dove le estese coltivazioni si susseguono le une alle altre, argentei zampilli di acqua brillano qua e la; sono le lance di irrigazione che rendono fertile questa terra, non vi è presenza umana (d’altronde la solitudine, è una componente quotidiana di questo mio pellegrinaggio, solo quando giungo alla fine della tappa, trovo modo di parlare con altri ma durante il cammino nessuno è sulla via che percorro), tutto il visibile è in silenzio; potrei sentire l’erba crescere se solo non facessi rumore camminando in questa straordinaria vastità Il primo villaggio che incontro è Corbeil, e sull’ultima casa prima del crocevia con la D55, vedo una targa recante la illuminante scritta: « Rue Basse des Romains », ed aldilà della D55, su un’altra casa una uguale targa con la scritta: « Rue Haute des Romains ». Curioso, perché la Rue Basse è a Nord e la Rue Haute è diretta a Sud! Anche qui, inframmezzate alle altre coltivazioni, vi sono le estese coltivazioni di papavero, dai grandi petali color rosa acquerello, che attirano l’obiettivo fotografico. Dopo Corbeil, la Voie Romaine prosegue implacabilmente diritta; vi sono solo un paio di Ferme lungo il percorso presso Donnement, dove infine termina, innestandosi sull’asfalto della D24. Ormai asfaltata, prosegue ancora verso Braux, Yevres-le-Petit e Rosnay l’Hospital, dove perde anche la sua rettilineità. Giunto a Rosnay l’Hospital, vedo sotto dei grandi e fronzuti alberi sulla sinistra, un sorprendente ed inequivocabile pannello che dice; Voie Romaine, Lyon-Boulogne-sur-Mer, Attribuée à. Agrippa. Tronçon Langres – Reims. Cerco il sentiero che dovrebbe iniziare a sinistra, ma ciò che si vede è solo una traccia fra l’ erba alta, che si dirige verso un terrapieno che delimita un fiumicello, la Voire; e lì finisce dove forse vi era un guado. Ritorno sui miei passi, e mi siedo sotto gli alberi per una spuntino, recriminando sui cartelli che mandano nel nulla, e sui sentieri senza manutenzione. Mi avvio poi sulla D396 che attraversa su di un ponte la Voire; della Via Romana che dovrebbe essere aldilà, sulla sinistra e sulle sponde del fiumicello; non vedo traccia. La dipartimentale ora sembra non finire mai; il tempo è la stessa copia di ieri, ed il sole ora splende con crudezza, mentre entro nella cittadina di Brienne-le-Châtea; il popoloso borgo dove tutto parla di Napoleone, avendovi egli vissuto in gioventù. Però la mia meta è Dienville, dove ho trovato una Chambre nel Camping “le Colombier”, per cui procedo per Brienne la Vieille; villaggio molto più caratteristico e fiorito. La D443 alla fine mi conduce a Dienville, un bel villaggio situato ai bordi della Forêt Regional d’Orient, posto in riva all’omonimo specchio d’acqua. Sono le 14,30 quando spingo la porta del bureau; un signore anziano mi accoglie, ma non si ricorda della prenotazione! Poi piano piano, rinviene dalle nebbie e se ne rammenta accompagnandomi ad una camera. Mi accomodo rapidamente, perché ho notato che vi è un ufficio postale aperto, e intendo spedire a casa del materiale che mi è divenuto superfluo; nonostante siano le 17, riesco a spedire a casa un pacco contenente: il materassino autogonfiabile, delle cartine geografiche, ed i rullini di diapositive. Peso totale = 1,600 Kg! Sono soddisfatto, poiché è il peso di una bottiglia d’acqua da 1,5 litri, molto più utile nel prosieguo del cammino. Il Camping è bellissimo e ben tenuto, è quasi al completo con molte tende e roulottes, poiché qui si possono praticare nel vicino lago tutti gli sports lacuali. Mentre faccio il bucato nel cortile, due campeggiatori fiamminghi mi riconoscono come pellegrino e mi domandano se sto andando a St-Jacques dove loro sono diretti; è gia un mese che sono in cammino, e si fermano qui due giorni, per poter lavare tutti i loro vestiti, dato che viaggiano con la tenda. Sono sorpresi quando dico loro da dove provengo e la mia meta finale; parlano solo fiammingo e tedesco con qualche parola di inglese, per cui è divertente spiegarsi in francese ed inglese. Li vedo un po’ stanchi; temo anche che abbiano zaini troppo carichi, e questa stagione calda a cui andiamo incontro, non è sicuramente di loro aiuto per giungere a St-Jacques-de-Compostelle, attraversando la Meseta, in Spagna. Alla sera mi cucino nella bella cucina una busta di zuppa di fave con del formaggio grana ed una birra. Ceno in compagnia di un turco che dice qualche parola di inglese, e di un portoghese che parla francese, scoppiando in grandi risate quando si riesce a capirsi tutti e tre! Perché mai i Babilonesi si erano messi a costruire la Torre di Babele, origine di tanti guai linguistici???!!!

16-06-00: Venerdì, Dienville – Baroville. 25 Km 8 h

Mi sveglio alle 6 del mattino e quasi non credo ai miei occhi, quando, guardando fuori, vedo che vi è una bella nebbia; ne approfitto per restare a letto ancora 20 minuti ma poi mi avvisano che la colazione è pronta, come sempre ottima ed abbondante. Alle 7 sono sulla via con degli strascichi di nebbia che indugia fra i rami degli alberi; prendo la direzione per La Rothiére, distante due Km e poi la D396 che mi porterà a Bar-sur-Aube senza deviazioni (vi sarebbe anche un altro percorso che è possibile prendere camminando sulla D46, meno trafficata, ma anche più tortuosa e con diversi saliscendi come vedrò poi; essa attraversa i piccoli villaggi di: Unieville, Juvanzé, Jessains, Dolancourt, e senza entrare a Bar-sur-Aube arriva a Baroville; esso corre alla destra del fiume Aube, mentre la D396 è completamente a sinistra). Cammino sul bordo della strada sull’erba cortissima; il giorno è iniziato con la nebbia che ha lasciato il posto al sole, il quale fa capire che oggi farà caldo già parecchio prima di mezzogiorno, dato che vi sono solo degli sbuffi di nuvole bianche che stanno battendo in precipitosa ritirata. La D396 corre parallela al fiume Aube, ed a Juvanzé ho modo di ammirarlo, lento e sinuoso; è un fiume tortuosissimo che, probabilmente, ha cambiato diverse volte il suo corso in questo fondovalle; alla sinistra vi è il Bois de Courtgáin, una bella collinetta boscosa con alla base degli ordinati vigneti. Passo da Trannes e da Bossancourt; giungendo ad Ailleville, vedo che vi è l’insegna di una Chambre d’hôtes, mentre nei villaggi precedenti vi erano dei piccoli Hotel. A Bar-sur-Aube arrivo alle 12, è una bella cittadina carica di storia, non militare ma di commerci e di scambi fra le tante culture che i commerci favorivano; naturalmente, è un luogo che per i pellegrini doveva essere una tappa obbligata, dato che era un centro molto noto per le fiere e le esposizioni di mercanzie di ogni genere. Mi reco alla Chiesa di Saint-Pierre, una bella Chiesa dal campanile non alto, ma massiccio. La particolarità della Chiesa, consiste nel fatto che all’esterno, vi è un bel porticato in legno chiamato “Halloy“, dove nei secoli passati avvenivano le compravendite, e poi tutte le transazioni in denaro nelle diverse valute che, commercianti, mercanti ed anche i pellegrini di diverse nazionalità avevano necessità di fare. Altra particolarità è all’interno della stessa Chiesa, molto bello ed antico per nulla cambiato dallo scorrere dei secoli. Il pavimento, è lastricato con grandi lastre di pietra che custodiscono diverse tombe, le quali non portano il nome di chi vi è sepolto, ma vi è inciso il simbolo della sua attività o professione. Vi è una tomba con incisi dei pesci e dei coltelli a significare che in vita chi vi giace era un pescivendolo, evidentemente ricco. Poi un’altra reca incisa l’impronta di un piede con delle forbici, sicuramente un calzolaio che ha potuto comprarsi la tomba nella chiesa. Vi sono altresì incise delle lettere sui bordi delle stesse; forse delle preghiere o altro, ma non ho potuto chiedere lumi a nessuno: sarebbe stato interessante ed istruttivo…Vi sono due fiorai che stanno addobbando la chiesa, e chiedo loro se posso parlare con l’ Abbé; mi dicono che la casa di fronte è la casa parrocchiale e che vi abitano ben tre Abbé che dovrebbero rientrare per il pranzo, per cui sarebbe opportuno aspettare un poco…. Dei turisti che stanno visitando la chiesa mi chiedono, vedendo la conchiglia, se sono un pellegrino e se sono diretto a St-Jacques, loro abitano a Saint-Etienne, a pochi Km da Le-Puy-en-Velay dove inizia la “Via Podensis“ una antica Via di pellegrinaggio da me percorsa l’anno scorso. Restano sorpresi ed anche interessati venendo a conoscere l’esistenza della “Via Francigena“ che sto percorrendo, e di cui non sapevano nulla del suo tracciato verso Roma. Sono le 13,30, ma evidentemente oggi i tre Abbé non hanno appetito perché nessuno di loro è rientrato, e decido sebbene a malincuore, di riprendere il cammino verso Baroville senza poter apporre sulla credenziale un timbro a cui tenevo particolarmente. Il sole sta spaccando le pietre quando prendo la D70 direzione Baroville, essa si snoda fra colline coperte da vigneti per la produzione dello Champagne, e quando giungo nel bel villaggio adagiato sul fianco della collina vedo che la Ferme che ospita la Chambre, è la Maison di un Vigneron. Madame Urbain mi accoglie gentilmente e mi accompagna in una dependance dove vi sono diverse camerette, un salone ed una bella cucina; è una Gite per gruppi familiari principalmente, ed alla sera arriva una famiglia per il week-end; infatti qui vi è la possibilità di cenare per parecchie persone. Mi sistemo con calma e poi telefono all’O.T di Chaumont per trovare alloggio a Bricon od a Blessonville, dato che Vaudrémont è troppo vicino, ma in questi due villaggi non vi è nulla; solo a Maranville vi è un Caffè che ha una camera, ma è ancor più vicino di Vaudrémont: Dopo mezz’ora di telefonate, trovo un piccolo Hotel a Châteauvillain; è fuori percorso circa 6 Km, ad Ovest del percorso originario, ma non posso fare a meno di accettarlo. Così domani mi porterò ai bordi della Foresta Domaniale di Châteauvillain e d’Arc che percorrerò domenica.

17-06-00: Sabato, Baroville – Châteauvillain, 30 Km 7,30 h

Prendo la colazione con Madame Urbain alle 7, orario di colazione della Chambre, ed alle 7,30 sono sulla Via. Mi inerpico sulle pendici della collina con il sole che è gia ben sveglio e pimpante;e non vi è la benchè minima traccia di nuvole in cielo. Prendo la D170 che corre in basso fra il Bois de Grandes Parts ed il Bois de la Ponte Grive; è tutto in ombra, incontro solo due vetture sulla strada, poi in discesa sbuco sulla D396 che proviene da Bayel: voglio andare all’Abbazia di Clairvaux; ora penitenziario, che ospitò secoli fa Giovanna d’Arco, la leggendaria “Pulzella d’ Orleans”. Mi tengo alla sinistra del fiume Aube, che disegna nella valle i suoi tortuosi meandri, mentre alla mia destra, ho le pendici boscose della foresta che però, non mi da ombra. Lo zaino alleggerito lo sento perfetto; ora non ho più il leggero indolenzimento alla spalla destra, che avevo nei giorni scorsi dopo soli pochi Km di cammino. Quando arrivo a Clairvaux, vedo uno splendido albergo al crocevia; ma per andare all’Abbazia però, devo fare 800 m in salita. Poi eccola lì. seminascosta da un alto muro; entro ma è tutto chiuso, e su un cartello leggo che la cripta viene aperta curiosamente solo il sabato pomeriggio. Anche l’ufficio postale che mi potrebbe apporre il timbro sulla credenziale, è chiuso, per cui mi dirigo al bar che è all’esterno e là mi possono apporre il timbro di Clairvaux, anche se non è proprio dell’Abbazia. Ne approfitto per una sosta gustandomi una fresca birra, poi riprendo il cammino passando il ponte sull’Aube,ed attraversando il villaggio di Outre-Aube, vedo che vi è l’insegna di una Gite Rural. Proseguo sulla strada che si inerpica ancora, devo prendere la D12 verso Longchamp-sur-Aujon, un bel villaggio bagnato dallo stesso fiume Aujon; dopo averlo passato, mi tengo sulla D6 avendo alla destra le pendici di alte colline coperte da fitti boschi, ed alla sinistra il fiume Aujon. E’ un bel percorso in mezzo al verde di campi e pascoli; vi sono degli scorci suggestivi con il fiume limpido ed ombreggiato che scorre proprio al fianco della strada, tra gli alberi. A Maranville non vedo il Caffè dove ci dovrebbe essere possibilità di alloggio e proseguo alla volta di Cirfontaine-en-Azois, e poi verso Pont-la-Ville; qui supero l’autostrada A5-E54-E17, avviandomi verso la zona delle Petite Marais, luogo di stagni e laghetti limpidi. Entro infine a Châteauvillain, passando davanti ad una bella Chapelle a cui faccio una foto; dovrebbe essere la Chapelle de la Trinitè, molto antica e dall’architettura particolare; mi ricorda la Chapelle de la Bouysse nella cittadina di St-Come-d’Olt, nella regione dell’Aubrac. Sono le15 quando trovo l’Hotel “la Providence” vicino alla Poste, nella via principale. Dall’aspetto mi sembra un poco fané; è gestito da un Antillano di nome Guillaume, tipo cordiale ed espansivo; mi dice, allargando le braccia, che la camera costa 165 FF. Dopo aver sistemato tutto e fatto anche il bucato, esco per la spesa e per telefonare al prossimo alloggio. La cittadina è bella ed ariosa, però vi è un sole caldissimo che mi obbliga a camminare all’ombra, mentre mi reco in un piccolo supermercato per le necessarie provviste. L’O:T di Chaumont gentilmente mi fornisce i numeri telefonici del camping di Langres, e di una Chambre d’hôtes a Chalindrey; mi avverte però che gli Hotel di Langres sono tutti al disopra delle due stelle, comunicandomi i relativi prezzi. Al camping nessuno risponde al telefono, quindi telefono alla Chambre di Chalindrey; mi assicurano che vi è una camera libera, ma la località è a Les Archots, a 4 Km da Chalindrey; lei stessa fuori da Langres di 7 Km, per cui domani avrò una tappa di ben 53 Km! Alla sera ceno all’Hotel “la Providence”; la cuoca è la moglie del proprietario, anche lei Antillana; molto cordiale e brava ai fornelli, per cui mi gusto una ottima cena dai sapori decisi e molto lontani dal consueto.

18-06-00: Domenica, Châteauvillain – Chalindrey (Les Archots), 53 Km 12 h

La sveglia non è proprio di buon’ora visto la tappa che mi attende, però la colazione qui in Hotel era per le 7 e sono riuscito a farmela anticipare alle 6,30; la figlia del proprietario ha già preparato una deliziosa e robusta colazione a cui faccio onore con piacere, oggi ne avrò bisogno sicuramente…Alle 7 esco dalla cittadina e prendo la D107 per inoltrarmi poco dopo nella foresta, è domenica è non vi è assolutamente traffico; cammino solitario ed indisturbato per circa 11 Km nella frescura di questa ombrosa foresta, qualche solitario e mattiniero ciclista la percorre velocemente senza approfittare di questa pace; mi dico che tutte le contrarietà non vengono per nuocere, difatti se venissi da Vaudremont camminando sulla D 102, sarei in pieno sole già dal primo passo sulla via… Esco da questa splendida foresta giungendo all’ incrocio con la D102, nel villaggio di Richenbourg alle 9; cammino per 3 Km al sole e poi mi rituffo di nuovo nell’ombra della foresta di Châteauvillain, passando dalla Ferme du Val des Dames. E’ domenica; e come in Italia, plotoni più o meno ben assortiti di novelli aspiranti Anquetil o Poulidor, fanno frusciare i loro pneumatici su queste stradine che si insinuano nella foresta o che nella pianura, dividendo coltivazioni che sarebbero altrimenti immense. Sono ansioso di scorgere all’orizzonte il villaggio di Mormant, dove vi è una antica Abbazia dei Templari, che nei secoli scorsi offriva ospitalità ai pellegrini; vi giungo su una strada diritta ed inondata di sole. Non è un villaggio ma è solo l’Abbazia, ora inglobata in una Ferme; la strada giunge fino al muretto di cinta per poi, con una decisa S, curvare a sinistra. La costruzione è ancora ben conservata; la guida dice che in tanti secoli il terreno le è cresciuto attorno per più di un metro, ed effettivamente le volte dei portoni sono decisamente basse rispetto al piano stradale. Vi entro per vedere se c’è qualche persona a cui chiedere informazioni, e per poterla visitare se possibile, ma non vi è nessuno; aspettando, mi siedo vicino al muretto che sostiene un bel Calvaire molto antico; sul davanti ha una figura erosa dal tempo e sul retro una stella a 8 punte a cui non so dare un significato. Attendo 20 minuti circa ma non arriva nessuno, per cui faccio delle foto per ricordo e mi incammino in una strada che prosegue diritta, parallela all’autostrada, lasciando a sinistra la D102 che porta a Leffonds. Più avanti dovrei incrociare la D154 e lì giunto ci dovrebbe essere un sentiero che, attraversando il Bois des Vêvres si ricongiunge alla D102 ed arrivare poi a Marac; non è esattamente così poiché uscito dal Bois des Vêvres e finito l’asfalto, prendo il sentiero che si diparte sulla sinistra, lasciandone due più belli che però, vanno decisamente a destra. Alla fine di questo sentiero, finisco su una sterrata che si ricongiunge alla D102 proveniente da Leffonds (la cartina non è precisa in questo punto), giungendo a Marac dove prendo la C5 per St-Martin-les-Langres (la cartina la segnala come D3). Il sole che rende questi giorni sereni, è ovviamente impietoso con il pellegrino, Lui deve imbiondire il frumento e far maturare i grappoli del futuro nettare degli Dei, per cui splende senza pietà rendendo l’asfalto rovente: ho scoperto che per evitare la colonna di calore che si solleva dall’asfalto, mi devo mantenere sul bordo di destra se la brezza spira da destra e viceversa se spira da sinistra. (piccoli ma sofisticati e sperimentati trucchi per abbassare la temperatura corporea del pellegrino…) Arrivando a St-Martin-les-Langres, vedo dall’altra parte della valle, sulla destra, la grande diga che sbarra il lago della Rivoire de la Mouche; mi accorgo che ho terminato l’acqua, e ad una casa che assomiglia ad una fioriera, chiedo alla signora che vi abita se mi può riempire la bottiglia di acqua che ho appena finito, sollevando le robuste proteste dei cagnolini che oziavano ai suoi piedi; ringraziandola proseguo sulla strada in discesa, ed alla fine del minuscolo villaggio, dove vi è un bel calvaire sulla sinistra ed una casa con un grande albero davanti, prendo una stradina ripida che a destra precipita nella valle dirigendosi verso un mulino e quindi la risale altrettanto ripidamente sull’altro versante. Qui vi è una fontanella di acqua, presso la Ferme de la Fontaine-au-Bassin: una delle pochissime lungo il cammino. Arrivati in alto sulla collina si è poi sempre in pieno sole fino a Langres, ed avvicinandomi ancora dopo Brevoines, scorgo le alte guglie della sua Cattedrale e le poderose mura di questa bella città, in alto sul plateau circondata da tanto verde. Arrivo alla base di questa città fortificata quando sono le 15,30, ma a Les Archots mancano ancora 13 Km dato che si trova dall’altra parte del plateau, e dopo Chalindrey. Decido di non salire in città anche se a malincuore; vi sono più di 200m di dislivello da superare, ed un traffico di vetture sostenuto, dato che è domenica e Langres è una città turistica per eccellenza. Inizio a salire per arrivare all’incrocio con la N19 e la D74; effettivamente è un grande incrocio e il traffico è molto intenso, sia in entrata, sia in uscita dalla città; prendo la D74 in direzione Moulhouse-Vesouil, scendendo per circa 800 m e ad un bivio, ecco il pannello che a destra indica la D283 che mi porterà alla D17 per Chalindrey. Mi fermo ad una panchina in ombra per riposare un poco e per ammirare le poderose mura della città; riprendo la D283 passando St-Gilles ed arrivato ad una grande rotonda, tengo la destra attraversando la zona industriale in località Fabourg des Franchises. Ho i calcagni che mi dolgono e faccio fatica ad appoggiarli al suolo, quindi cerco di camminare sulle aiuole o sul morbido bordo d’erba della strada. Il caldo è opprimente ed afoso ed il traffico intenso e rumoroso; sono piombato dai boschi in una città turistica, ed anche di domenica…! Ad una grande aiuola, incrocio la superstrada N19-E54 e la freccia « D17 Chalindrey 7 Km » ; ho percorso fino a qui 43 Km e ne mancano ancora 10 a Les Archots. Un’altra sosta per dissetarmi all’ombra di un boschetto, ed accorgendomi che l’acqua che ho nello zaino è tiepida, mi viene da sorridere: lo zaino non è coperto dall’ombrello! Arrivo a Chalindrey e vicino ad una birreria trovo una cabina telefonica, telefono a Serge François, il proprietario della Gite per assicurarmi che sia in casa; c’è e mi dice che mancano “solo” 3 Km; telefono anche a casa per assicurare che tutto va bene, avviandomi poi mi per gli ultimi Km. Appena passato il ponte della ferrovia un signore mi ferma, è il proprietario di un club equestre qui accanto, e mi domanda se sono un pellegrino e dove sto andando. Si offre di accompagnarmi a cavallo, ed io ridendo, gli dico che sono un pellegrino che va a piedi; mi trattiene con un sacco di domande, vuole essere informato di tutto, in particolare da dove provengo, da dove sono partito e quale è la mia meta. E’ sorpreso dalle mie risposte, la sua curiosità è dettata dal fatto che ha ospitato tre giorni fa dei pellegrini inglesi che, a cavallo, erano diretti a Roma, ma non gli avevano detto quale “direttrice” seguivano. Poi mi augura buon cammino salutandomi calorosamente: devo dire che l’idea di raggiungere Les Archots a cavallo non era poi tanto male…Arrivo ad un bivio dove un cartello in legno indica a destra “Les Archots” finalmente; una stretta stradina si inoltra fra gli alberi a destra rasentando una casa, sembra non finire mai, ma sono io che sono stanco ed anche assetato. Poi scende ripidamente in una valle ed ecco la Gite mai così tanto desiderata; è bella, con dei muretti a secco che delimitano dei sentieri; vi è anche un affusto spezzato di un calvaire. Serge François mi accoglie sulla porta e mi fa accomodare offrendomi dell’acqua, sono ora le 18 e quando gli chiedo se vi è un telefono per informarmi a Pierrecourt da M. Morel, se ne occupa lui dicendomi di riposarmi. M. Morel però al momento è assente, per cui riproverà più tardi a telefonare. Poi mi conduce ad una stupenda cameretta tanto è bella e confortevole; sistemarmi comodamente e prendere una vivificante doccia è una questione di pochi minuti, e bevendo un litro di fresca acqua mi tonifico del tutto. Sono di nuovo vispo ed in forma, così anche i piedi che erano doloranti, al controllo, risultano perfetti; solo i Km sono stati tanti e caldi. Scendo da Serge che mi attende, è ansioso di conoscermi e di conoscere in maniera dettagliata questo pellegrinaggio di cui gli ho detto poche parole finora; mi dice che l’anno scorso, qui vi è stato un Italiano con il figlio di 8 anni, e di un altro di nome Daniele Sampietro di Treviso, dell’Associazione dei Romei della Via Francigena due anni fa. Mi mostra molto orgoglioso il mappale del terreno su cui è costruita la Gite, indicandomi che proprio davanti ad essa, vi è il tracciato di una Via Romana che prosegue nel bosco di fianco alla Gite. Domattina quando partirò mi accompagnerà, mi informa che a Fayerolles vi sono dei resti ben restaurati di una villa Gallo-Romana molto belli; erano però ad est di Marac, lontano 4 Km dal percorso. Poi mi dice che a Langres, vi è un Auberge de Jeunesse di cui nel mio libriccino degli Auberge non vi è menzione,e mi mostra un ciclostilato in cui è riportato l’indirizzo; è meglio che io non l’abbia saputo; non sarei venuto qui, non avrei mai conosciuto Serge e non avrei mai saputo di questa Via Romana che passa a due metri da casa sua. Serge vuole essere informato dettagliatamente di questo mio pellegrinaggio, ed è allegro e contento di venire a conoscenza di tutte queste notizie; forse il fatto di essere sul percorso di una Via di pellegringgio non lo aveva mai sfiorato, e ne è orgoglioso. E’ felicissimo di queste straordinarie informazioni assolutamente inattese, e complimentandosi del fatto che io stia compiendo un pellegrinaggio cosi lungo e da solo, mi offre gratuitamente la cena. Mi dice che ho molto coraggio e volontà; dentro di me penso che è la Provvidenza in cui confido graniticamente, a darmi la fede sufficiente ed il coraggio necessario per camminare ogni giorno verso la ancora lontanissima meta. La cena è a dir poco luculliana, mi impone di mangiare tutto perché oggi la tappa è stata lunga; nel frattempo telefona a M. Morel a Pierrecourt e me lo passa al telefono, egli mi assicura che vi è posto nella Salle des Fetes; per la cena, sarò ospite a casa sua!! A Pierrecourt non vi è nessuna altra possibilità di alloggio, mi suggerisce anche di arrivare a Pierrecourt dopo le 14, per impegni che ha già assunto. Sono stupito e meravigliato; ho soltanto bisogno di un tetto, non mi servirebbe nulla di più; invece tutte queste persone, mi donano cortesia e disponibilità senza neanche sapere chi sono, e da dove provengo. Sento un nodo che mi stringe la gola, deve essere sicuramente un tozzo di pane. Non voglio credere che è una commozione fortissima che mi invade ogni giorno di più, venendo a conoscere queste persone, fino ad ora sconosciute, che mi aprono la porta delle loro case.

Esse sono coloro che rispondono cristianamente a chi mette in pratica le parole di Gesù:

“ Bussate e vi sarà aperto ”

19-06-00: Lunedì, Chalindrey (Les Archots) – Pierrecourt, 20 Km 6 h

Ho riposato bene in questo angolo agreste immerso nei boschi al fondo della valle, anche gli altri ospiti sono rientrati presto ieri sera per cui nulla vi era a disturbare il silenzio. Sono le 7,40 e Serge ha preparato una sostanziosa colazione che faccio in fretta a consumare; mi conduce poi, quando sono in partenza, sull’originario tracciato della Via Romana che passa davanti alla Gite. Entriamo nel bosco a destra, in leggera salita, seguendo una larga ma esile traccia che sparisce sepolta dalle ortiche e dai rovi (io sono in calzoncini corti, ma nonostante ciò non vengo urticato). Proseguiamo sempre diritti verso il pianoro sovrastante e là giunti, scavalchiamo una recinzione di filo spinato entrando in un grande pascolo; mi dice di procedere sempre diritto, fino ad incontrare la recinzione dall’altro lato; poi aldilà, ci dovrebbe essere il sentiero Romano più definito e netto. Lui deve rientrare alla Gite per preparare la colazione agli altri ospiti e mi saluta augurandomi buon cammino. Così faccio, e con un po’ di pazienza riesco ad individuarlo; lo ritrovo, ripassando la recinzione in direzione di alcuni alberelli, trovandomi su un sentiero pavimentato con grosse pietre, che corre fra due siepi, la cui pavimentazione è senza dubbio alcuno quella di una Calzada Romana. Larghe pietre piane, lucide e scure fra l’erba che stenta a crescere fra gli interstizi; è molto simile alla Calzada Romana che ho avuto modo di ammirare in Spagna, nella Navarra a Cirauqui; è lungo un centinaio di metri, e termina poi, ad una curva della D 136. Scatto alcune foto per ricordarmene, ripartendo verso la Forêt Domanial de Bussieres-les-Belmont, molto fresca ed ombrosa. Transito davanti alla bella Ferme de La Grosse Sauve, che si trova in una grande radura; sul bordo della strada ci sono dei Calvaire (croci di Via), chiara testimonianza che questa strada era una Via di pellegrinaggio nei secoli scorsi. Cammino con calma senza affrettarmi, la tappa di oggi è di soli 20 Km e devo giungere a Pierrecourt non prima delle 14, quando vi sarà anche M. Morel. Poco prima di Grenant, a sinistra della via in una radura, vedo due grosse querce che, molto vicine e solitarie, mi incuriosiscono; mi avvicino, e vedo che infatti celano alla vista un bel Calvaire su cui sono incise delle lettere, troppo erose per poter essere leggibili. Mi siedo sull’affusto in ombra a riposare: dove sono le altre querce che questa radura circolare fa supporre esistessero? Vi era un solo Calvaire, oppure secoli fa qui vi era un’ara Gallica poi rimossa?

Belle domande, che la mia passione per i Dolmen, Druidi e Celti, sospinge ed accalca nella mente liberandola da altri pensieri più prosaici, lanciandola al galoppo dove la fantasia sovrana, pensa di scorgere segni di una civiltà che la appassiona e la avvince. Riprendo la via discendendo un vallone, sbucando improvvisamente dal bosco nella pianura che mi si para innanzi vastissima; da una distesa di frumento alla mia sinistra un daino, così mi sembra, schizza dalle spighe scappando a grandi balzi verso il limitare del bosco, cercandovi riparo disturbato dal mio sopraggiungere silenzioso. Anche in questa vasta pianura vi è del grano che sta maturando, ed altro grano è di color bianco dalle spighe vuote; mi riprometto di chiedere a M. Morel il perché. La D17 è ora in pieno sole, ed io come un dandy inglese decaduto ed un po’ male in arnese, apro il magico ombrello che mi ripara dai raggi del sole gia infuocati; anche piccole mandrie di bovini cercano riparo sotto solitari alberi nel mezzo dei pascoli, o vicino agli abbeveratoi. Giungo a Pierrecourt e da una cabina telefono a M. Morel che mi attende davanti a casa sua, sulla via, poco più avanti; cortese ed affabile, mi offre una fresca birra e mi accompagna alla Salle des Fetes presso la Mairie, proprio davanti a casa sua. E’ bella e nuova, vi sono i servizi ed un bel parquet dove stendere il sacco a pelo; ampie finestre dove il sole entra, mi permetteranno poi di stendere il bucato che devo fare, dato che ieri non ne ho avuto il tempo. Dopo aver terminato di sistemarmi, faccio una siesta fino alle 16 e poi raggiungo M. Morel a casa sua; mi presenta a sua moglie Paule che, gentilissima, si informa del pellegrinaggio e di come procede; gustiamo assieme un paio di fresche birre e poi mi accompagna a visitare la chiesa del villaggio risalente al XII secolo; ha un altare di bianco marmo di Carrara e delle notevoli vetrate, ed è dedicata alla Vierge de Boulogne. E’ stupefacente trovare in questi piccoli villaggi questi piccoli tesori d’arte. In macchina poi andiamo ad Aumônières, dove vi sono dei ruderi di una torre campanaria, resto di un antico hospital per i pellegrini risalente al XI secolo; tutto il complesso fa ora parte di una Ferme e quindi proprietà privata. L’edificio dell’hospital è ora trasformato in abitazione, mentre la torre campanaria versa in gravi condizioni di degrado; su una parete è ancora visibile il segno di un tetto che non vi è più, mentre l’edera copre per gran parte tutta la parte inferiore. Andiamo a parlare con i proprietari che stanno riparando una trebbiatrice, ringraziandoli per il permesso; vengo a sapere che nella parte inferiore della torre, ci dovrebbe essere una cripta, che però non viene portata alla luce; in quanto ci sarebbe poi un andirivieni di studiosi e turisti che arrecherebbero disturbo ai proprietari. Secoli fa, una conduttura ancora presente, captando a monte la sorgente di una acqua ferrugginosa, la portava ad una fontana che esiste ancora oggi, di fianco alla torre in un muro ricoperto di edera, nascosta da macchinari agricoli fuori uso. Il non voler riportare alla luce tutto questo, è deludente da un certo punto di vista, ma perfettamente comprensibile sapendo ciò che accade in Italia in simili casi…Ritorniamo a Pierrecourt facendo il giro delle potagères (orti) di Charles Morel; mi dice che zappettando e prendendosene cura, è un modo per ritemprarsi dagli stressanti problemi che gli procura il lavoro (problemi e soluzioni comuni a tutte le latitudini….). Si occupa di telefonare per me a Oiselay-et-Grachaux per trovarmi un alloggio (io ho solo la località ed un nominativo con l’indirizzo); contattando Madame Scheifert, factotum della Parrocchia che gentilmente acconsente alla ospitalità. Lei mi raccomanda di non affrettarmi poiché fino alle 17, avrà degli altri impegni. Anche per domani avrò un tetto; non so se alla Salle des Fetes od altro, ma è più che sufficiente e gliene sono grato. Appuntamento alle 19 per la cena in casa sua; vi è anche sua suocera ed è una cena animata. Charles si occupa della cucina e traffica ai fornelli, mentre noi tre parliamo del mio pellegrinaggio; mi dicono che Corbellini & Co, sono stati loro ospiti nel ’96, e sono interessati a sapere come si sta sviluppando ora questa Via. Chiedo a Charles la ragione per cui, alcuni appezzamenti di frumento hanno la spiga di color bianco che non porta quasi frutto, mentre altri appezzamenti accanto, hanno le spighe gonfie dal chicco; mi risponde che la ragione è nel fatto che, vi è stata di una settimana di caldo torrido che ha colpito queste zone, ed il frumento non ha potuto essere tutto irrigato, in tempo e sufficientemente. Ecco perché alcuni appezzamenti hanno sofferto più di altri la calura, e nel momento della crescita, la spiga ne è rimasta scottata e bruciata. La cena è ottima e la sera scorre veloce; sono contenti di venire a conoscenza di tutte le notizie che gli porto riguardanti la Via Francigena, ed ancor più perché possono apprendere tutte queste notizie in francese! Charles mi da appuntamento per domattina alle 6 per il caffè (poi lui dovrà andare al lavoro), naturalmente non vogliono assolutamente nulla, né per la cena né per altro;mi chiedono di pregare per loro quando arriverò a Roma.

20-06-00: Martedì, Pierrecourt – Oiselay-et-Grachaux. 39 Km 10 h

Il parquet mi sembrava in un primo momento duro, ma devo dire che ho dormito bene e mi sento a posto. Ora sono le 6 e mi avvio a casa di Charles per prendere il caffè; ho lo zaino leggero a ricordarmi che devo acquistare i viveri per la tappa di oggi, alla prima epicerie che troverò sul percorso. Charles Morel, sindaco di Pierrecourt mi attende offrendomi una tazza di caffè fumante, ed assieme a sua moglie Paule, mi salutano cordialmente quando prendo la Via, regalandomi due belle mele. Sono sulla strada verso Oiselay ed il sole è già sorto all’orizzonte proprio davanti ai miei occhi; devo soltanto camminare sempre diritto sulla D5 mi ha detto Charles: eh sì, la mia cartina termina a Larret, e fino a Oiselay non ho riferimenti precisi se non i cartelli stradali. Sigerico non aveva nemmeno quelli; sicuramente seguiva il sole indirizzandosi al meglio sulla Tavola Peutingeriana, il non plus ultra per i pellegrini di allora. Sorrido a denti stretti, perché procedere così, senza avere la possibilità di conoscere eventuali strade, o tratturi a lato del percorso che possono farmi risparmiare dei Km è disarmante; comunque la guida di G.Caselli può sopperire al meglio. Tengo un buon passo poiché la tappa è lunga, e vorrei evitare di trovarmi nella calura pomeridiana con parecchi Km da percorrere ancora; meglio eventualmente attendere ad Oiselay all’ombra, o meglio ancora, seduto davanti ad una birra fresca al un tavolino di un bar. Passo da Larret piccolo villaggio in aperta campagna; una bella chiesa con una notevole abside rispetto al corpo della stessa, sorge a lato della strada. Un piccolo ed originale monumento in mattoni che ricorda due zanne di elefante, protegge una Vierge con il Bambino, sulla destra della Via poco più avanti. Passo da Brevautey, un villaggio di poche case, poi costeggiando il Bois de Roche, arrivo alla Chapelle de Notre-Dame des Malades ; una piccola Cappella del 1729, come riporta l’iscrizione nella targa posta sopra l’arco della porta, mentre la pietra di volta ha incisa la data del 1864, sotto ad un simbolo che non conosco. Passo da Vaite, dove acquisto i viveri per oggi e poi, uscendo dal Grand Bois giungo al Porto di Savoyeux sul canale poco prima della Saône; dove sono ancorate molte barche da diporto pronte a mollare gli ormeggi. Passo su un secondo ponte la Saône, lenta e maestosa, che si increspa solo ad una piccola cascata là in fondo al villaggio di Seveux; proseguo inoltrandomi nel Bois de Savoyeux, dove mi riposo per mezzora in un prato all’ombra; sono parecchio in anticipo ma il sole gia scalda. Il paesaggio ha perso la sua vastità, ora vi sono collinette che limitano l’orizzonte e le coltivazioni lasciano piano piano il posto alle zone di pascolo. Alla Chapelle de St-Quillain mi fermo ad un lavatoio per rinfrescarmi e chiedo ad un ragazzo se può darmi dell’acqua che gentilmente prende nella sua casa. All’orizzonte vi sono delle nuvole altissime a forma di fungo, ed ieri M. Morel mi aveva detto che erano nuvole temporalesche sulla vicina Svizzera. Ciò mi aveva colpito perché non avevo pensato di essere vicino così alla Svizzera, una regione dal clima molto più variabile data la sua orografia. Dopo Etrelles-et-la-Montbleuse, raggiungo Oiselay-et-Grachaux quando sono le 16,30; ad una cabina telefonica cerco di telefonare all’Auberge de Jeunesse di Besançon, ma è guasta e quindi dovrò telefonare domani sul percorso. Mi reco alla chiesa dove l’Abbè sta officiando Messa e vi assisto, al termine, gli chiedo se può appormi il timbro della Parrocchia ma mi risponde che con c’è, e chiudendo il portone se ne va senza chiedermi né chi sono né cosa ci faccio in questo piccolo villaggio. Perché questi Abbè non sono curiosi? Hanno sempre un atteggiamento depresso come se aspettassero che qualcosa finisca perché mal sopportato, perlomeno questa è la mia deduzione quando riesco ad entrare in contatto con loro; non c’è mai un sorriso franco o degli occhi vivi che ti scrutano! Mi siedo sui gradini della Chiesa aspettando Madame Scheifert, suscitando la curiosità di un gruppo di ragazzi, che mi si stringono attorno facendomi un sacco di domande; ecco finalmente! Benedetta gioventù questo è il vero sale della vita: la curiosità!.

Arriva una Madame in macchina e mi invita a casa sua assieme a suo figlio Bernard; mi dice che è la sorella di Madame Scheifert la quale purtroppo ha degli impegni e non mi può ospitare: lei con suo marito ed i loro figli, mi accoglieranno nella loro casa. Bernard mi cede la sua cameretta, lui dormirà con le sue due sorelline vivaci ed allegre che si chiamano Melody e Juliette, ed i nomi dei suoi genitori sono Cristophe e Marie-Noelle. Mi fanno accomodare, poi dopo una buona doccia mi invitano alla loro tavola a prendere parte alla cena; Cristophe è stato parecchie volte in Italia e si ricorda qualche parola di italiano, sua moglie Marie-Noelle, è istitutrice presso un collegio qui vicino; sono molto cordiali ed alla mano, così come le loro due figlie e Bernard. Mi subissano di domande sul pellegrinaggio ma anche sull’Italia in generale. Al termine della cena, Marie-Noelle deve uscire per delle incombenze e mi augura la buona notte, mentre noi con una tazza di caffè in mano ci spostiamo in giardino chiacchierando e giocando con Chipy, il loro cane, uno spinone vivace ed intelligente dai grandi occhi furbi. Alle 22, ci diamo la buonanotte e l’appuntamento per domattina alle 6,20 per la colazione. Anche oggi la Provvidenza ha tenuto le sue mani sopra me mandandomi a questa famiglia; sto accumulando enormi debiti di riconoscenza verso tutte queste persone gentilissime e dal comportamento cristiano, esse rispondono sempre sì al mio bussare!

21-06-00: Mercoledì, Oiselay-et-Grachaux – Besançon 24 Km 7 h

E’ piccola ma accogliente la cameretta di Bernard, ed è tappezzata di manifesti della Coppa del Mondo di sci (lui è un appassionato sciatore). Vi ho dormito benissimo, ed alle 6,20, faccio colazione con Cristophe e Marie-Noelle, poi parto lasciando i saluti per Bernard, Melody e Juliette che ancora dormono. Nonostante abbia ben riposato sento ancora nelle gambe i Km di ieri e dell’altro ieri, per cui non mi affretto più di tanto; la tappa è corta e l’Auberge di Besançon è aperto 24/24h. A Bonnevent Velloreille, in un bar già aperto prendo un altro cappuccino e due croissant pieni di zucchero che mi rimettono in form; ed ad una epicerie mattiniera acquisto i viveri per oggi, più avanti sulla strada, un claxon mi saluta; è Cristophe che va al lavoro in città. La D3 è parecchio trafficata, Besançon è vicina ed il pendolarismo è un fenomeno comune a tutte le latitudini; io per arrivarci ci impiegherò mezza giornata mentre “loro” in macchina, solo trenta minuti: povero pellegrino… Passo da Etuz e poi da Cussey-sur-l’Ognon dove vi sono 2 Hotel, la vicinanza di Auxon-dessus ed Auxon-dessous due località turistiche, spiega la ragione della loro presenza. Qui decido di prendere, dopo aver consultato la cartina, la D1; ed immettermi sulla N57 a Miserey-Salines. La D230 che dovrei prendere, incontra parecchie strade ed incroci e le curve di livello sulla cartina, fanno presumere delle salite non proprio desiderate, addentrandosi infine nella cittadina di Miserey-Salines. Ho già fatto parecchie esperienze negative, sul fatto di attraversare i grandi sobborghi; i quali, non presentando una direttrice unica di attraversamento, sono fonte di perdite di tempo e di sbagli di direzione; per cui credo di aver deciso al meglio. Arrivo tranquillamente fino al cavalcavia dell’ Autostrada A36-E60, poi ecco materializzarsi l’incubo peggiore per un pedone; enormi e maligni svincoli ed incroci si susseguono l’uno all’altro, con tunnel e sottopassaggi in cui le vetture si scaraventano serenamente; seguire la direzione del Centro città è una impresa, ma non vi è altra scelta. L’Auberge de Jeunesse si trova nel quartiere “Le Cras”, naturalmente in salita ed all’estrema periferia Est-Nord-Est, e quando vi giungo sono vicino a maledire le grandi città. Sono le 14 e non ho mai fatto così tanta fatica per trovare un Auberge, che più tardi si farà perdonare per la sua accoglienza e funzionalità. L’addetto è di una cortesia inarrivabile quando gli dico da dove provengo ed il motivo; mi da una cameretta tutta per me con i servizi in camera; il costo con le petit-dejeuner è di soli 40 FF e se ceno qui stasera sono altri 40 FF: strabiliante ed estremamente economico! Mi accomodo ben bene, poi lavo tutto il lavabile e, un poco sul davanzale ed il rimanente su una cordicella tirata in camera, faccio asciugare il bucato (cose da nulla e forse banali, ma estremamente importanti; più di una volta le persone mi hanno fatto notare il mio scarno ma sempre pulito guardaroba, ed ho colto in loro un aperto apprezzamento per ciò). Esco discendendo la via verso il CentreVille, dirigendomi ad un ponte sul fiume Doubs dove ci dovrebbe essere L’O.T:; mi procuro la pianta della Ville, ed una signorina che era stata in vacanza a Bergamo Alta (di cui tesse le lodi); mi procura i numeri telefonici di Mouthier-Haute-Pierre e poi di Pontarlier, dicendomi che là vi è un Auberge de Jeunesse. A Pontarlier, vi ero stato da ragazzo campeggiando, di passaggio verso il Belgio, e sento ancora un feeling particolare con questa località per cui ho deciso di farvi tappa. Riesco ad avere ospitalità in ambedue le località, e ne sono contento. Poi sarò in Svizzera dove incontrerò Vincent, ad Yverdon, anche là vi è un altro Auberge. Con costernazione mi accorgo che ho dimenticato la macchina fotografica in camera, non posso riprendere la Cattedrale e tutto quanto sto vedendo ora; è un grosso guaio, e penso di potervi rimediare domattina partendo più presto per fare le foto, mentre ora devo rientrare per acquistare le vettovaglie per domani al Petit-Casinò; situato proprio di fronte all’Auberge che infatti assolve bene alla bisogna appena in tempo prima che chiuda. La cena è self-service, abbondante e dagli ottimi cibi; un Auberge a 4 stelle non c’è che dire. Anche il letto si dimostra poi nel momento del bisogno all’altezza della situazione; per cui penso che domani sarò in forma per affrontare le prime asperità prealpine, che mi avvicineranno alla Svizzera!

22-06-00: Giovedì, Besançon – Mouthier-Haute-Pierre. 36 Km 9,30 h

La sveglia è alle 5,30, e fuori c’è il diluvio con una pioggia scrosciante che i pluviali dei tetti non riescono a contenere: proprio oggi che mi devo avvicinare alle montagne! Quasi mi viene voglia di rimanere qui un altro giorno; ma a che fare? Fare del turismo in città con questa pioggia non è proprio la mia aspirazione. Aspetto le 7 quando sembra che la pioggia diminuisce di intensità, e mentre prendo la colazione decido di partire qualunque sia il tempo. Alle 7,30 parto completamente attrezzato per le immersioni (pantaloni lunghi, Kway, coprizaino, ombrello e dita incrociate): 100m di strada e la pioggia ricomincia…Mi dirigo al ponte sul fiume Doubs dove scatto alcune foto agli alti campanili della Chiesa di St-Jacques, alte sopra i tetti della città. Il mio programma fotografico mattiniero è andato a pallino, è ciò che penso mentre prendo la riva destra del fiume, verso il quartiere La Morre camminando sulla N7-E23, che mi condurrà a prendere la D67 per uscire da Besançon. Uscire da Besançon è ancora più rischioso che entrarci e purtroppo l’orario è quello dell’ apertura degli uffici; il traffico in entrata sulla N57 ha un solo aggettivo:”pericoloso”. Più volte mi devo addossare alle pareti del monte od ai guard-rail, per evitare vetture e camion che, complice la pioggia mi sfiorano, questo fino alle case di La Morre poi non vi sono più curve cieche o strettoie e la strada diventa più percorribile anche per me. Sono le 9,30 in questo momento e sono solamente all’incrocio con la D464; mi dirigo velocemente al successivo incrocio per prendere la D67, trovando delle difficoltà di direzione a causa del notevole incrocio di strade non ben segnalate; ha smesso di piovere, ma è sempre nuvoloso ed il tasso di umidità è elevato, per cui mi tolgo il Kway onde evitare l’eccessivo caldo sulla schiena sotto lo zaino. Qui il traffico è più accettabile essendo una dipartimentale laterale alla N57 e vi si cammina bene; vi è nebbia qui ed in lontananza, lassù sui rilievi montagnosi le nuvole coprono le alture. Arrivo a Tarcenay e da qui la strada comincia a salire; il paesaggio sarebbe bello con il sole, ma in questo momento ha un aspetto invernale, con vapori e nebbie che salgono dai prati o scendono dalle alture. La D67 compie un’ampia curva nella valle, portandosi di fronte alle alture di Ravin du Puits Noire, e con una secca curva a destra, inizia a risalire il corso del fiume Loue, che proveniente dall’omonima valle si dirige verso Scey-Maisières. Procedendo verso la cittadina di Ornans ho il fiume Loue alla mia destra, è un fiume limpidissimo; alle volte è lento e placido, poi si restringe e diventa più allegro facendo la gioia dei numerosi canoisti che pagaiando con foga risalgono le rapide. Ornans è una cittadina tutta allungata ai bordi dalla strada, non può essere altrimenti vista l’orografia dell’ambiente in cui è situata; ha due Hotel ed una Gite, Qui si può prendere il sentiero della GR595 in cui mi guardo bene dall’avventurarmi oggi anche se mi dispiace, ma sta piovendo ed andare per sentieri quando piove non è piacevole visto anche dove si sviluppa. Giungo a Montgosoye, un piccolo e bel paesino; qui vi sono delle calette ai bordi del fiume, dove una scuola di canoismo porta parecchi allievi canoisti su dei furgoni che portano la scritta “Gite de Syratu”. Attraverso Vuillafans un borgo più popoloso ma interessante; anche qui vi sono delle Chambre d’hôtes ed un Hotel. La D67 serpeggia seguendo il corso della Loue avendo alla sinistra le ripide muraglie della Roche di Hautepierre: è un vero peccato che il tempo mi neghi lo spettacolo che questo ambiente è in grado di dare; con il sole splendente, queste alture dalle profonde gole, e la valle verdeggiante tagliata dal fiume, avrebbero formato un quadro meraviglioso, Quando arrivo a Lods mi devo fermare sotto una pensilina d’autobus, la pioggia sta scrosciando ed io non ho mangiato né bevuto nulla da quando sono partito da Besançon; una sosta di 20 minuti, e poi riparto arrivando a Mouthier-Haute-Pierre con la pioggia che è sempre battente. Il mio vestiario si dimostra perfetto sotto tutti i punti di vista; sta reggendo benissimo a tutta questa pioggia, ne sono soddisfatto pensando tra poco tempo di dover transitare in Svizzera, territorio non certo arido…Trovare la Gite è parecchio difficoltoso; il nome della via non lo conosce nessuno per cui telefono alla Madame che mi dice di scendere in riva al fiume, ad una grande casa facile da trovare. Il villaggio è 50 m più in alto e ci vuole parecchio impegno per arrivarci; è una grande casa ricoperta di edera proprio in riva al fiume. Il proprietario si chiama Joseph Foglia ed è originario del Piemonte; l’ambiente è quello di un rifugio di montagna con una cucina a disposizione. Dopo la doccia ritorno al villaggio risalendo un piccolo sentiero panoramico per telefonare a casa ed a Vincent, ad Yverdon. Quando rientro alla Gite vi sono altri giovani ospiti; difatti la Gite è una base per gli sports nautici sulla Loue, belle passeggiate sulle rive e nei canyon si sviluppano lungo il suo corso, e le sue gole nascondono diverse grotte e la stessa sorgente del fiume. Mi cucino una busta di minestrone mentre la temperatura, complice la pioggia, si è parecchio abbassata e qualcosa di caldo è benvenuto; dei panini con prosciutto e salame danese affumicato con l’immancabile CocaCola concludono una tappa umida ma tutto sommata bella. Le grandi pianure sono finite, e bisognerà adattarsi ad un tempo verosimilmente più variabile ed instabile; almeno fino a quando i miei piedi non calcheranno la Pianura Padana, in Italia.

23-06-00: Venerdì, Mouthier-Haute-Pierre – Pontarlier 18 Km 4 h

Sono stato cullato tutta notte dal rumoreggiare del fiume ma il dilemma era: è il fiume oppure è la pioggia? Svegliandomi alle 6 vedo che erano sia l’uno che l’altra, difatti ora non piove più ma le foglie stanno gocciolando copiosamente. Alle 7 quando scendo per fare colazione (la Madame ha anticipato l’orario apposta per me), non piove più e lei tutta contenta e strizzandomi l’occhio mi dice:« il va a faire beau », indicandomi degli squarci di azzurro troppo piccoli per potergli credere ciecamente; però prego specificatamente affinché la pioggia non cada più oggi, ma arrivi il sole. Mi è piaciuta questa Gite, appartata e tranquilla, rustica ma con confort all’altezza del luogo e della bisogna. La lascio risalendo il ripido sentiero panoramico che mi porta nel villaggio ancora immerso nel silenzio, e ne esco camminando sulla strada che in salita mi porta a camminare fra pareti altissime alla mia sinistra, ed il canyon profondo e vasto alla mia destra. Dei cartelli che mettono in guardia contro la possibile caduta di pietre dall’alto. mi convincono a camminare a destra; di lato alla parete sulla strada, vi sono pietre piccole come noci, ma altre sono grosse come mele; ed io ho solo un panama che mi protegge la testa. Il panorama che ho negli occhi è estremamente selvaggio; se non vi fosse l’asfalto che riconduce alla realtà dell’oggi ed alla presenza umana, sarebbe quello di un ambiente del Giurassico, primordiale e incontaminato, ed eventuali giganteschi dinosauri non sarebbero affatto fuori luogo…Sull’altra parete del canyon vedo la Grotte des Faux Monnayeurs; proseguo addentrandomi nelle Gorges des Nouailles, sembra che non abbiano mai termine, profonde e scure; anche il tempo, cupo e nuvoloso contribuisce a rendere il tutto più orrido. Quando ne vengo fuori sbucando su un pianoro, vi è un incrocio di strade, ed in alto a sinistra, una bella costruzione ospita una Gite. Proprio di fronte, un alberghetto con l’insegna di un Caffè offre delle Chambres: quindi possibilità di alloggio dove meno te lo aspetti! La strada che scende a sinistra porta ad Aubonne, ma la D67 che devo prendere non è segnalata, vado a destra per 500m, poi trovo il cippo con la scritta D67 tranquillizzandomi e riprendo a salire con fiducia tra pascoli ed abetaie; le nuvole sono sempre pronte a stillare pioggia mentre il vento freddo e teso mi si infila nelle maniche del Kway. Giungo a Le Main; poche case che affiancano la strada, e con un ultimo strappetto mi immetto sulla trafficata e malvista N57-E23. Da qui in poi non vi è più poesia fino all’ingresso di Pontarlier, dove entro impettito passando (come un piccolo premio), sotto l’Arco di Trionfo del XVIII secolo. Arrivo all’Auberge alle 11,30, appena in tempo per registrarmi, dato che alle 12 chiude e riapre alle17. Vi sono già ospitati parecchi ragazzi tedeschi arrivati con un autobus, probabilmente in gita scolastica, che occupano tutta la camerata al piano superiore. Mi viene assegnata una piccola cameretta con due letti, però non vi è la possibilità di lavare gli indumenti dato che non asciugherebbero visto il tempo. L’Auberge è vicino al centro città per cui appena pronto esco a visitarla, è una gran bella città dove un sacco di gente passeggia nelle vie del centro attardandosi davanti alle vetrine: ed io che mi ricordavo quanto fosse modesta e piccola la Pontarlier di 35 anni fa, dove in una segheria all’entrata del villaggio, dormimmo nei sacchi a pelo! Entro nella bella chiesa di San Benigno per visitarla, e poi busso alla porta della Curia per avere il timbro sulla credenziale; finalmente un Monsignore che, sorridente ed affabile, mi appone il timbro chiedendomi ragguagli ed interessandosi alla Via di pellegrinaggio che sto percorrendo. In un piccolo negozio faccio la spesa per domani prima di rientrare all’Auberge, dove attendo per la cena, ho un ospite nella cameretta, è un ciclista tedesco risiedente in Italia che sta pedalando da due mesi, compiendo un tour per l’Europa: Italia, Spagna, Francia, Svizzera e Germania; mi confida che saranno all’incirca 12000 Km ed il suo budget di circa 11 milioni di lire, è per una durata di tre mesi. Incontri straordinari fra gente normale; rimango colpito dal fatto che sono sempre gli stranieri che, forse avendo una forma mentis più svincolata della nostra dal comune comportamento, considerano questi modi di conoscere il mondo come i più adatti e naturali, e non come degli esploits compiuti da persone fuori dal comune!

24-06-00: Sabato, Pontarlier – Yverdon 36 Km 9 h

Un brontolio di tuono in lontananza mi sveglia quando sono le 6 e vedo che sta piovendo, mentre le montagne sono coperte da nuvole scure e frastagliate che si abbassano nascondendone le cime. Anche per oggi si prospetta una giornata di cammino con la pioggia, sembra che la Svizzera desideri sul suo territorio solo dei pellegrini ben lavati…

Attendendo le 8 per la colazione (regole della casa), il mio compagno di camera mi confida che si trasferirà a Mulhouse in treno; con questa pioggia non se la sente di pedalare, effettivamente il suo equipaggiamento è molto scarno e non adatto per le giornate piovose e fredde come questa. Dopo la colazione alle 8,30, parto ben coperto mentre la pioggia cade a scrosci; sembra più un temporale che non si decide a transitare, che un tempo stabilmente piovoso per cui confido in un miglioramento. Pontarlier è a 800m di altitudine ed io devo salire a circa 1150m presso la Dogana franco-svizzera. Esco da Pontarlier attraversando il Faubourg de St-Etienne inoltrandomi nella gola di Cluse-et-Mijoux, controllata dall’alto a sinistra dal Fort du Larmont, ed a destra dal Château de Joux, poi tre Km più avanti, prendo la D6 che con una salita sostenuta, mi porta a Les Fourgs. La pioggia è intermittente; ora copiosa ora leggera, mentre le nuvole tendono a lasciare intravedere il panorama sollevandosi; il paesaggio è bellissimo con piccoli squarci di sereno,che lasciando filtrare raggi di sole fra le nuvole, illuminano come delle lame lucenti, pascoli ed alpeggi bordati da grandi abetaie, dove il verde incontrastato domina. Vi è poca gente in giro qui a Les Fourgs; credo che in estate vi siano solo gli abitanti a popolarlo, mentre in inverno si trasforma in stazione sciistica visto che vi sono degli impianti di risalita. Cammino bene in salita e mi meraviglio di come il mio fisico stia rispondendo bene a tutte le sollecitazioni che questo pellegrinaggio comporta: caldo, sole, pioggia, vento, freddo, cibi mai in orario, tutto mi scivola addosso senza intaccarmi minimamente; ne sono felice, ma mi dico che ho ancora un mese di cammino davanti, ed in Italia farà sicuramente più caldo…La strada sale ancora, ma ormai dovrei essere vicino alla Dogana dell’Auberson, che dopo una curva in discesa mi appare improvvisamente; sono emozionato, ma con mio grande stupore non vi è nessun doganiere, neanche un cane a cui chiedere di appormi il timbro sulla credenziale; anche le rare vetture in transito tirano diritto senza fermarsi!

Sono in Svizzera, una parte del cammino è alle spalle e se ne apre una nuova; non ho mai calcato il suolo svizzero come pellegrino, però so che, molto prosaicamente, sarà molto più cara della Francia dal punto di vista finanziario… Più avanti in cima ad un colle mi fermo presso un’area attrezzata con panchine preparandomi due bei panini al formaggio; ma la sosta viene guastata da un improvviso acquazzone che un vento teso ha portato improvvisamente, costringendomi a camminare ed a mangiare nel medesimo tempo, con l’ombrello aperto. Passo poi dal Col des Etroits e ad un bivio prendo a destra per St-Croix, bel villaggio adagiato in una conca; anche questo mi sembra un villaggio che vive di turismo dato che vi è poca gente, ma le molte case e gli impianti di risalita fanno intuire che la sua vita è prettamente invernale. A Pontarlier ho saputo che qui vi è un Auberge de Jeunesse, mentre le mie fonti di informazioni non lo segnalavano. Cammino ancora su questo piccolo altipiano vallonato; il sole ora si sta facendo strada ed il vento soffia via le nuvole nere sostituendole con altre bianche. Ancora poche salite, poi comincio a scendere decisamente ed a una curva, intravedo in basso e lontano, Yverdon-les-Bains sulla riva del lago di Neuchâtel. Qui sono arrivato alle Gorges de Covalanne e la strada scende con numerosi e lunghi tornanti nella Piana dell’Orbe, molto in basso. Dei cartelli con i rombi gialli del Tourisme Pedestre mi indirizzano per dei sentieri che, tagliando questi tornanti e scendendo ripidamente, mi fanno risparmiare strada e tempo; però devo porre parecchia attenzione, dato che sono ingombri di foglie e rami che li rendono scivolosi. Il panorama si allarga sempre più mano a mano che scendo, mentre ammiro l’ampia Piana dell’Orbe trapuntata da fazzoletti di terreno, che i colori delle diverse coltivazioni fanno assomigliare ad un patchwork agricolo… Alle 17 sono alla periferia di Yverdon; devo chiedere informazioni per arrivare al centro e là giunto, un pannello presso la Gare mi indirizza in Rue des Bains dove è l’Auberge. Mi avvio ma mentre chiedo indicazioni ( l’O.T. è chiuso), mi viene detto che non è più là, però non sanno dove sia ora. Ci vuole più di un’ora per avere l’informazione giusta da alcuni ragazzi; è situato esattamente all’opposto da dove era prima, ed adesso si trova in riva al lago, sul lato destro del canale dove è l’alaggio delle barche da diporto. E’ difficile da trovare non essendo segnalato da nessun cartello e quando vi entro, una ragazza zurighese che parla italiano mi dice che l’Auberge non esiste più, e questa è la “Gite du Passant” che ha preso il suo posto ed è privata. Mi dice anche che Vincent è stato lì a cercarmi e che tornerà più tardi. La Gite è bella e graziosa, vengo alloggiato in una dependance all’esterno con altri tre ospiti, faccio appena in tempo a farmi la doccia e a prepararmi il letto, che arriva Vincent; che felicità, un altro volto amico che il Cammino mi permette di incontrare. Mi invita ad affrettarmi perché la cena a casa sua è già pronta e sono atteso da sua moglie e dai suoi figli; un’altra serata indimenticabile fra pellegrini con un sacco di cose da raccontare e da apprendere. Mi dice che partirà sul cammino di Santiago con sua figlia, partendo dal Col de Somport e giungendo a Puente la Reina de Jaca con una settimana di cammino, e ne è felice. Lo metto al corrente di tutto il mio cammino, suscitando la loro sorpresa quando vengono a sapere dalla guida, che Sigerico è passato da Yverdon. Al termine della cena, alle 22, mi riporta alla Gite dandomi appuntamento per le 7,30 di domani; mi vuole accompagnare fino alla cittadina di Orbe sul cammino verso Losanna; così avremo modo di parlare ancora di tante cose lungo il percorso.

25-06-00: Domenica, Yverdon – Losanna. 40 Km 7,30 h

L’appuntamento con Vincent è alle 7, per cui sveglia alle 6,30 e senza far rumore (gli altri ospiti dormono), mi porto in cucina con tutto il mio bagaglio dove, vicino, ci sono anche i servizi; la colazione è: panini al formaggio e frutta con CocaCola, davvero ottima! C’è stato uno scroscio di pioggia alle 6, ma ora sembra che il tempo stia cambiando e si è alzato un vento gagliardo che spazza il cielo agitando tutte le barche ancorate nel porticciolo; mi incammino verso la bella piazza dove è l’O.T. per incontrare Vincent che è puntuale. Ci incamminiamo verso l’uscita della città decidendo di seguire il corso della Thielle, il Canale che sfocia nel lago, camminando sulle sue rive e poi sul terrapieno; è un bel tracciato che ci porta a camminare in mezzo a questa Piana dell’Orbe intensamente coltivata con le più disparate varietà di colture. Dopo un ponte arriviamo e ci inoltriamo nel cortile di quella che ci sembra una Ferme, in realtà è una costruzione annessa al Penitenziario di Bochuz, ma non vi era nessun cartello di divieto di accesso nè tantomeno era chiusa; un agente a bordo di un fuoristrada ci ferma chiedendoci che ci facciamo e come siamo entrati: gli spieghiamo tutto dicendogli che siamo due pellegrini diretti ad Orbe. Vedendo il nostro abbigliamento non ha difficoltà a credere alla nostra buona fede ma tuttavia vuole un documento di identificazione accompagnandoci poi al cancello di uscita che è coscienziosamente chiuso…! Ad Orbe saliamo alla Cattedrale per una serie di scalette ripide; vi è parecchia gente lungo le caratteristiche e strette vie, oggi è domenica e la gente si sta recando in chiesa per le funzioni, mentre noi entriamo in un caffè per una colazione più adeguata alla bisogna. Vincent poi telefona per me all’Auberge di Losanna per vedere se vi è un posto; l’altro ieri mi avevano risposto che era tutto completo e di provare a ritelefonare, ora il posto c’è nel dortoir, avvertendo che l’Auberge è situato nella località di Vidy presso il campeggio in riva al lago; così anche per questa sera ho un tetto sulla testa, cosa che mi mette di buonumore. Saluto Vincent che aspetterà qui la moglie ringraziandolo per l’accoglienza e mi incammino verso la strada che mi porterà a La Sarraz con dolci salite e discese che la cartina non riporta; raggiungo Eclepens, Villars ed infine Daillens giungendo a Penthalaz. Il tempo si è messo al bello stabile e solo la Montagne de Baulmes dove c’è la profonda spaccatura delle Gorges de Covalanne ha una copertura di nuvole nere, mentre qui il sole splende. Mi fermo ad una aiuola dove vi sono panchine ed una fontanella per uno spuntino; decido di non prendere la strada per Cheseaux ma arrivare a Penthaz e lì giunto, proseguire sulla N9 arrivando direttamente a Losanna nel quartiere di Prilly per poi scendere al lungolago verso Vidy. Le strade non sono trafficate poiché è domenica, ed arrivo a Losanna senza problemi che però mi si pongono quando devo scendere al lungolago; non vi sono le segnalazioni ed io seguendo il Centreville resto sempre alto sulla collina dove Losanna si è sviluppata enormemente. Alle 16 ero alla periferia, ma prima che arrivi all’Auberge sono le 17,30 dopo aver chiesto molte volte informazioni per trovare Vidy; l’Auberge molto bello, è vicino al lago, ed il campeggio è situato accanto. Effettivamente vi è un sacco di gente che ha occupato tutte le camere; il soggiorno costa 30 FCH con le petite-dejeuner, mi sistemo velocemente nel dortoir che ha parecchi letti poi, dopo una bella doccia, mi reco al campeggio dove è un piccolo supermarket ed acquisto i viveri per domani; vi è anche un ristorante e dopo aver riportato la spesa vi ritorno per una buona cena che mi costa 32 FCH. Mi spiace soltanto di non aver potuto vedere niente di Losanna; sono arrivato tardi e la Cattedrale dista da qui non meno di 2 Km, però domattina andrò a vedere le Rovine Romane che sono a poca distanza da qui, sul percorso che dovrò fare per uscire dalla città camminando sul lungolago.

26-06-00: Lunedì, Losanna – Villeneuve. 32 Km 8 h

Alle 7,30 dopo una buona colazione all’Auberge, parto dirigendomi verso il luogo dove vi sono le Rovine dell’antico porto Romano che le numerose segnalazioni lasciano intendere belle e suggestive, ma quando vi arrivo… che delusione! Sono in uno stato di abbandono deplorevole con erbacce dappertutto, si ha l’impressione che il luogo sia trascurato e non valorizzato come dovrebbe:… e poi ci si lamenta dell’Italia. Mi porto presso la riva del lago dove ci dovrebbe essere un sentiero; una specie di passeggiata in cemento a contatto del lago: così è infatti, e vi sono già persone che passeggiano chiacchierando o portando a spasso il cane. Alle volte si scende sulla rena, proprio sul bagnasciuga, oppure si risale sulla strada quando le numerose e bellissime ville non permettono il passaggio a bordo lago. Si vedono splendidi Hotel racchiusi in parchi magnifici, lussuosi luoghi di relax per gente ricca ma in là con le primavere; oggi è lunedì e le passeggiate a lago non sono proprio affollate: vi immaginate mentre io passo di qui alla domenica in mezzo a questi persone inamidate bardato con il bastone e lo zaino? Una mosca bianca darebbe meno nell’occhio! Quando sono costretto a risalire sulla strada vi è già molto traffico; molti saranno turisti attirati da questo bellissimo lago che la stupenda giornata di sole esalta, ma dato che anche qui si lavora; forse nelle altre vetture vi saranno persone che si dirigono in ufficio, dato che l’autostrada corre molto più in alto: è un po’ come l’Aurelia in Liguria o la Via Regina sul lago di Como. Attraverso le località di Pully, Lutry e St-Saphorin giungendo a Vevey; altra perla di questo lago ed altra località prettamente turistica di alto bordo per persone che si possono permettere i prezzi salati che vengono praticati qui. Ora il sentiero a lago termina e mi incammino sulla cantonale verso Montreux; alla mia sinistra sulle pendici delle montagne inondate di sole vi sono innumerevoli terrazzamenti di vigneti dove il clima temperato che il lago garantisce, permette di avere degli ottimi ma alquanto cari vini. All’uscita dalla cittadina di Montreux, un cartello con l’insegna dell’Hostelling International mi indirizza presso l’Auberge de Jeunesse situato alla fine della passeggiata a lago; anche questo Auberge non mi era stato segnalato. Qui una signora gentilissima mi dice che vi è un posto in una camera a tre letti, di cui due sono già occupati da due ragazze che non sono ancora arrivate; quindi,…ecco, …se posso, ..se ho un’altra possibilità… Capisco il dilemma e non insisto, ma la signora è veramente cortese e si incarica di cercarmi lei stessa un alloggio a Villeneuve, trovandomi una camera presso l’Hotel Romantica posto in centro città. La ringrazio e proseguo sempre sulla cantonale con il lago alla mia destra oltre la linea ferroviaria; il tempo è bellissimo, non vi sono nuvole ed il sole splende sul lago calmo ed azzurro dove battelli e traghetti fanno la spola dall’una all’altra riva. L’Hotel Romantica a Villeneuve è situato nella via principale davanti all’O.T., è un bell’ ambiente ed una signora simpatica alla reception, mi assegna una bella camera che dà sulla via principale; dopo le normali incombenze vado all’O.T. per chiedere informazioni e se vi sono Auberge o delle Chambres a St-Maurice (telefonando riesco ad avere una camera all’Hotel Lafarge posto di fronte alla Gare di St-Maurice). Mi dirigo poi alla bella chiesa Cattolica (qui ci sono anche quelle protestanti) per avere il timbro sulla credenziale ma anche qui il Curè non c’è; ritorno all’O.T. per chiedere l’indirizzo di M. Jean Cossetto sagrestano della chiesa e mi danno anche il suo numero di cellulare, ma dopo aver telefonato varie volte ed essere anche a andato a casa sua, risulta introvabile per cui è l’O.T. ad appormi il timbro sulla credenziale: …sta assomigliando sempre più ad un indirizzario turistico piuttosto che ad un salvacondotto da pellegrino… Acquisto le provviste per la tappa di domani e poi rientro per la cena che si rivela ottima e decisamente abbondante, carbonara e valdostana con insalata di pomodori con ½ litro di birra, il tutto con la camera e le petite-dejeuner 93 FCH: mi sembra accessibile come prezzo, anche se siamo in Svizzera. Domani si va a St-Maurice dove vi è una bella Abbazia, sperando che sia aperta!

27-06-00: Martedì: Villeneuve – Saint-Maurice. 25 Km 6 h

Alle 7, dopo una buona e mattiniera colazione, lascio l’Hotel Romantica incamminandomi nella Grand Rue verso l’uscita della cittadina; ad uno sportello bancario prelievo del contante: la Svizzera è un po’ più cara ed i soldi sono di una volatilità estrema… Prendo la direzione della cantonale N°9 che si inoltra nella valle della Rhône; alla mia sinistra le pendici delle montagne sono terrazzate da vigneti ed anche parte di questa valle ne è occupata dato che il sole la scalda per gran parte del giorno, ed è così anche oggi. Il giorno si annuncia caldo ed il cielo è sgombro da nuvole; ho deciso di non proseguire per la strada romana che dovrebbe portarmi in alto come mostra l’altimetria della cartina bensì di abbandonare la N°9 ad Aigle per portarmi sull’argine idrografico destro della Rhône. Altissimi in alto alla mia destra vedo dei nevai sulle montagne, sono i primi e mi annunciano che mi sto avvicinando al passo del Gran San Bernardo; anche il percorso Svizzero volge alla fine proponendomi le tappe alpine nei giorni che verranno. Passando a lato di Versvey, giungo ad Aigle vedendo le torre del suo castello alta sopra i tetti delle abitazioni; proseguo per Yvorne e dopo un Km prendo a destra una strada che mi fa superare la linea ferroviaria, poi vado subito di nuovo a sinistra per una stradella verso una cava di terra; costeggiando la ferrovia, la tengo alla mia sinistra e giunto ad un incrocio mi dirigo a destra per arrivare all’argine della Rhône lontano 2 Km. Il fiume scorre veloce nel suo alveo, è grigio per la grande quantità di sabbia che le sue acque vorticose producono, erodendo le rocce che rotolando si frantumano arrivando poi al lago Lemano colorandolo per un bel tratto. Poche persone passeggiano su questo argine che è in peno sole, e non sempre gli alberi che lo bordano riescono ad ombreggiarlo; un gruppo di ragazzi e ragazze armati di apparecchi fotografici riprendono la rigogliosa flora che si sviluppa sulle rive del fiume. Un complesso industriale occupa una grande area sull’altra riva e delle piccole spiaggette riparate da grosse rocce che frenano le acque facendo depositare la sabbia, ospitano gruppetti di bagnanti accanto ai tumultuosi torrentelli che scendendo dalle pendici della montagna, immettono le loro limpide acque in questo fiume di sabbia. Anche se cammino accanto a tutta questa acqua, vi è afa ed il caldo mi rende il cammino faticoso e monotono. Mi avvicino sempre più alla strettoia della valle che i rilievi rocciosi dei Dents du Midi e del Dent de Morcles formano, celando alla vista Saint-Maurice, aldilà di essi. Mi domando se anche Sigerico abbia camminato su questo fondovalle che un tempo era sicuramente acquitrinoso, o se invece abbia preso la strada Romana che si sviluppa sulle pendici della montagne ora occupate da filari ordinati e verdissimi di vigneti. Entro a Saint-Maurice passando sull’antico ponte che supera la Rhône dirigendomi all’ Hotel Lafarge di fronte alla Gare; passando davanti alla Abbazia vedo che è aperta e l’ orologio segna le 13,30: bene, ho parecchio tempo a disposizione per poterla visitare con calma! L’Hotel è bello ed accogliente, così anche la camera che mi danno; ha anche un balcone rivolto al sole e ne approfitto per lavare tutto il bucato. Dopo una siesta, alle 16 esco per visitare l’Abbazia che è veramente bella; mi trattengo parecchio al suo interno ed al termine della visita chiedo ad un giovane diacono se mi possono apporre il timbro sulla credenziale, cosa che viene fatta con piacere dal cancelliere Sig Stucchi dopo essersi fatto spiegare esaurientemente il mio pellegrinaggio. In una libreria del centro trovo la guida “Le Chemin d’Arles-la Voie du Sud” e la topoguide “Chemin de St-Jacques de Compostelle: Le Puy-Figeac “ che mi mancava: naturalmente li compro perché in Italia non vi è la minima possibilità di averli. Mi porto poi all’O.T. dove un cortese e solerte ragazzo spagnolo si attiva per trovarmi i numeri telefonici per la tappa di domani ad Orsieres, riuscendo a trovarmi una camera all’Hotel Union in centro villaggio e vicino alla Parrocchiale. Ora sono le 19,30 e rientro per la cena mentre il cielo si sta rannuvolando; spero che per domani ci sia bel tempo poichè dovrò arrivare ad Orsieres, a 1000 m di altitudine nelle Alpi.

28-06-00: Mercoledì, Saint-Maurice – Orsières. 34 Km 8 h

Non riesco a dormire bene in queste notti, l’incertezza riguardo al tempo ed alle possibilità di alloggiamento lungo il cammino non mi dona la tranquillità necessaria; mi è di sollievo però il credere che essa sia parte integrante e inscindibile di questo pellegrinaggio nuovo e per ora sconosciuto ai più. Sono convinto che debba essere così, e come tale debba essere accettata; gli imprevisti durante le tappe direttamente connesse al camminare o ad altri fattori esterni che possono accadere, mi dissuadono dal prenotare per più di due giorni a venire gli alloggi anche se mi è possibile il farlo; è un piccolo tormento che dovrò sostenere fino alla meta finale: la sicurezza non fa parte di questo pellegrinaggio che va vissuto,come mi rendo conto, giorno per giorno in ogni sua componente. Questa notte sembra una notte da tregenda, tuoni, lampi, acqua che batte con fragore sulla grande terrazza dove si è formata una vasta e profonda pozzanghera; non è possibile fare alcunché per migliorare la situazione se non pregare affinché cessi questo sconquasso. Al mattino dopo la colazione parto alle 7,30, sembra che il cielo schiarisca guardando a Nord mentre esco dall’Hotel, ma appena girato l’angolo e guardando a Sud una coltre di nuvole nere ed un vento fortissimo che viene incanalato nella valle non mi fanno presagire nulla di buono. Esco da Saint-Maurice sulla cantonale in maglietta e pantaloncini corti; stranamente non fa freddo in questa mattina plumbea mentre mi dirigo ad uno svincolo di strade, 2 Km più avanti: Quando vi giungo il tempo peggiora subitaneamente cominciando a piovere, costringendomi ad indossare pantaloni lunghi e Kway però non mi è possibile aprire l’ombrello per il forte vento. Mi dirigo in fretta verso la località di Les Cases dove prendo il sentiero che correndo a lato della Rhône attraversa il Bois Noire, poco dopo mi devo fermare sotto un provvidenziale capanno perché la pioggia è troppo violenta e non posso aprire l’ombrello; aspetto per una quindicina di minuti che cessi il vento poi mi inoltro nel bosco che mi ripara un poco dalla pioggia. E’ un sentiero stretto e molto scivoloso con dei marcati saliscendi ed il ruscellamento delle acque lo peggiora ancor più, vi sono delle grosse radici che fuoriescono dal terreno ed i rami bassi degli alberi mi scaricano addosso acqua quando vengono urtati; è un sentiero che andrebbe percorso in una giornata di sole e mi ricorda una piovosa gita al Rifugio Coca procurandomi un sorriso amaro. Passo sotto un piccolo ponticello la linea ferroviaria che corre alta alla mia destra e mi allontano dal corso della Rhône che ruggisce ora aldilà della ferrovia, in fondo alla gola stretta fra le rocce; adesso il sentiero si allarga ed ai suoi lati vi sono grossi alberi che frenando il vento mi permettono di aprire l’ombrello. Una signora con un cane al guinzaglio che proviene dal fondo del sentiero mi fa presumere che vi sia una strada agevole più avanti; così è, ed il Bois Noire termina in una grande piana coltivata. Mentre procedo su una larga carrareccia arrivando ad un cantiere stradale, inaspettatamente vedo su una rete di recinzione il logo del pellegrino della Via Francigena; è il primo, e non pensavo di trovarlo in Svizzera bensì dopo le Alpi in Italia. All’altezza dell’abitato di Collonges, passo su un ponte la Rhône e mi porto sull’argine idrografico destro risalendola fino a Dorénaz dove ripasso sull’argine sinistro, proseguendo fino ad incontrare, al centro della grande piana di Martigny, la Franse. La pioggia è sempre battente ed a volte mi flagella con violenti scrosci, in compenso il vento in questa piana ampia non è stretto fra le montagne, ed è molto più calmo per cui l’ombrello assolve al suo compito molto bene. Vi sono degli estesi campi con coltivazioni di frutta che si perdono all’orizzonte. Entro a Martigny lasciando la Rhône a sinistra e seguendo il corso della Dranse fino a La Croix cammino alla base della Combe le cui pendici sono tappezzate da vigneti. A La Croix cerco il segnale del sentiero che mi porterebbe a superare il costone di Les Ecoteaux evitandomi la cantonale, ma quando lo trovo, non mi convince per niente; sale parecchio in mezzo al bosco in costa alla valle strapiombante e qui continua a piovere per cui preferisco la meno problematica cantonale 21 risalendola lentamente: Cerco poi con lo sguardo il sentiero sul fianco molto dirupato della montagna con la Dranse giù in fondo alla gola, ma non vedo traccia di sentiero né tantomeno di un qualsiasi ponte che mi avrebbe riportato da questo lato: mah… chissà dove sarei finito se avessi seguito quelle indicazioni di “sentiero”! Cammino sempre con l’ombrello aperto, credo di essere l’unico essere che è in giro a piedi mentre piove in mezzo a queste montagne altissime che mi stringono da vicino; mi sento piccolo e ramingo;…un vero pellegrino in tutti i sensi. A Bovernier un ragazzo in mountain-bike si avvicina accompagnandomi per un tratto, ha visto la conchiglia che porto al collo e mi dice che anche lui è un pellegrino avendo fatto una parte del cammino di Santiago con suo papà l’anno scorso; mi augura buon cammino scappando all’ennesimo scroscio di pioggia. Arrivo finalmente a Sembrancher con un grosso respiro di sollievo, questa tappa sembra non abbia mai fine, ma ora vedo da un pannello stradale che mancano pochi Km ad Orsiéres. La strada sale ancor più, però mi sento in forma e non faccio fatica a procedere; penso che sia perché ho tutti i vestiti addosso e non nello zaino che porto sulle spalle. Entro ad Orsiéres alle 15,30 sotto una pioggia torrenziale; l’Hotel Union è proprio in centro al villaggio vicino all’O.T. ed alla bella Parrocchiale; solo la Posta è più lontana essendo vicino alla stazione ferroviaria. Ho una bella camera con la vista sulla valle; una doccia calda ed un bel piumino sul letto mi inducono ad una piccola siesta ben meritata, poi mi reco all’Ufficio Postale per inviare a casa i libri e le cartine usate che mi appesantiscono lo zaino: sono più di 700 grammi che invio a casa! Telefono all’Ospizio del Gran San Bernardo dove mi assicurano una camera, poi all’O.T. chiedo informazioni per il sentiero Napoleonico che arriva al Passo e mi assicurano che è segnalato ed è fattibile; così mi dice anche il Curè della Parrocchiale dove mi reco per il timbro sulla credenziale. Trovo anche un negozietto dove fare la spesa per domani e quindi rientro per la cena. Bene, sono contento, oggi la tappa si è risolta al meglio, ma spero tanto che domani ci sia il sole. Vi è in cielo qualche squarcio fra le nuvole e quando i raggi del sole mi colpiscono sono ancora caldi nonostante il pomeriggio sia inoltrato. Io comunque sono scettico; il mio barometro è sempre in picchiata!

29-06-00: Giovedì, Orsières – Passo del Gran San Bernardo. 25 Km 6,30 h

Oggi è giusto un mese che sono partito da casa; mi sembra un sacco di tempo ma prima di varcare nuovamente la soglia di casa e riabbracciare i miei cari ne dovrà passare un altro, senz’altro denso di incognite ma spero anche di piacevoli avvenimenti. Questa notte ho riposato bene sotto un caldo piumino; alle 7,15 scendo per la colazione ed al termine, Joseph il proprietario, mi consiglia di non prendere il sentiero che addentrandosi nel bosco risale la montagna. Mi dice che è troppo scivoloso per la molta pioggia caduta in questi giorni e che tuttora è incombente sulla valle; seppure a malincuore convengo che è un buon consiglio, ma mi spiace molto non poterlo percorrere sin dall’inizio. Vedrò più avanti lungo il corso della tappa di percorrerlo, se il tempo me lo permetterà; la tappa è di 25 Km con un dislivello di 1500m: da non prendere alla leggera. La strada cantonale si alza subito con dei tornanti, poche macchine transitano a quest’ora e voltandomi a salutare Orsières vedo che il panorama in basso nella valle è bello e verdissimo, ma le montagne che sto risalendo sono tuttora avvolte nelle nuvole basse e gravide di pioggia. Dopo 6 Km sono a Liddes mentre il cielo schiarisce mostrando lembi di azzurro fra nuvole bianche che si innalzano rapidamente, liberando le cime fino ad ora celate alla vista; controllo il barometro che però non dà segni di risalire a valori tranquillizzanti. Ai bordi della strada vi sono dei segnali con il logo della Via Francigena che indirizzano su dei sentieri a lato ora a destra ora a sinistra, perdendo e poi riguadagnando quota, ed una piccola mandria di mucche razza bruno-alpina lo percorre pungolata da mandriani di ogni età. Mi tengo sempre sulla cantonale e 3 Km dopo Liddes inizio a camminare nelle gallerie paravalanghe aperte sul lato verso la valle, non vi è traffico, ma quando arrivano i camion il loro rombo è fastidioso ed amplificato dalla volta della galleria. Giungo a Bourg-St-Pierre a 1690 m di quota con il sole che si è ormai impadronito del cielo e mentre passano frotte di ciclisti e motociclisti che salgono o scendono dal Passo, penso che per oggi ombrello e Kway resteranno inoperosi. Il sentiero Napoleonico che corre sull’altro lato della valle ha parecchio dislivello da superare, a volte scende per poi risalire: come possa fare un pellegrino a camminare tutti i giorni facendo tutti questi dislivelli su sentieri montagnosi, è una domanda che mi pongo sovente; sono scettico sulla possibilità di non riportare conseguenze per l’eccessiva stanchezza che essi sicuramente procurano; forse senza zaino o con un peso minimo queste tappe possono essere percorse, giorno dopo giorno, come le descrive il Corbellini nella sua Guida…Arrivo al Lac des Toules formato dallo sbarramento di una grande diga dalle acque verde-azzurre e risalgo ancora fino ad arrivare a Bourg-Bernard dove vi è l’imbocco del tunnel del San Bernardo; proseguo ancora sulla strada verso il Passo non trovando le indicazioni per il sentiero, che dovrebbe svilupparsi alla sinistra della stessa fino alla località Hospitalet e poi a destra fino al Passo. E’ un bellissimo paesaggio quello che si è aperto alle mie spalle, il lago è in basso con le montagne che gli fanno corona ed il cielo è azzurro come poche volte l’ho visto. Quando arrivo alla Combe des Morts un segnale mi porta finalmente sul sentiero che a tratti è invaso dall’acqua ma è percorribile stando ai lati o camminando sulle roccette. Cammino su dei piccoli nevai che lo ostruiscono con la neve che è abbastanza dura da poterci camminare sopra, tenendo d’occhio gli ometti di pietre che indicano il percorso; l’ultimo tratto è ripido e mi conduce davanti all’Ospizio. Robuste folate di gelido vento spazzano il Passo dove numerosi turisti si aggirano davanti alle bancarelle intabarrati nelle giacche a vento, mentre io sono in maglietta e pantaloncini corti: vedermi così dovrebbe essere divertente! Mi accorgo che ho preso la camera non nell’Ospizio dei monaci, ma all’Hotel Ospice du Gran San Bernard la qual cosa mi procura una punta di delusione; la camera che mi offrono è bella ed ampia con la vista sul lago e sul versante italiano; scendo a scrivere alcune cartoline e mi reco all’Ospizio per far timbrare la credenziale. Il forte vento ha fatto arrivare di nuovo nuvole nere che poco dopo scaricano acqua mista a leggero nevischio facendo rifugiare i numerosi turisti all’interno del bar o nell‘Ospizio. Rientro nell’Hotel e telefono all’O.T. di Aosta ma nessuno risponde; ho dimenticato che in Italia gli uffici pubblici al pomeriggio sono chiusi! Mi accorgo che nelle camere i termosifoni sono stati accesi, dato che la temperatura si è fatta rigida, e ciò mi permette di asciugare il mio bucato. Alla sera una buona cena con minestrone, bistecca e patatine fritte con ½ litro di vino rosso mi dispone per un buon riposo. Alle 21 sono già sotto le tiepide coltri sognando per domani una giornata di sole, e non la pioggia con il nevischio che sta picchiettando ora sulle imposte della mia cameretta.

30-06-00: Venerdì, Passo del Gran San Bernardo – Aosta. 30 Km 7 h

Apro gli occhi alle 5,20 e dalla finestra vedo il cielo limpidissimo color blu cobalto che un mattino incipiente schiarisce; le cime delle montagne del versante italiano hanno le punte indorate da primi raggi del sole e si specchiano vezzose nel lago mentre un senso di contentezza mi allarga l’animo. Sono fortunato, mi dico, oggi ho il tempo dalla mia parte e mi riaddormento fino alle 6,30 quando l’orologio emette i suoi bip-bip. Alle 7 sono al tavolo per una sostanziosa ma credo anche, ultima colazione così abbondante; in Italia non avrò occasione di fare colazione in questo modo, se non andando negli Hotel: soluzione che ho tenuto come estrema-ratio per questo mio pellegrinaggio. In Italia chiederò il più possibile ospitalità ed accoglienza alle Parrocchie o strutture ecclesiali. Vorrei tanto riscontrare in questa Italia cattolica che il messaggio del Papa riguardo all’accoglienza dei pellegrini sia stato ascoltato e nella misura del possibile messo in pratica. E’ ciò che spero in questo Anno Giubilare 2000, quando folle di pellegrini a piedi o meno, che percorreranno la Via Francigena o altro percorso ma sempre diretti al soglio di Pietro, saranno sulle strade e sui sentieri italiani. Saranno bisognosi di accoglienza materiale sicuramente, ma soprattutto fidando in chi nelle Parrocchie, vere colonne della carità e solidarietà cristiana, rivolgeranno loro accogliendoli un sorriso ed un abbraccio fraterno, ancor prima di un tozzo di pane. Al termine della colazione il proprietario che è rimasto affascinato dal mio pellegrinaggio mi cambia molto cortesemente tutte le valute che ho ancora in tasca: Sterline, Franchi francesi e Franchi svizzeri risparmiandomi la seccatura di recarmi negli uffici dei cambi con zaino e bastone alla mano… In maglietta e pantaloni corti esco all’aperto, l’aria è fredda e frizzante mentre mi dirigo con un buon passo verso la Dogana costeggiando il lago; entro in Italia senza nessun problema: che strana sensazione, non posso dire di essere a casa ma mi sento come se fossi sulla porta di casa di un caro amico che presto arriverà; devo solo attendere e mi accoglierà a braccia aperte. Ora sono in Italia baciato dal sole e dalla fortuna di avere una giornata che si annuncia bellissima; scatto delle foto alle montagne inondate di sole mentre mi dirigo verso la galleria dove al suo imbocco sulla sinistra vedo i cartelli che cercavo; sono quelli del CAI N°13, e quelli che segnalano il percorso del Tour des Combins (TDC): è un piacere trovarli subito in questo stupendo mattino. Scendo subito sulla traccia erbosa che conduce al fondovalle; alle volte il sentiero è sommerso sotto un rivolo di acqua, però dei lastroni di roccia mi permettono di non bagnare le pedule. Arrivo alla casa cantoniera da cui si diparte il sentiero ora più marcato ed in terra battuta; i segnali del TDC mi portano con una rapida e bella discesa ai 1630m di St-Rhemy immettendomi sulla statale 27 che mi porta a St-Oyen. Qui mi fermo in un Ufficio postale per acquistare tessere telefoniche e telefonare all’O.T. di Aosta per chiedere se vi sono strutture di accoglienza per i pellegrini nelle Parrocchie della città; una solerte e gentile addetta mi fornisce i numeri delle Suore di S.Giuseppe ed anche quello di Don Ferruccio della Parrocchia di S.Stefano in via Martinet, dicendomi che questa Parrocchia è proprio sulla via che dovrò percorrere entrando in Aosta: non mi sembra vero di tanta grazia! Telefono subito e Don Ferruccio con molta cordialità, mi risponde che può ospitarmi nella canonica. Questa mattina partendo mi ero ben cosparso di crema solare visto il sole che già splendeva, ma ora qui a 1400m sento che picchia ancora più forte per cui con un’ulteriore spalmata mi garantisco maggior protezione dall’essere arrostito. L’aria è limpidissima e lo spettacolo che la valle mi offre è magnifico, sembra che l’Italia abbia messo uno dei suoi migliori abiti per accogliere degnamente un suo pellegrino errante di ritorno a casa…Mi incammino nuovamente sulla 27 verso Etroubles passando su un ponte il torrente Artanaz; il traffico è abbastanza sostenuto ma non pone problemi essendo la 27 sufficientemente ampia, e ad un punto di sosta attrezzato con panchine ed alberi mi fermo per uno spuntino. La statale adesso è tutta in pieno sole e fino a Gignod non trovo più ombra per ripararmi, arrivando poi a Signaves, dove una piccola chiesetta dalla facciata affrescata, a sinistra della strada mi offre ombra ed i gradini per riposarmi. Manca poco ad Aosta che si trova a 600 m di altitudine ed i 1900 m di quota di differenza dal Passo si sentono tutti; l’aria è più greve ed umida e l’afa di questo meriggio è palpabile. Alle 14,30 entrando in Aosta tengo la direzione dell’Ospedale, ed al primo grande incrocio con semafori, ecco la via Martinet diritta davanti a me. Ci vuole un poco a trovare la Parrocchia; un bel portone di pietra ad arco mi introduce in un cortile nascosto dove la bella facciata affrescata della chiesa di S.Stefano mi accoglie; Don Ferruccio mi accompagna in una aula di catechismo dove vi è un letto a scomparsa completo di materasso, poi alla cucina completa di tutto dicendomi che posso utilizzare ciò che mi serve ed infine ai servizi completi di doccia: che posso desiderare di più? Premurosamente mi fornisce poi il numero telefonico di Don Paolo Chasseur a Châtillon e dei numeri telefonici di Ivrea che mi potranno essere utili; dopo una doccia graditissima (è da parecchio tempo che non sentivo tutta questa afa) esco per comperare la cartina della regione e le provviste per la cena e per la tappa di domani. Telefono a Don Paolo a Châtillon che dice di potermi ospitare, telefono anche ad Ivrea ma le due case di ospitalità che avrebbero dovuto fare accoglienza, mi indirizzano ad un non meglio precisato “dormitorio Peana”; non vorrei finire in qualche ricovero di clochard per cui decido di informarmi da Don Paolo domani a Châtillon. Rientro per depositare la spesa e poi mi reco a vedere le rovine del Teatro Romano, la Porta Pretoria e la Cattedrale dell’Assunta tutti vicini alla Parrocchia di S.Stefano; alle 19,30 rientro per mettermi ai fornelli per la doverosa cena: minestrone di legumi, formaggio e salame con ½ litro di birra; per domattina ho ½ litro di latte con pane e marmellata. Avrò ancora una colazione da pellegrini ricchi; non mi resta che ringraziare la Provvidenza per tutto l’appoggio che mi dà. Domani tappa corta, solo 24 Km, spero che ci sia ancora il sole perché ora sta soffiando un vento forte ma non so se è sinonimo di bello o brutto tempo.

01-07-00: Sabato, Aosta – Châtillon. 24 Km 6 h

La prima sveglia italiana è alle 6,30, e ad una prima assonnata occhiata il cielo è sgombro da nuvole; abluzioni mattutine come da manuale (radersi senza uno specchio è sempre un bel problema: corro il rischio di tagliarmi inavvertitamente una parte dei baffi!), poi ai fornelli per la colazione: latte con pane e marmellata ed un bicchierone di CocaCola per la necessaria dose di caffeina (finora non mi hanno ancora sorteggiato per l’antidoping altrimenti con tutta la CocaCola che bevo prenderei qualche anno in più di Purgatorio). Saluto Don Ferruccio che è già in ufficio nella canonica e mi avvio per uscire da Aosta; faccio delle foto ad un Ponte Romano che è quasi al livello del pavimento stradale e mi incammino sulla 26. All’altezza di Saint-Christophe prendo la strada a destra che passando al disotto della A5 mi condurrà a Pollein come suggerisce il Corbellini nella sua Guida; è una prova d’appello ai suoi “suggerimenti” circa le strade o i sentieri che un pellegrino qualsiasi dovrebbe prendere. Attraverso una zona di periferia poi la strada comincia a salire verso Pollein mostrando un bel panorama su Aosta e sulla valle della Dora Baltea; il sole già alto è velato contribuendo al formarsi dell’afa quest’ora: credo che sarà una giornata in cui ci sarà da sudare parecchio prima di arrivare a Châtillon. La strada prosegue sempre in salita ma ciò che non mi aspettavo è il traffico che è abbastanza sostenuto; passando accanto a molti bei villini, sollevo una cagnara di latrati che mi urtano i nervi, perché alle volte i cancelli sono aperti e devo stare molto attento; questi cani sono slegati, e non essendo addestrati a restare all’interno, a volte si precipitano rabbiosamente verso di me finché non vedono il grosso bastone e si ritirano, procurandomi però una certa apprensione che scarico tirando improperi ai loro stolti padroni. Vedendo che la strada prosegue con saliscendi marcati e sempre con un buon passaggio di macchine decido di tornare sulla 26 a Villefranche; sento nelle gambe i 30 Km ed i 1900m della discesa dal Passo di ieri per cui non procedo veloce ma cerco di tenere un buon passo. Camionisti e persone a bordo di vetture mi salutano con dei colpi di claxon ed agitando le mani sorridendo all’inconfondibile figura del pellegrino che, con zaino e bordone, cammina ramingo sul bordo della strada, mettendomi di buonumore. A Nus trovo le prime frecce segnaletiche della “Via Francigena” che portano a deviare dalla statale proponendo luoghi da visitare nei paesini che sono in alto od in basso rispetto alla 26 per poi ricongiungersi ad essa più avanti; caparbiamente non devio minimamente e tiro sempre diritto. A Chambave però sentendomi nell’animo come un senso di colpa per questo disinteresse, mi lascio tentare da un segnale che sembra meno infido; porta anche la scritta “25 minuti a Chatillon “, è ombreggiato e mi inoltro fiducioso abbandonando la 26, procedo per un bel tratto ed alla fine mi trovo davanti i cancelli sbarrati di una centrale Enel! Arrabbiatura megagalattica e ritorno sui miei passi trovando a sinistra una stradina ripidissima dalla quale scende anche un ruscellamento d’acqua; non vi sono segnali ma è anche l’unica che mi può portare in alto sulla 26 passando in mezzo a delle case. La prendo e dopo una bella sudata arrivo in alto sulla statale giurando a me stesso di non seguire mai più le frecce segnaletiche “Via Francigena” qui in Val d’ Aosta. Dopo 2 Km arrivo all’imboccatura della galleria che passa sotto Châtillon ed un cartello stradale mi indirizza a destra verso la strada panoramica che porta in alto alla cittadina; è ripida e sale con dei tornanti stretti, portandomi presto in alto dove godo di una magnifica vista sulla valle e sulla Dora che compie una grande ansa proprio sotto i miei piedi; salgo ancora ed alla fine vedo la Chiesa di San Pietro ancora più in alto. Entrando in città vedo ancora delle frecce della Francigena che indirizzano a destra, ed un bel ponte antico gettato sul torrente Marmore lo supera con eleganza; mi riprometto di tornarci più tardi per fare delle foto mentre mi incammino verso la Chiesa. Mi inoltro in paese per qualche centinaio di metri e poi una bella e ripida scalinata a destra mi porta al piazzale della Chiesa di San Pietro che ha accanto la canonica; delle persone stanno ripulendo il sagrato della Chiesa dai chicchi di riso di uno sposalizio, chiedo loro se Don Paolo Chasseur è nella canonica ma mi rispondono che è appena uscito e che devo attendere perché tornerà presto. Sono le 13,30 quando mi accomodo su una panchina facendo uno spuntino ed ammirando la valle dall’alto da questo osservatorio privilegiato. Don Paolo ritorna dopo 20 minuti e mi accompagna ad una aula di catechismo dicendomi di accomodarmi al meglio con quello che trovo, poi ritorna ai suoi impegni; vi è un grande tavolo che mi può fare da letto e trovo anche delle coperte della Caritas come materasso e dei maglioni di lana per cuscino: una ottima sistemazione ed un buon giaciglio! Subito la doccia ed il bucato; fuori si è alzato un gran vento e dei ragazzi stanno schiamazzando giocando a calcio in un piccolo campetto riparato dal fianco dalla montagna; esco per le necessarie spese scendendo ad un supermarket in basso alla cittadina e mi accorgo che ho dimenticato un’altra volta la macchina fotografica e non posso recarmi a fotografare il ponte Romano all’entrata della città. Rientro per assistere alla S. Messa concelebrata da 3 sacerdoti, poi al termine, Don Paolo mi appone il timbro sulla credenziale. Gli chiedo notizie del “dormitorio Peana” ad Ivrea ma non mi può essere di aiuto per cui mentre ridiscendo di nuovo la scalinata per portarmi ad un ristorante mi reco ad una cabina telefonica dove riesco a contattare il dormitorio. E’ situato in via Peana, vicino al Duomo e Renato che è l’addetto mi spiega che si chiama “Istituto della Provvidenza” e dà ospitalità alle persone che hanno pochi mezzi ma non è un dormitorio per senzatetto, quindi di recarsi tranquillamente là e mi aspetterà, ma non prima delle 15 per via di impegni. Ora sono più tranquillo ed entro in un piccolo ristorante posto in una piazzetta, pasta con funghi, una scaloppina e patatine fritte con ½ litro di vino, concludono una giornata di cammino piena e bella. Sono lieto di come vi sia accoglienza presso le Parrocchie ed altri istituti: eventuali pellegrini che volessero fare questa Via possono contare su queste Parrocchie che ho finora trovato, anche se non sempre sono attrezzate alla bisogna. Mentre mi infilo nel sacco a pelo in alto sul tavolaccio, non posso fare a meno di pensare al forte vento che sta soffiando fuori; mi auguro che domani ci sia bel tempo, sia perché la tappa fino ad Ivrea è di 40 Km, ma anche perché vorrei godere il panorama delle Alpi, dopo sarò nella piana di Ivrea e non ne avrò mai più l’occasione…!

02-07-00: Domenica, Châtillon – Ivrea. 43 Km 9,30 h

Oggi la sveglia è alle 5,30, sono stato disturbato tutta notte da un rumore come di vento forte e sono parecchio assonnato; alle 6 lasciando la canonica scopro che il rumore è di un grosso aspiratore del Centro Anziani qui accanto che evidentemente è sempre in funzione. Scendo nella via principale fermandomi per la colazione in un bar mattiniero poi mi dirigo sulla statale 26; il tempo sembra discreto ed in cielo vi sono alte nubi stratificate che rendono il mattino lattiginoso, non vi è vento per cui presumo che prenderò parecchio calore oggi. Arrivo presto a St-Vincent poi a Verrès luoghi di giochi d’azzardo e di villeggiatura per gente danarosa; delle frecce segnaletiche della “Via Francigena” indicano St-Germaine in alto mentre più avanti altre ancora si inoltrano in basso alla valle. Giungo ad Arnad; Don Ferruccio ieri mi aveva detto che in questo paesino era stato attivato un centro di accoglienza per i pellegrini ma per quanto guardi tutti i cartelli non ne vedo uno che possa indirizzarmi nel villaggio a lato della statale per poterne avere l’indirizzo. Mi fermo sotto una pensilina per uno spuntino ed una sosta, fa caldo ora, stranamente non vi è traffico sulla 26 che si accosta sempre più alla montagna divenendo stretta; vi sono vigneti e coltivazioni di mais, file di alberi di gelso dividono gli appezzamenti di terreno coltivato a prato mentre l’autostrada che corre poco lontana fa sentire il rombo del traffico amplificato dalle pareti della montagna. Mi avvicino a Bard con il suo poderoso castello che domina la vallata dall’alto della rupe; qui in basso sulla strada devo fare parecchia attenzione alle curve cieche poiché le vetture ne pennellano i bordi pericolosamente e mi vedono solo all’ultimo momento. Passo da Pont-Saint-Martin e poi Carema, nome che mi ricorda un delizioso vino mentre la Dora Baltea qui si allarga e si restringe divenendo più calma e placida disegnando anse sinuose dove i pescatori della domenica attendono i pesci che notoriamente rallentano in prossimità delle curve…Mi allontano dal fiume proseguendo verso Settimo Vittone e Borgofranco d’Ivrea, la 26 è sempre deserta, poche sono le macchine che incrocio e forse il fatto che oggi è domenica e che tutti siano partiti per il weekend già da sabato, mi sta agevolando il cammino inaspettatamente.

A Montalto Dora sono ormai nella grande valle vedendo ai suoi lati le morene che le antiche glaciazioni hanno formato come un immenso anfiteatro digradante nella Pianura Padana che si apre davanti a me; entro in Ivrea per una strada in salita ed alle 15,30 sono in Piazza Castello proprio di fianco al Duomo: momenti di ricerca di via Peana poco conosciuta ai più e poi eccola a 100m in basso; un cartello su un cancello dice “Istituto della Provvidenza”. Sono arrivato finalmente ed allo squillo del campanello arriva Renato il volontario che gestisce questo luogo di accoglienza che come lui stesso spiega, accoglie le persone che non hanno un tetto; qui possono soggiornare per un massimo di 5 giorni poi devono lasciarlo: lui è di Milano ed abita in via Palmanova. Mi assegna un letto che assomigliando molto ad una amaca, mi rimette in media con il tavolaccio della scorsa notte: comunque va più che bene! Mi consegna poi: shampoo, sapone ed una salvietta, roba da Hotel tre stelle; vi è a disposizione anche una lavatrice ragion per cui mi affretto a farmi la doccia e poi ficco tutto dentro nella lavatrice dato che è difficile poterne trovarne un’altra durante il cammino. Sono rimasto in pantaloncini corti ed il pile, ma esco ugualmente per un piccolo tour; nel Duomo stanno celebrando la S. Messa, ma non mi sento entrare così ”tipo spiaggia” ed allora scendo nella grande piazza cercando una cabina telefonica. L’Ufficio Turistico del Comune di Santhià questa mattina mi ha dato il numero telefonico di Don Paolo Angelini della Parrocchia di Santa Agata, gli telefono ora e lui stesso mi risponde dicendomi che vi è la possibilità di sistemarmi nei locali dell’Oratorio vicino alla Chiesa di Santa Agata. Ringraziandolo, rientro di corsa all’Istituto perché sta cominciando a piovere; da lassù, un bel balcone su Ivrea, guardo stormi di rondini che saettano inseguendosi fra le strette vie di questa parte vecchia della città. La lavatrice ha appena terminato il suo ciclo ed accendo i termosifoni su cui distendo tutta il mio bucato; ho bisogno dei pantaloni lunghi e di una Tshirt per uscire a cena in una pizzeria poco lontano da qui. Alle 20 posso entrare in pizzeria profumando di detersivo (ho sempre lavato a mano con sapone di marsiglia); una pasta al ragù molto abbondante, una valdostana con insalata e ½ litro di rosso ad un prezzo esiguo, mi dispongono al rientro in una Ivrea che si tinge di rosa dal sole calante. Sono le 21,30, Renato mi ha ritirato il rimanente del mio bucato e me lo consegnerà, nonostante le mie deboli proteste, domattina stirato! Non ho potuto avere il timbro del Duomo, allora metto sulla credenziale l’indirizzo di Renato qui all’Istituto della Provvidenza; penso a ragione che abbia molto più valore!

03-07-00: Lunedì, Ivrea – Santhià 30 Km 7 h

Questa mattina aspetto le 7 prima di partire, vorrei salutare Renato che mi ha cortesemente preparato i miei indumenti ieri; non vuole nulla ma mi chiede di inviargli una cartolina quando sarò arrivato a Roma, cosa che farò più che volentieri. In un caffè già aperto lungo la via principale faccio colazione con cappuccino e brioches dirigendomi poi verso l’uscita della città per immettermi sulla 228 in direzione di Bollendo. Non vi sono difficoltà questa volta ed i numerosi cartelli stradali mi indirizzano velocemente su di essa, vi è già un discreto traffico per ora ancora accettabile. Dopo Bollengo mi dirigo verso Piverone voltandomi ogni tanto a guardare le Alpi che si allontanano alle mie spalle; la strada compie una ampia curva verso sinistra entrando in Viverone, una localita turistica in riva all’omonimo lago; vi è un’ampia zona alberata vicino al lago con panchine in ombra. Ad una cabina telefonica, cerco di contattare Dino Olivetta, un pellegrino conosciuto a Perugia che mi ha chiesto di avvisarlo quando sarei arrivato dalle parti di Vercelli dove lui abita, per farmi avere ospitalità presso Padre Alberto; riesco a contattarlo al cellulare e mi da così l’indirizzo della Comunità Marianista al Convento di Billiemme a Vercelli in Corso Salamano vicino al cimitero. Così ecco che la Provvidenza mi ha dato un tetto anche per domani…C’è qualcosa che mi punge in tutte le parti del corpo fastidiosamente; è il primo incontro con le zanzare che le vicine risaie del Vercellese ospitano a milioni per la gioia di coloro che vendono le pomate o gli unguenti antizanzare. Capisco che dovrò convivere con loro per parecchi giorni a venire ed è un tributo che dovrò pagare per attraversare il Vercellese: proprio come una tassa! Un veloce spuntino all’ombra, una rinfrescata ad una provvidenziale fontanella e poi mi incammino sulla 228 che in leggera ma costante salita mi porta a Roppolo e quindi a Cavaglià; qui potrei entrare in paese direttamente dove vi è un divieto di accesso invece di fare la circonvallazione che mi costringe a fare un ampio giro, ma me ne accorgo troppo tardi; avrei risparmiato almeno un Km. Ora cammino sulla 143 ed il caldo e l’elevato tasso di umidità mi fanno sudare più del necessario; le zanzare avrebbero buon gioco a divorarmi se non ci fossero i camion e le macchine che incrociandomi a gran velocità, provocano dei forti colpi di vento che le tengono lontane procurandomi anche una ventilazione, forzata ma gradita. Devo anche evitare di camminare nell’erba ai bordi della strada altrimenti altri nugoli di moscerini mi si appiccicano alle gambe. I lunghissimi rettilinei sembrano non avere mai fine in queste ore meridiane, non vi sono più paesi dove trovare fontanelle ed è giocoforza procedere così fino a Santhià dove arrivo alle 14, indirizzandomi subito alla Canonica della Parrocchia di S.Agata dove mi accoglie la mamma di Don Paolo. Una signora incaricata dell’accoglienza ai pellegrini mi accompagna in una sala dell’oratorio posta a fianco dell’abside della chiesa, è una sala abbastanza grande, è tutta chiusa ed i servizi non hanno la doccia però non mi posso lamentare visto che vi è un lavandino. Nella sala vi è un divano che mi farà da letto e dopo essermi lavato posso fare il piccolo bucato tirando una cordicella all’esterno nel cortile per farlo asciugare. Non c’è male mi dico, quando arriva l’invocato temporale latente da questa mattina e responsabile di tutta l’afa odierna che scatenandosi, libera un bell’acquazzone che rinfresca l’atmosfera; ne approfitto per un pisolino sul divano: essendo tutta chiusa la sala non ospita zanzare per cui si riesce a riposare anche se ci si sente soffocare un poco. Esaurito il temporale mi reco a visitare la chiesa ed a salutare Don Paolo che mi appone il timbro sulla credenziale dirigendomi poi in città per acquistare delle cartine stradali, le edicole ne sono sprovviste e l’unica libreria apre solo domani alle 9. Una pizzeria vicina mi attira per la cena e decido di assaggiare una pizza ai formaggi ma evidentemente il pizzaiolo ha sbagliato mestiere, perché assomiglia a tutto fuorché ad una pizza; ½ litro di birra mi aiuta a mangiarla, e poi quando rientro al mio ricovero una generosa razione di CocaCola mette a posto tutto: menomale che la Pizzeria si chiamava La Marinara……!

04-07-00: Martedì, Santhià – Vercelli. 20 Km 4,30 h

Oggi la tappa è di soli 20 Km fino a Vercelli, però la sveglia è comunque alle 6,30; fa troppo caldo e vi sono le zanzare che non daranno tregua per tutto il giorno anche se verrò poi a sapere che sono più fameliche nelle ore mattutine fra le 4 e le 5 ! Colazione a secco con pane e marmellata; vado in canonica a salutare Don Paolo già affaccendato in ufficio e via sulla 143 che mi si propone con dei lunghissimi rettifili, un lungo nastro d’asfalto che separa estese coltivazioni cerealicole. Passo sopra un ponte il Canale Cavour e poi a S.Germano ecco le prime risaie con il Naviglio di Ivrea che staccandosi a Vettigne dal Canale Cavour bagna per mezzo di chiuse queste grandi estensioni di riso che comincia ad alzare la testa fuori dall’acqua. Sugli argini erbosi vedo aironi cinerini e bianchi intenti a far la posta alle rane che gracidano in continuazione, costoro scappano quando si accorgono del pellegrino che incede stancamente ma non fanno una minima mossa al sopraggiungere di rombanti camion sulla statale 11 o dei numerosi convogli ferroviari la cui linea passa poco distante. In mezzo alle risaie vi sono persone con lunghi stivaloni e camici bianchi che controllano le pianticelle; vedo dei cartelli sugli argini che portano delle specifiche riguardo alle qualità di riso che sta nascendo, e loro probabilmente sono degli agronomi che studiano il progredire e le differenze di crescita dei differenti tipi di riso. Il calore del giorno che si avanza mi estrania a poco a poco dal camminare che diventa automatico e mi sorprendo a pensare a tutto ciò che mi è successo lungo il cammino, ai miei molti pregiudizi e luoghi comuni che questo pellegrinaggio ha infranto, la mia naturale fede nella Provvidenza che si è sempre più fortificata, ma ciò che più mi appaga è constatare che nonostante le cronache sempre drammatiche e violente che i giornali, Tv ed i media in genere urlano nella testa delle persone che le devono subire, il mondo variegato di umanità che ho incontrato e con cui sono stato in contatto è ancora un mondo buono che vive i valori che il Cristiano ritiene fondamentali per un vivere in pace fra persone diverse. Nessuna delle persone fino ad ora incontrate ha mai avuto con il pellegrino un contegno irriguardoso anzi, il più delle volte sono stato accolto con molta disponibilità in tutti i paesini e nelle grandi città, ha suscitato curiosità la mia situazione di pellegrino e le molte domande che mi hanno posto al riguardo, sono state dettate dal voler conoscere più a fondo e dettagliatamente il cammino da me intrapreso ed il perché; sono stato accolto per quello che ero, un pellegrino che ha lasciato la casa, gli affetti, la sicurezza, e si è messo in cammino diretto ad una meta lontana per onorare nell’Anno Santo il primo martire della Chiesa. Molti mi hanno chiesto di pregare per loro in San Pietro affidandomi le loro preghiere, esaudendoli sarà un modo di ringraziarli per avermi accolto nelle loro case e credo che sia questa la Chiesa che Giovanni Paolo II vuole in questo Anno Santo Giubilare. La Chiesa pellegrina sulla Terra dove i suoi membri accolgono coloro che si recano ai Luoghi Santi con carità cristiana. E’ una Chiesa però a cui vengono a mancare i Pastori, sono pochi i Sacerdoti incontrati finora, e di loro pochi erano giovani. Forse questo mondo così urlato ed attento solo ai soldi che i media propinano ad ogni ora del giorno e della notte alla gioventù, sta facendo più danni del sostenibile per il futuro dei giovani cattolici che non troveranno delle Guide quando gli attuali Pastori non saranno più…La SS11 mi chiede attenzione, mi sto avvicinando a Vercelli ed il traffico aumenta, arrivo a Cascine di Stra, vi è una bella chiesa con un ombroso porticato ed accanto una fontanella, di fronte ha una grotta che protegge una statua della Vergine; la guida dice che forse faceva parte di un antico ospedale dedicato a San Giacomo nella metà del XII secolo. Una piccola sosta per rinfrescarsi ringraziando la Provvidenza e poi riparto sul lunghissimo nastro d’asfalto verso Vercelli, sono le 11,30 quando entro nei primi sobborghi ma per arrivare al Convento di Billiemme ci vogliono ben 40 minuti; mi accompagna un signore che interessato alla Via Francigena mi pone alcune domande sul percorso francese. Al Convento, sono due ragazzi che mi accolgono; è un bel complesso ed è in fase di ristrutturazione, mi accompagnano ad una cameretta e più tardi faccio la conoscenza di Padre Alberto che è l’anima del convento; persona cortese e molto alla mano mi invita alla loro tavola con tutti gli altri ragazzi che mi chiedono notizie del cammino e di come si sta sviluppando qui in Italia. Più tardi mi raggiunge Chiara la moglie di Dino che mi conduce a visitare il Convento; vi sono grandi lavori di ristrutturazione all’interno rallentati però anche delle diatribe con la Sopraintendenza alle Belle Arti che pone dei cavilli burocratici al procedere dei lavori a cui attendono i ragazzi, tutti volontari ed entusiasti. Alle 17 mi raggiunge Dino ed esco con lui in Vercelli; a casa sua prendiamo le biciclette per fare un tour nella Vercelli più artistica ed antica ed in una libreria del centro acquisto la cartina della provincia di Pavia: è una stranissima sensazione circolare in bicicletta poiché si fa in tempo a vedere un mucchio di cose che altrimenti richiederebbero un sacco di tempo camminando. E’ un tardo pomeriggio allegro e veloce che mi mette di buon umore, anche l’acquisto della cartina vi ha contribuito; difatti uno dei problemi maggiori qui in Italia è di riuscire a trovare le cartine stradali abbastanza dettagliate. Rientro al Convento per la cena alle 20 e poi a nanna; domani mi aspetta una tappa di 33 Km fino a Casoni di S.Albino da Don Nunzio De Agostini.

05-07-00: Mercoledì, Vercelli – Casoni di S.Albino. 33 Km 8 h

Anche per oggi la sveglia è alle 5,30 nella quiete del Convento di S.Ugolina qui a Billiemme, ad ovest di Vercelli. Alle 6 parto verso il ponte che supera il fiume Sesia, poi camminando sulla SS11 verso Borgo Vercelli arriverò in 3 Km all’incrocio con la statale 596 meglio conosciuta come “dei Cairoli”. Quando la imbocco vedo che è un lunghissimo rettifilo con il traffico che si va intensificando; il sole già splende e le pattuglie di zanzare sono già all’opera facendo concorrenza all’Avis ed aiutando il pellegrino a perdere peso e sangue senza il suo consenso…….. Giungo a Palestro dove all’entrata della cittadina sulla destra ammiro il monumento al Fante Piemontese; più avanti ho modo di ammirare la bella Chiesa Romanica di S.Martino proprio a fianco della strada, una foto alla facciata e poi mi indirizzo nel bar a pochi metri per la necessaria colazione. La proprietaria ed alcuni avventori mi sorridono riconoscendomi come pellegrino e mi dicono che già altri ne sono passati nei giorni precedenti, si informano premurosamente chiedendomi se mi serve aiuto e da dove provengo suscitando il loro stupore quando dico loro che provengo da Canterbury; una signora all’uscita della Chiesa mi si avvicina e mi dice che l’inverno scorso ha ospitato a casa sua i 4 pellegrini che partiti all’inizio di Ottobre 1999 da Canterbury erano arrivati poi a Roma il giorno dell’apertura della Porta Santa dopo tre mesi di cammino. Mi informano anche che 100 m più avanti il comune ha allestito un posto di accoglienza per i pellegrini di passaggio; non è possibile ancora ospitarli per la notte ma vi è la possibilità di piantare le tende, vi sono però bevande e cibo a loro disposizione mentre possono riposarsi al riparo dal sole mentre cartine e materiale informativo, sono a disposizione di chi ne abbia necessità. Non ne ero al corrente e ne rimango sinceramente colpito e lieto; vuol dire che i pellegrini continuando a passare nei luoghi, riescono a muovere anche le istituzioni e che le stesse ne rimangono sensibilizzate. Ad una cabina pubblica telefono a Don Nunzio De Agostini Parroco di Casoni di S.Albino che mi assicura l’accoglienza e mi raccomanda di richiamarlo quando sono nei pressi di Mortara; credo proprio che il telefono cellulare in questo pellegrinaggio sia necessario almeno per ora, sia per contattare sia per essere contattati. Riparto dopo questa ora di sosta gratificante e istruttiva con il sole che è ancor più rovente e l’ombrello che mi ripara dai suoi raggi deve fare i conti anche con le folate di vento che i camion provocano, rimanendo alle volte malconcio. Non vi sono alberi che procurino ombra per cui decido di essere un po’ più veloce evitando di entrare in Robbio e rimanendo sulla rischiosa SS596 almeno fino a S.Angelo Lomellina. Una macchina si ferma a lato suonando il claxon, ne scende sorridente l’amico Bruno Bosia, un pellegrino di Prato Borgosesia; sono contento di rivederlo perché oramai disperavo di poterci reincontrare dato che lui abita in provincia di Novara. Lui ridendo mi da una pacca sulla spalla e mi dice:”Mauro tu ragioni da pedestre, per te 30 Km sono un giorno di cammino, mentre per me partendo da casa mia ci sono voluti solo 20 minuti di autostrada per ritrovarti in questo tratto di strada che per il pellegrino è obbligato!” E’ vero e me ne rendo conto solo ora; il mio modo di ragionare è totalmente da pellegrino pedestre: quale cambiamento di abitudini! Lo spazio ed il tempo acquistano dimensioni d’altri tempi; mi sono calato senza rendermene conto, nella realtà di 100 anni fa!. Chiacchieriamo 20 minuti sul bordo della strada, mi fornisce una bottiglia di freschissima acqua minerale poi ci salutiamo dandoci appuntamento in Toscana, su altre strade di passaggio obbligato. Proseguo per Mortara e ad una cabina ritelefono di nuovo a Don Nunzio; mi dice di incamminarmi verso Casoni di S.Albino; mi raggiungerà poi sulla strada trovandosi egli in questo momento a Mortara. Mi infilo in città per risparmiarmi un po’ di statale che qui compie una grande circonvallazione; però ci vuole parecchio tempo per uscirne e reimmettermi sulla 596. Don Nunzio mi raggiunge ad 1 Km da Casoni e mi accompagna in canonica; è un personaggio cordialissimo e gioviale, mi attende mentre faccio la doccia e poi mi accompagna al ristorante”Osteria del Giardino” a 200m; mi offre il pranzo ed anche la cena. Il proprietario che è un suo amico si unisce a noi interessandosi al pellegrinaggio ed ai luoghi che ho attraversato; Don Nunzio mi lascia poi per degli impegni precedenti dicendomi che ritornerà tra poco. Dopo un buon pranzo ed il rientro in canonica per la doverosa siesta, Don Nunzio arriva con un giornalista che mi chiede una piccola intervista interessandosi al percorso ed alle esperienze avute nelle regioni attraversate. Mi informa che altri pellegrini sono passati nei giorni precedenti e mi confida la sua predilezione per Thomas Becket e gli antefatti del suo martirio. Sta preparando una piéce teatrale che metterà in scena a breve con un gruppo di suoi parrocchiani. Ci congediamo con una foto davanti alla statua del Cristo accogliente posta davanti alla porta della chiesa raccomandandomi di inviargli una cartolina da Roma al termine del pellegrinaggio. È la prima volta che mi sento accolto come una persona di riguardo, come penso fosse accolto negli hospital durante i secoli scorsi il pellegrino, e ciò mi rende felice; la sua accoglienza è spontanea e dimostra grande apertura mentale e generosità nei riguardi del pellegrino che chiede ospitalità, ma anche conforto in un sorriso ed in qualche minuto di conversazione e di conoscenza. Don Nunzio mi ha dato parecchio del suo tempo, mi ha ascoltato e mi ha ospitato con cibo e bevande senza nulla chiedere. Anche qui ho trovato la perfetta risposta a ciò che disse Gesù “Bussate e vi sarà aperto”. So che è troppo sperare che durante l’ancor lungo cammino che mi attende io abbia la fortuna di incontrare altre persone che mi usino questa accoglienza, però so che da domani camminerò con il cuore molto più lieto!

06-07-00: Giovedì, Casoni di S. Albino – Pavia. 35 Km 7,30 h

Alle 5,30 sono in pista ben arzillo, il sole ancora non è sorto e solo un lieve rossore colora l’ orizzonte mentre la nebbiolina che si alza dai prati si dissolve fluttuando pigramente. Attraverso le poche case di Casoni di S.Albino ancora immerse nel silenzio sollevando però con lo scalpiccio dei passi, una cagnara di latrati dei solerti e coscienziosi cani che avvisano tutto il borgo della partenza del pellegrino mattiniero. Sono subito preda delle zanzare sempre all’erta quando c’è da dissanguare un pellegrino ramingo; non vedo l’ora di raggiungere l’Appennino per non sentirmele più ronzare vicino alle orecchie Mi incammino sulla 596 ”dei Cairoli”: la strada più pericolosa e trafficata fino a qui percorsa, ed una lente degli occhiali cadendo sull’asfalto si frantuma: che jella! si era allentata la vite e non me ne ero accorto, credo che il danno sia di 100.000 lire; l’unico lato positivo del fatto è che l’occhiale ora, pesa meno sul naso. Raggiunto Tromello entro in un bar mattiniero per prendere due croissant ed un cappuccino che un barista musone mi serve senza proferire parola, neanche un educato” buongiorno”! Velocemente mi dirigo verso Garlasco, vorrei telefonare a Don Carlo a Pavia; ieri ho fatto un sacco di volte il suo numero telefonico ma era sempre assente, anche ora però la linea è libera ma non risponde nessuno. Riesco a contattare un Parroco di un’altra Parrocchia il quale mi dice di trovarsi a Bolzano in vacanza ed è spiacente di non poter far nulla per aiutarmi, mi dice però che l’Ostello di Pavia dovrebbe trovarsi alla Cascina Leona in via Leona situata poco prima del Ponte Vecchio dove ci dovrebbe essere anche una accoglienza per i pellegrini. Poco prima di entrare in Garlasco una persona mi viene incontro lungo la strada sorridendo e mi saluta mentre si avvicina: non ci credo! E’ proprio Giovanni Bortolin del Gruppo Podisti di Greco con l’amico Gatti come fotografo; si sono fatti tutta questa strada per me, per incontrarmi e per avere notizie sul cammino sin qui fatto. Volti amici ed inattesi che ti regalano attimi di gioia lungo la Via… Mi chiedono se mi posso fermare per una piccola intervista; ci accomodiamo su una panchina lungo il viale ed abbiamo modo di conversare un po’. Per trovarmi hanno chiesto informazioni a casa mia poi hanno telefonato stamattina a Don Nunzio per sapere se ero già partito; vorrebbero pubblicare queste notizie sul loro periodico che uscirà a breve, sono lieto di poterli soddisfare ed ancor più di averli rivisti. Spero di poter concludere il pellegrinaggio a Roma e poi far loro dono del diario di Via che cerco di scrivere ogni giorno. Chissà mai che qualcuno dei Podisti interessati al pellegrinaggio un giorno decida, grazie a questo, di mettersi sul Cammino… Ci salutiamo dopo circa venti minuti e mi avvio attraversando il centro di Garlasco proseguendo verso Gropello Cairoli; poco prima di giungervi, lascio la vecchia 596 che l’attraversava e prendo la nuova che lascia l’abitato a circa un Km sulla sinistra; anche lei è senza alberi però è molto più larga e comoda. Dopo essere passato sotto il ponte dell’autostrada A7 mi reimmetto in località S.Spirito sulla vecchia 596 che diventa ancora più stretta e pericolosa fino a Carbonara Ticino dove una variante pedonale costruita in occasione del Giubileo, mi permette di abbandonarla. Posso così aprire l’ombrello per difendermi meglio dai raggi del sole che mi stanno arroventando arrivando tranquillamente fino a Sabbione e poi a S.Martino Siccomario. L’entrata a Pavia non pone problemi come invece è la ricerca della via Leona e della Cascina Leona dove è ubicata l’accoglienza; sono le 13 quando la trovo, è proprio vicino al Canale ed è un Ostello costruito dal Comune per i pellegrini, ma anche luogo di accoglienza e soggiorno per i familiari di bambini con malattie rare ospitati in Ospedale che non hanno la possibilità di sostenere le spese di un albergo. E’ moderno e confortevole e si trova a circa un Km prima del Ponte Vecchio. Dopo le consuete faccende telefono ad Alice e Giovanna che mi aspettano in un bar vicino al Ponte Vecchio; sono contento di poterle riabbracciare, è passato così tanto tempo dal giorno della mia partenza….! Mi dicono che sono dimagrito ma mi trovano bene ed in forma, facciamo il giro turistico di Pavia tutto il pomeriggio visitando il Duomo in particolare modo. All’interno stanno rinforzando i pilastri che sostengono la cupola con una tecnica ardita come mi spiega bene il Monsignore al quale ho chiesto la timbratura della credenziale; è un lavoro colossale che richiederà parecchio tempo ma che ridarà stabilità a questa stupenda costruzione. Alle 18,30 le saluto, devono prendere il treno delle 19,30 e non possono ritardare. Oggi è stata una giornata di incontri di volti amici, e di persone care che mi mancavano da troppo tempo e che ora mi lasciano con l’animo più leggero. Di ritorno all’ostello non dimentico le provviste per domani e compro della frutta, pane, marmellata e CocaCola che divenuta ormai la mia bevanda consueta. Alle 20 ceno da “Francescon“, una trattoria qui vicino con un minestrone ed una bistecca con funghi ben cucinati. Domani andrò a Corte S.Andrea dove è il guado del fiume Po e cercherò di trovare il traghetto per arrivare poi a Piacenza.

07-07-00: Venerdì, Pavia – Orio Litta ( Transitus Padi ) 42 Km 9,30 h

Sono le 5,40 quando esco da questo luogo di accoglienza per pellegrini oltre che da famiglie segnate dal dolore ma con tanta speranza di rivedere i loro figli degenti in ospedale guarire presto. Storie di ordinaria mestizia nelle quali la parola “speranza” deve fare i conti con la dolorosa attesa che lacera crudelmente l’animo già duramente provato dal conoscere e dal tenere nascosta la malattia ai propri cari giorno per giorno; anche per loro pregherò in questo pellegrinaggio che si avvia ad essere sempre più una finestra spalancata davanti alla quale tutto un mondo di umanità variegata scorre, vedendomi spettatore delle loro miserie o della loro opulenza: mai avrei pensato che pellegrinare potesse comportare questi sgomenti. Qualche foto-ricordo al Ponte Vecchio libero a quest’ora dalle macchine e mi avvio sul lungo Ticino; barche che dondolano e pescatori speranzosi sono in acqua attendendo il calore del sole che si sta alzando; lontano verso le rive erbose stormi di rondini volano a pelo d’acqua rincorrendosi e cinguettando giocosamente Dopo l’abitato di S.Pietro prendo la 234, poi non vi è più modo di distogliere l’attenzione dalla strada per gustare il panorama dei campi e dei filari di pioppeti. Treni gremiti di pendolari transitano sulla vicina linea ferroviaria; faranno ritorno a tarda ora rifacendo il tragitto all’inverso. Dopo Motta S.Damiano la 234 è bordata inopinatamente da una spessa siepe di pungenti robinie che invadendo la sede stradale mi impediscono al sopraggiungere dei camion, di spostarmi sul bordo dalla strada; è allucinante constatare che questo tratto di strada è un toboga nel quale i pedoni ed i ciclisti non sono ammessi, solo chi viaggia in scatole di latta è sicuro di uscirne sano e salvo: nessuno a mai pensato ai ciclisti ed ai pedoni? E’ un vero attentato alla persona questa strada. Spero che il continuo flusso di pellegrini a piedi o in bicicletta, convinca chi ne ha la responsabilità a porvi rimedio in fretta allestendo una pista ciclopedonale, altrimenti prima o poi ci scapperà il morto…Giungo a Belgioioso fermandomi ad una panchina nella bella piazza davanti all’imponente Castello Visconteo, non è ben messo e frotte di piccioni invadono le finestrelle ed i muri di mattoni sgretolandoli con le zampette; avrebbe bisogno di un buon restauro per ritornare all’antico splendore. Telefono alla APT di Pavia per avere informazioni circa la Parrocchia di Corte S.Andrea; mi rispondono che non vi è parrocchia ma solo poche case e la chiesa, per cui decido di andarci e poi traghettare subito per arrivare a Piacenza nel pomeriggio. Passo da Corteolona dove ha sede lo stabilimento della “Galbani”, numerosi camion e autobotti trasporto-latte sono parcheggiati nel grande piazzale antistante pronti per le operazioni di carico-scarico; una realtà industriale in queste terre a vocazione agricola. A Chignolo Po arrivo alle 11,30; scatto delle foto al suo bel Castello, ma ci vorrebbe un bel teleobbiettivo…Poco dopo Mostiola, dopo aver superato su un ponte il fiume Lambro dal colore scuro, un cartello segnaletico della Via Francigena con il logo del pellegrino mi indirizza a destra in una strada sterrata che passa sotto il ponte della linea ferroviaria; dopo diventa più ampia e mi conduce verso gli argini del Po: una strada bianca finalmente! Non vi sono più vetture che sfrecciano: è il classico paesaggio in cui Gianni Guareschi ha ambientato le saghe di Don Camillo e Peppone, niente è cambiato; i pioppeti, la calura afosa, gli orizzonti fermati dagli alti argini che celano alla vista Lui, il Grande Fiume. Mi riscuote da questo languore mentale l’incontro con due ragazzi in mountain-bike ai quali chiedo informazioni per arrivare a Corte S.Andrea; mi rispondono sorpresi che è ancora lontana per arrivarci a piedi, forse tre, quattro Km sempre diritto sull’argine. Proseguo rimuginando ciò che mi ha detto l’addetto dell’ATP di Pavia, se a Corte S.Andrea non vi è parrocchia e non vi è prete, solo poche case, come può esserci una ospitalità per pellegrini?

Mi si para dinanzi un cartello-freccia: “Ostello per pellegrini a Orio Litta”, indicante un sentiero che si inoltra fra cavedagne e mais a sinistra dell’argine; verso un campanile che in fondo occhieggia al disopra dei pioppi: forse è la Provvidenza che mi indirizza là, potrei trovare l’Ostello o quantomeno delle valide indicazioni per attraversare il Po più tardi. Sono le 14,30 lo imbocco decisamente ed al termine, in una piccola corte, chiedo informazioni ad una signora ad un balcone; mi indirizza verso la chiesa più in alto al paese dove potranno darmi altre informazioni. Mentre mi incammino mi raggiunge un signore con la macchina, mi ha visto da lontano ed ha capito al volo che ero un pellegrino e che cercavo l’ostello; si chiama Renato e mi conduce dal Presidente del Comitato di accoglienza della Pro Loco di Orio,Pierluigi Cappelletti, che sorpreso, mi accoglie nella sua casa con tanta cordialità. Non si aspettava un pellegrino oggi né tantomeno che provenisse da così lontano; mi fa accomodare e mi offre un gradito bicchiere di buon vino mentre mi dice che posso fermarmi qui a Orio dove in palestra è allestito l’hospital che ha già ospitato altri pellegrini. Mi chiede notizie sul cammino fatto e su quello che mi resta da fare; mi informa che a Corte S.Andrea non vi è un hospital e che il traghetto bisogna prenotarlo, cosa che farà egli stesso. Ringrazio di nuovo la Provvidenza perché sarei andato inutilmente a Corte S.Andrea e poi al guado per poi tornare indietro dato che il traghetto si trova a Soprarivo sull’altra riva del fiume. Renato ci lascia per degli impegni mentre la mia credenziale si arricchisce del bel timbro di Orio con dei precisi riferimenti al pellegrino ed alla Via Francigena. Mi sento viziato come non mai quando la moglie di Pierluigi, Daniela, gentile ed affabile mi offre una tazza di caffè; più tardi mi porta alla palestra dove è allestito l’hospital con letti, docce e la possibilità di fare il bucato. L’appuntamento è per stasera alle 20 per le foto-ricordo; ci sarà anche Giovanni Favari, Referente Lodigiano per la Via Francigena e Presidente della “Compagnia di Sigerico “ per l’attraversamento del fiume Po. Nel vicino supermarket ho modo di fare le necessarie provviste per domani; più tardi telefono a Don Silvio Pasquali a Montale che mi suggerisce di trovarmi domani alla Parrocchia di S.Lazzaro a Piacenza; mi accompagnerà poi egli stesso all’Ostello di Montale. Alle 20 Pierluigi puntuale mi sta già attendendo ed alla mia richiesta di indicarmi una trattoria o un piccolo ristorante qui in Orio, mi offre di cenare con la sua famiglia; una cena gioviale rallegrata anche dalla presenza di suo figlio e dal suocero che conosce bene i dintorni della mia Brianza. A sera inoltrata giunge Giovanni Favari: uomo vulcanico, espansivo e schietto; è una persona travolta dall’amore per i pellegrini e per la Via Francigena a cui dedica anima e corpo. Visitiamo Cascina S.Pietro perfettamente ristrutturata con buon gusto e sensibilità sul sito di una antica Grangia; il giorno 03 Settembre ospiterà il Corteo Storico in costume con l’entrata ad Orio Litta di Sigerico proveniente dal guado del Po e da Corte S.Andrea. Alle 23 ci salutiamo mentre mi avvio alla palestra e mi augurano buon cammino per domani. Vi è ancora parecchio caldo in questa struttura sportiva mentre preparo il mio confortevole letto; più tardi però decido di portarmi un materasso nel locale docce, molto più fresco e ventilato, dove riesco a prendere sonno. Oggi è stato un giorno colmo di sorprese; ho trovato amicizie e aiuto fraterno da parte di persone formanti una Comunità laica di accoglienza che pongono il pellegrinaggio e l’accoglienza al pellegrino ai primi posti del loro essere cristiani; sapendo rispondere con sollecitudine ai bisogni degli “altri”. Qui l’esortazione di Gesù “Bussate e vi sarà aperto”, ha trovato nuovamente una pronta risposta ed un esempio vigoroso e schietto di ospitalità. Questa è la “Chiesa”: la Comunità di cristiani che il Santo Padre vorrebbe operosa sempre, non solo in questo Anno Giubilare dove già alcune parrocchie che espongono il Logo del Giubileo, ne disattendono però il suo significato con una accoglienza glaciale verso il pellegrino che bussa…

08-07-00: Sabato, Orio Litta (Transitus Padi) – Montale (Piacenza). 23 Km 6,30 h

Oggi la sveglia suona alle 6 e mi prendo una doccia nella frescura del mattino dopo una notte di dormiveglia; la colazione è con pane e marmellata che consumo senza fretta la qual cosa mi fa sentire strano. Non vi è nulla di particolare nella cosa, forse è il rientrare nella società civile in cui ci sono degli orari da rispettare ed altre persone da attendere, mentre dal giorno della mia partenza ero completamente padrone del mio tempo gustando a volte anarchicamente la sua completa disponibilità. Alle 7,20 sono al bar nella piazza che sta riaprendo in questo momento poiché gli devo lasciare le chiavi della palestra e ne approfitto per un cappuccino ben caldo. Esco dal paese prendendo la direzione di Villa Litta Carini a cui faccio qualche foto nella luce dorata del mattino mentre mi dirigo verso il sentiero sterrato che mi aveva indicato ieri Pierluigi. Sono in mezzo alle coltivazioni di mais già molto alto e la vista dei lunghi e secchi barbigli in cima alle pannocchie mi riportano alla memoria quando ero ragazzino e li arrotolavo nei fogli della “Rosea” (La Gazzetta dello Sport), per fumarli come fossero dei profumatissimi Avana. Lontani a destra gli estesi pioppeti che accompagnano lo scorrere del fiume si avvicinano mentre raggiungo l’abitato di Corte S.Andrea; anche qui un cartello indica la direzione verso il “Transitus Padi”, ed un grande arco immette nell’abitato ricordandone il suo importante passato. Più avanti discendo al punto di imbarco dove vi è una stele recentemente posta a perenne memoria con due pietre poste ai piedi dell’affusto recanti incisioni; a destra sotto i pioppi, vi è un Cottage che serve anche da luogo di sosta per i pellegrini come mi dirà poi Favari. Ora sono le 8,30 e mi siedo sull’argine guardando un pescatore in riva al fiume che sembra una statua tanto è immobile, lo scorrere del fiume è lento e placido con solo delle lievi increspature che al rinforzare della brezza turbano la superficie mentre a volte sull’argine, delle improvvise e forti raffiche di vento scompigliano le fronde dei pioppeti provocando turbinii di sabbia e foglie. Alle 9,10 ecco Favari arrivare con lo scooter: novello Sigerico modernizzato e scoppiettante; che mi pone sulla credenziale il timbro della Compagnia anche questo molto bello e riferito alla Francigena, mentre attendiamo l’arrivo del battelliere con la nuova barca avuta in dotazione: sarà il mio il primo trasbordo della nuova barca per il trasporto dei pellegrini qui al guado ed alle 9,40 eccola che giunge molto bella e veloce. Foto di partenza, e poi siamo a bordo avviandoci a prendere il centro del fiume: la sensazione è come se mi recassi in un’altra terra attraversando il Grande Fiume, un ostacolo altrimenti insuperabile come lo era sicuramente per i pellegrini dei secoli passati che qui giungevano ed a volte dovevano attendere per giorni e giorni qualche barcaiolo misericordioso che li traghettasse sull’altra sponda. Il battelliere si chiama Parisi Danilo, tipo alla mano simpatico e gioviale, anche lui fa parte della Compagnia di Sigerico e mentre governa la barca abilmente mi spiega dove sono le secche e di come il fiume sia infido a questo riguardo cambiandone il posto continuamente. In 10 minuti arriviamo a Soprarivo dove è l’approdo, invitandomi a bere un bicchierino a casa sua, proprio lì in alto sopra l’argine, dove a volte ospita dei pellegrini di passaggio; non vuole essere pagato per il servigio che mi ha reso e mi indica il tratto da fare sull’argine verso Calendasco con le relative scorciatoie. Incontri con persone cordiali ed amiche dei pellegrini già di primo mattino…Cammino sull’argine dirigendomi verso Calendasco prendendo i sentieri. Alcuni gelsi solitari punteggiano la campagna; forse anche qui nei tempi andati la cultura dell’allevamento del baco da seta era una delle risorse di vita. Il caldo è afoso e non vi sono nuvole in cielo; perfino le zanzare mi lasciano in pace, preferendo forse riposare sotto l’ombra di una fogliolina. Arrivo al bar dell’Incrociata ora Bar Edo, dove degli avventori seduti sotto gli alberi ed intenti a giocare a briscola, mi domandano se vado a Roma dandomi poi un caloroso incoraggiamento alla voce. Prendo per Cotrebbia Nuova, poi per Malpaga ed ecco alla fine di una strada senza uscita il letto secco ed asciutto del fiume Trebbia, largo e sassoso sulla destra. Le sue acque sono imbrigliate più a Nord e nell’alveo non vi è nemmeno una pozza di fango; guardo con attenzione dove metto i piedi per evitare di calpestare inavvertitamente qualche biscia e risalgo l’argine opposto entrando nella prima periferia di Piacenza dove decido di attraversare il centro e non prendere per le ombrose Mura avendo così modo di fare delle foto al Duomo ed agli altri monumenti. A S.Lazzaro trovo Don Silvio Pasquali, un giovane sacerdote che premurosamente mi chiede se voglio pranzare qui mentre lui si libera dagli impegni a cui sta attendendo; lo ringrazio ma preferisco avviarmi verso Montale a circa 4 Km da qui, 1,5 Km dopo il ponte dell’autostrada dove è la chiesa con annesso l’hospital. Quando vi arrivo Don Silvio vi è giunto in moto e mi attende; è un antico hospital recentemente ristrutturato, molto bello e funzionale; all’interno colonne ed archi testimoni di un antico passato sono stati recuperati in un contesto armonico ed il tutto si fonde con la odierna funzionalità a cui è destinato, vi sono letti, docce, telefono ed una grande cucina con il frigorifero rifornito: un vero Hotel a tre stelle per il pellegrino! Don Silvio riparte per altri impegni dopo avermi illustrato la storia dell’hospital e della chiesa lasciandomi le chiavi; ho da poco terminato le mie incombenze giornaliere quando si scatena il temporale che incombeva sulla zona: era troppa l’afa con il caldo, così tanto che sembrava di camminare in una condotta di vapore! Finalmente un po’ di frescura con la pioggia che cadendo con irruenza e fragore sta lavando strade e tetti; ne approfitto per un buon pisolino non potendo uscire per le compere, più tardi mi reco in un piccolo negozio 500 m più avanti fornito di tutto dove accanto, c’è anche una pizzeria. Mi rammento che non ho fatto apporre sulla Credenziale il timbro della Parrocchia per cui telefono a Don Silvio pregandolo di ritornare quando avrà tempo con i timbri necessari; cosa che fa subito mentre riprende a piovere. Alla sera in pizzeria una pasta al ragù ed una bistecca mi ridanno le giuste energie per la tappa di domani. Al pomeriggio avevo telefonato a Don Camillo Mellini alla parrocchia di San Pietro vicino al Duomo di San Donnino di Fidenza per l’eventuale accoglienza di domani; mi assicura che è possibile presso la sua parrocchia oppure presso i locali del Cenacolo accanto al Duomo. Quando rientro all’ostello alle 21,30 riprende a piovere ancora con forza; non mi resta che sperare affinché questo temporale riesca a scaricare tutta l’acqua che tiene in serbo e che domani vi sia il sole ed un po’ più di frescura sul cammino!

09-07-00: Domenica, Montale (Piacenza) – Fidenza 34 Km 7,30 h

Sono le 5,30 di un mattino con il cielo coperto; le nuvole non sono scure ma la nuvolosità è densa e vi è poca luce. Scendo in cucina per prepararmi la colazione con latte e wafers, lasciando un donativo nel libro delle presenze ed alle 6,20 mi avvio sulla Via Emiliana-Parmense sgombra dal traffico. Oggi è domenica, non vi sono i temibili TIR ed anche di vetture ne circolano poche, Nell’avanzare del giorno il tempo migliora ed il sole si fa largo aumentando la visibilità sull’Appennino che alla mia destra si staglia sorvolato da banchi di bianche nuvole che vanno via via disperdendosi. Ai lati della strada vi sono estese coltivazioni di pomodori i cui rossi frutti fanno bella mostra di se piegando verso terra le piantine stracariche; altri campi di girasole si alternano al mais nella piatta campagna. Un piccolo Oratorio dedicato alla B.V. Maria ed a S.Giuseppe, sorge accanto a dei pini sulla sinistra della strada; è del 1913 eretto da tale Salvade Giovanni, una della due lapidi ai lati dell’edicola reca una iscrizione che declama:

Nella pace diffusa dei campi / nella Beatitudine solennità del Tempio / qui stanco il passegger s’asside / medita, prega e si riposa.

Giungo a Pontenure poi a Cadeo ed infine a Fiorenzuola d’Arda dove mi dirigo verso il centro della cittadina; ad una cabina telefonica cerco di contattare Don Giuseppe Malpeli della Parrocchia di S.Maria a Fornovo per chiedergli ospitalità per lunedì. Riesco dopo svariati tentativi a parlargli e mi risponde che vi è una camera disponibile ma che lui non vi sarà perché in ferie con i ragazzi, ma lascerà la chiave in canonica; cosi dice senza dirmi esattamente dove: la sensazione è che non mi sembra tanto entusiasta…,spero di riuscire a trovarle quando vi arriverò. A Fidenza giungo alle 14,30 con il sole che scotta data l’atmosfera limpida e ad alcuni avventori seduti all’esterno di un bar chiedo le informazioni per arrivare alla Parrocchia di S.Pietro. Passando dalla Cattedrale entro nella canonica dove un Monsignore cortesemente mi appone sulla Credenziale il timbro della Parrocchia di S.Donnino M. a cui è dedicata la Cattedrale. Pochi isolati più avanti vi è la canonica di Don Camillo che mi accoglie nel suo studio interessandosi al pellegrinaggio; mi dice che qui in casa sua ora non ha più posto essendo tutte le camere occupate da alcuni extracomunitari, per cui pensa di alloggiarmi presso il Cenacolo telefonando ad una signora che lo dirige; parliamo per circa un’ora di pellegrinaggi mentre mi mette il timbro della sua parrocchia e poi mi avvio verso la Cattedrale dove a fianco è il Cenacolo. La signora mi accompagna in una stanzetta in alto molto bella e con un balcone che mi sarà utile poi per far asciugare il bucato; mi dice che vi è alloggiata anche una famiglia di extracomunitari e di non preoccuparmi quindi se sentirò dei rumori; lasciandomi poi le chiavi dell’alloggio mi saluta. Nel Duomo ho l’opportunità di assistere alla S.Messa e poi di visitarlo; all’esterno la facciata è bella ed inondata dal sole per cui scatto delle foto alla formella posta a destra del portale dove sono raffigurati i pellegrini poveri (quelli che vanno a piedi). Quindi il doveroso tour per la città dove sembra che tutta la gente rimasta si sia assiepata fuori dai numerosi bar discorrendo rumorosamente. non vi sono chioschi di giornali aperti neanche alla stazione ferroviaria nei quali avrei l’opportunità di acquistare cartine della Regione di Parma; mi dovrò affidare alla cartina della Via Francigena che la Provincia di Parma stessa mi aveva inviato poco prima di partire. E’ domenica e trovare un ristorante aperto è quasi un problema; in periferia, sulla circonvallazione della Via Emilia, trovo il Ristorante-Pizzeria “Bellaria”: si mangia bene e mi faccio preparare anche delle focacce per domani dato che oggi i negozi sono tutti chiusi. Alle 20,30 rientro al Cenacolo con il suono delle campane del Duomo che fanno fuggire i piccioni annidati nei suoi sottotetti. Domani andrò a Fornovo dove vi è un altro bel Duomo da vedere e sarà anche il luogo di partenza per avvicinarmi ancor più all’Appennino, sperando di trovare della cartine per il prosieguo del cammino verso Pontremoli.

10-07-00: Lunedì, Fidenza – Sivizzano. 42 Km 9,30 h

Parto alle 6 dal Cenacolo; ieri pomeriggio il sole aveva scaldato parecchio la facciata della stabile su cui si affacciava la mia cameretta, mi ha asciugato bene il bucato ma la stanzetta era come un piccolo forno, e dormire la notte è stato difficile anche per colpa di piccioni eccessivamente tubatori…Il bar Pizzeria Bellaria essendo situato sulla Via Emilia, è già aperto ed autisti mattinieri sono al bancone per il primo caffè mentre io mi prendo un bollente cappuccino e due dolci zuccherosi che mi daranno la carica necessaria per tutta la tappa. La Via Emilia a differenza di ieri è già molto trafficato ed una lunga teoria di TIR e vetture la percorre nei due sensi; mentre la mia meta fortunatamente, è di arrivare a Coduro e poi prendere la provinciale a destra che mi porterà a S.Margherita. Quando vi arrivo il traffico diventa più sopportabile però è anche molto stretta; mi dirigo verso Borghetto controllando la mia cartina che non è ben dettagliata e non vi sono le località che i cartelli stradali riportano, per cui cerco di tenere la direzione di Medesano. Sono in aperta campagna anche se cammino su asfalto incrociando trattori che si recano nei piccoli appezzamenti di fianco alla strada. Un cane particolarmente iroso, lontano 150m nel bel mezzo di un campo ed al seguito del trattore del suo padrone, ha tutta l’intenzione di corrermi alle calcagna costringendo il suo padrone a sgolarsi per tenerlo a freno; perché mai tenta di attaccarmi così da lontano? Potrebbe voler dire che il suo padrone non l’ha allevato come si deve oppure è un cane diventato, per delle cause che andrebbero appurate, particolarmente cattivo e fonte di pericoli per chiunque si trovi a portata della sua pupilla. Ad una grande curva poco prima di un lungo falsopiano mi fermo all’ombra di un pannello stradale per una piccola sosta; un solitario cicloturista fa dietrofront e fermandosi vicino mi chiede se sono un pellegrino, da dove provengo, e se la mia meta è Roma. Mi confida che anche lui vorrebbe fare un pellegrinaggio ma non trova il coraggio di partire; credo che la causa principale di questa sua remora sia il sapere che si dovranno lasciare le certezze del vivere quotidiano, smorzando così sul nascere il desiderio di partire che si rivela velleitario e a lungo andare frustrante; bisognerebbe fare forza sulla volontà e partire. Il cammino poi produrrà il cambiamento che il pellegrino cerca: il contatto con l’ambiente diverso, l’altra persona che troveremo, il chiedere e l’accettare l’ospitalità dovendo accettare tutto con umiltà, porterà poi alla scoperta di alcuni lati di noi stessi che venendo a galla ci metteranno a dura prova. Sentiremo che saremo stranieri e bisognosi; ogni spinta al sentire “l’altro” estraneo verrà a perdere senso e capiremo che siamo tutti uguali a tutte le latitudini, e che molti pregiudizi sono fondati sulla sabbia. Forse è anche questa la ragione del bloccarsi: la certezza che alcune nostre “certezze” sono sul punto di essere verificate; non da altri, ma da noi stessi, “sul campo” e giorno per giorno. Concorda con me su alcuni punti, poi mi lascia augurandomi buon cammino e dicendomi grazie. Sono io che lo devo ringraziare per il suo inconsapevole aiuto, essendo io in questo momento “sul campo”! Alla fine del lungo falsopiano mi immetto sulla 357 che mi conduce a Medesano dove cerco caparbiamente le cartine che mi servono non trovandole però in nessun chiosco o libreria. Mi dirigo a Felegara con la 357 che diventa parecchio trafficata entrando poi a Fornovo passando sul ponte che attraversa il fiume Taro; il fortissimo vento che si è levato qui nella gola mi fa ondeggiare obbligandomi ad appoggiarmi al corrimano del ponte per non camminare come un ubriaco tanto sono violente le raffiche che mi spingono di lato; mi dirigo subito alla Pro Loco per cercarvi le cartine ma ne hanno ancor meno delle mie! Mi porto allora alla Parrocchia S.Maria e qui la sensazione che avevo avuta ieri si rivela fondata; le chiavi che Don Malpeli avrebbe dovuto lasciarmi non sono quelle che contengono la chiave del rifugio per i pellegrini situato dietro la canonica, dove per arrivarci si passa fra erbacce e rottami ed anche l’interno che si vede dalla finestra rimasta aperta è in perfetto disordine. La perpetua che mi ha visto arrivare ha difficoltà a camminare e non è stata minimamente informata del mio arrivo; non sa dove siano le chiavi dell’alloggio e vorrebbe che aspettassi che apra il bar annesso alla canonica alle18. Il cartello che è però esposto sulla porta del bar dice che il lunedì apre alle 21! Cerchiamo le chiavi per un’ora e mezza ma poi capendo che mi sto spazientendo decido di lasciar perdere e di andarmene, non avendo lei la minima colpa di quanto accaduto. Telefono a Don Ponci a Sivizzano a 7 Km da qui per chiedergli ospitalità ricevendo il suo assenso per cui mi avvio di nuovo sulla Sp 39 tralasciando la ricerca del primo tratto sentieristico della Via Francigena Parmense. Passo da Respiccio poi da Roncolongo sempre in costante salita, arrivo a Sivizzano con Don Ponci che mi attende; mi dice che sta partendo per un periodo di ferie ma vi è sua madre qui in questo piccolo ed antico Monastero annesso alla Chiesa Parrocchiale: il complesso è stato recentemente restaurato e risale al 1100. Vi è un bel cortile con uno stupendo porticato come anche al piano superiore; al pianterreno vi è un ampio salone con il soffitto a volta in pietra ed una grande cucina però non vi è neanche un materasso; mi dice che un gruppo di Scout sono stati qui ospitati recentemente e che hanno dormito per terra. Beh, perlomeno ho un tetto sopra la testa anche stanotte, mi dico,vedendo che il tempo sta peggiorando; oltre al vento vi sono grossi nuvoloni neri che stanno coprendo la valle ed anche il mio Baro è in picchiata. Una doccia fredda velocissima e poi il bucato che con questo vento asciugherà subito, cerco una cabina telefonica ma non ce ne sono per cui stasera non potrò telefonare a casa per avvisarli del nuovo luogo di tappa. A Fornovo avevo telefonato anche a Don Pino Bertozzi alla Parrocchia di S.Maria a Berceto ed al Convento dei Cappuccini di Pontremoli per l’ospitalità di martedì e di mercoledì rispettivamente, ricevendone il consenso. Alla sera ceno al Bar Ristorante “Meravigliao”, l’unico esistente nel paesino dove si mangia bene e si spende poco(27000); mi faccio preparare anche due panini ed una bottiglia di CocaCola sufficienti per la tappa di domani che mi porterà a Berceto. Salirò per la prima volta da pellegrino i boschi dell’Appennino attraverso i sentieri segnalati della Via Francigena Parmense, mentre dopodomani sarò in vetta ai 1231m del Monte Valoria e poi, sceso al valico del Passo della Cisa a 1040 m, scenderò a Pontremoli. Quando rientro nell’ex Monastero comincia a piovere e non avendo la possibilità di avere abbastanza luce mi accingo a preparare il giaciglio unendo due tavoli alfine di non dormire per terra. Anche questo è un aspetto del pellegrinaggio che non mi dispiace, ricordarsi di tanto in tanto che nelle nostre case stiamo comodissimi mentre moltissimi altri non hanno nemmeno (come il Figlio dell’Uomo) una pietra su cui poggiare il capo.

11-07-00: Martedì, Sivizzano – Berceto 24 Km 6,30 h

Forse è vero che dormire ogni tanto sul duro fa bene allo scheletro ed alle giunzioni delle ossa perché non mi duole nulla nonostante il tavolo non fosse proprio morbido, però può anche essere che mi sono fatto il callo nei punti strategici dove il tutto appoggia, o forse…Mi toglie dal dilemma la voce della mamma di Don Ponci che gentilmente mi ha preparato una tazza di graditissimo caffè; la ringrazio sentitamente e le lascio un donativo per l’accoglienza, raccomandandole di suggerire a Don Ponci l’acquisto di qualche materasso che i prossimi pellegrini di passaggio apprezzeranno molto di più che non la pur bella e necessaria cucina. Il primo tratto di percorso si sviluppa sulla Sp 39 dove dei piccoli cippi bianchi con delle formelle raffiguranti il logo del pellegrino bordano i lati della stessa; poco dopo il sentiero costeggia il campo di calcio alla sinistra della strada e si inoltra alzandosi sulle prime pendici del Monte Arsiccio. Il tempo è nuvoloso e vi è anche un vento molto forte che tende vieppiù a rinforzare; non so se andrà a far bello o brutto tempo, comunque ho deciso che in qualsiasi caso percorrerò il sentiero e non la statale. Il sentiero diventa molto bello e panoramico, ed è quanto di meglio possa desiderare un pellegrino anche se le salite e le relative discese che si alternano sono sempre degli strappetti che fanno sudare. Giungo a Bardone fotografando la sua bella Pieve, poi una strada in discesa mi porta in località Molino proseguendo verso Terenzo; il sentiero intagliato nel bosco a volte precipita per poi risalire ripidamente attraversando abetaie e bellissime faggete. Il vento è fortissimo e camminare in questi densi boschi è stupendo, sentendo il suo ululare e fischiare fra i grossi tronchi mentre in alto scuote selvaggiamente le chiome. Arrivo a Castello di Casole a 755m scendendo poi ripidamente nei fianchi della gola che ospita in basso il paesino di Puilio. Da un venditore ambulante compro delle albicocche e delle mele; allargando le braccia mi dice che questo vento è da 15 giorni che sta soffiando in questa zona, mentre una piccola folla di massaie ha rapidamente circondato il suo furgoncino che è una specie di bazar contenendo di tutto un po’. Sulla destra un ripidissimo sentiero, acciottolato per il primo tratto, scende per poi impennarsi di nuovo verso Villa che raggiungo sempre in decisa salita fino ad un primo punto panoramico a 810m sulla Malacosta; risale ancora fino a 880m e poi mi porta a Ronchestino, un altro punto panoramico a 800m, dove posso ammirare in basso le serpentine del Torrente Baganza. Entro in Cassio sempre in leggera salita e lo attraverso su un bel selciato dirigendomi sulla SS 62 della Cisa che lo attraversa; vi è un bar ed una cabina telefonica dalla quale chiamo casa per avvisarli del cambiamento di programma avvenuto ieri e fermandomi per una piccola sosta al bar; prendo del cioccolato ed una fresca birra. Riparto proseguendo sulla Cisa che diventa tutt’uno con il sentiero per un buon tratto fino a Cavazzola di Sopra; la cartina della Via Francigena che la Provincia di Parma mi ha fornito si dimostra ottima ed affidabile riuscendo agevolmente a seguirne il percorso: ottimo esempio di come devono essere le cartine e le relative segnalazioni sul campo! Il forte vento ha spazzato via tutta la nuvolaglia ed ora vi è un sole splendente con le nuvole bianche che si rincorrono e si ruzzano come delle caprette formandosi e disfacendosi in continuazione; il sentiero si stacca ora dalla Cisa e sale rapidamente a sinistra per una piccola mulattiera raggiungendo Castellonchio, giunge poi ai 990m del Monte Marino intersecando ancora la Cisa e seguendola per alcuni tratti. In località S.Gennesio vi è un altro bel punto panoramico sulle sottostanti vallate; si digrada poi lentamente dirigendosi verso Berceto che si scorge infossato in basso nella valle. Qui in un bel punto panoramico proprio sopra Berceto, vi è una Cappellina dedicata a S.Moderanno con una piccola area di sosta; il sentiero che dipartendosi da qui scende ripido verso la città, prende il nome di Ripa Santa; …forse in omaggio anche a chi deve risalirlo, non solo per la presenza della Cappellina…! Berceto è schiaffeggiata dal vento che la prende d’infilata in questa valle mentre mi dirigo verso il Duomo per incontrare Don Pino che mi attende; mi accompagna al Centro della Gioventù assegnandomi una bella cameretta e dopo le necessarie incombenze mi reco in città per un piccolo tour e per visitare il Duomo. In un locale di fianco alla canonica Don Pino sta attrezzando un piccolo palco con gli addobbi del presepe fotografandolo poi per ricavarne delle immagini sacre a soggetto Natalizio. Mi appone il timbro sulla Credenziale; poi mi reco ad un piccolo supermarket alle 17 (orario di apertura), a pochi metri dal Centro per le necessarie spese: sapone, dentifricio, fazzoletti, rasoi e le provviste per la cena di stasera e per la tappa di domani; nelle librerie e nei chioschi non trovo le cartine che mi necessitano per arrivare domani a Pontremoli scendendo dal valico della Cisa, per cui penso che seguirò la SS62 senza deviazioni fino alla città. Alle 19 giunge un ciclista di Genova, che sta facendo un tour seguendo più o meno la Francigena; proviene da Tortona ed ora pensa di arrivare a Roma seguendo la Via Aurelia preferendo il percorso lungo la costa, a quello piu aspro e caldo dell’entroterra Senese e dell’alto Lazio. Concludo la giornata con una cena monacale in cameretta composta da: pane, salame, frutta ed una birretta come unico strappo alla mia “regola” che prevedeva ¼ di vino rosso impossibile da comprare!

12-07-00: Mercoledì, Berceto – Pontremoli. 27 Km 6 h

Il mio sacco a pelo mi sta creando dei piccoli problemi, poiché quando mi ci infilo devo tenere i pantaloni e la maglietta altrimenti, se il tessuto è a contatto con la pelle, mi fa sudare e mi sveglio completamente bagnato; non è un problema di poco conto perché non sempre vi sono delle coperte a disposizione nei luoghi di accoglienza…Alle 6,20 prendo la via incamminandomi in una Berceto deserta e percorsa da un vento iroso e fresco dirigendomi verso il Seminario alla periferia in leggera salita; anche qui è possibile avere accoglienza se il Centro Giovanile fosse al completo. Mi dirigo verso la località il “Tugo” dove vi è un vecchio stabilimento di acque minerali ormai chiuso da tempo e nelle vicinanze di una piccola edicola votiva mi fermo per indossare il Kway. La salita si sta inasprendo ed il vento non più frenato dalle case impazza ora con delle folate gelide; non ho mangiato nulla e conoscendo il percorso prettamente escursionistico che mi attende cercherò di fermarmi in qualche angolo ben riparato per una parca colazione quanto prima. Risalgo verso Case Felegara ai piedi del Monte Cavallo sul sentiero CAI N°733 ben segnalato in modo impeccabile; dalla costa del monte si gode di una vista ampia e panoramica e mi inoltro nel bosco di faggete folte e alte che mi riparano dal vento con il sentiero che diventa ripidissimo e scavato come in una trincea; sfasciumi di roccia a volte lo ingombrano oppure diventa scivoloso quando è in terra battuta: mi piacerebbe proporlo per una gita del CAI questo percorso. Ho una titubanza ad un bivio dove il sentiero errato, comodo e largo, va a sinistra mentre quello giusto sale a destra per delle piccole roccette su cui il segnale di vernice rossa è quasi del tutto sbiadito; una deviazione segnalata in località Monte Formigara indica un Rifugio-Ostello per escursionisti o pellegrini scendendo per un Km e con un dislivello di 100m a destra verso la SS 62 della Cisa. La salita verso la cima non ha mai fine ed ogni volta raggiungendo delle piccole radure prative resto deluso venendo immediatamente sballottato dal vento e risucchiato poi da altro bosco e da altre salite: Alla fine però ecco l’ultimo pratone che mi porta alla cima del Monte Valoria a 1231 m, dove un cippo riporta incisa una corona e la scritta “Parma” segnando il confine fra la Toscana e la Emilia Romagna; una piccola e recente edicola votiva guarda la vallata dove si inerpica la vecchia Cisa mentre in basso si vedono i viadotti della A15. Scatto alcune foto che non renderanno giustizia al bellissimo panorama che mi si apre dinnanzi, mentre il sole gioca a nascondino con le nuvole che cercano di resistere disperatamente al vento che le porta a spasso; sono ancora grigie e cariche di pioggia però in lontananza vedo che si sta schiarendo mentre al riparo della piccola edicola faccio uno spuntino. Il sentiero CAI N°00 che prendo per discendere al valico è stretto ed esposto sul fianco della valle profonda; è in terra battuta e bagnato e con il vento che facendo forza sullo zaino mi fa ondeggiare devo porre parecchia attenzione al procedere poiché ho le suole delle pedule lisce e consumate. Scendendo scavalco delle staccionate al cui interno vi sono dei cavalli al pascolo e poi per un ampio sentiero arrivo al valico che è quasi deserto; scambio quattro chiacchiere con una persona lì presente la quale mi dice che stanotte qui ha grandinato e piovuto. Anche ora mi sembra che il tempo stia peggiorando ed al riparo nel piccolo porticato della Madonna della Guardia indosso i pantaloni lunghi prima che mi colga la pioggia. Vedendo questo luogo un tempo fiorente e operoso ed ora abbandonato, si comprende benissimo perché nei secoli scorsi alcune città poste nei luoghi di transito si facessero guerra al fine di incanalare verso di loro la direttrice dei ricchi traffici che mercanti e pellegrini procuravano; infatti la costruzione dell’autostrada A15 ha completamente isolato questo valico che è percorso ora solamente da qualche turista o da solitari gruppetti di ciclisti. Prendo la discesa seguendo la camionale non badando alle indicazioni scritte di Cinti poiché senza una dettagliata cartina non ho riferimenti precisi a cui attenermi; un signore a bordo di una macchina, gentilissimo ma caparbio, mi chiede più volte se desidero un passaggio; non si spiega perché io debba andare a piedi nonostante gli dica che sono un pellegrino i quali, come quasi tutti sanno, normalmente vanno a piedi. Entro a Pontremoli alle 12,30 con il sole che splende portandomi al Convento dei frati Cappuccini vicino alla stazione dove un tizio mi apre il portone accogliendomi e dicendomi di aspettare che i Padri terminino il pranzo; attendo in un angolo del chiostro al riparo dal vento per un’ora e quando sto per andarmene una persona in brache bianche e maglietta si precipita verso di me uscendo da una porticina. Si scusa per l’attesa spiegandomi che il tizio che mi ha aperto, essendo un pochino “suonato”, non lo ha avvisato. E’ Padre Franco, persona esplosiva e schietta che mi accompagna subito ad una piccola cameretta nel chiostro timbrandomi la credenziale e poi filando via come un treno; una doccia caldissima mi rimette in temperatura e più tardi esco per visitare la città scattando parecchie foto ai ponti che attraversano il Magra ed alla Piazza della Repubblica: In piazza vi è il Duomo con i bei portali bronzei dove 8 pannelli rappresentano i principali misteri della Madonna; è del XVII sec. e sorge su una prima costruzione del XIII sec. su un progetto dei Cavalieri di Malta, mentre la facciata è del XIV sec. All’interno della Chiesa di S.Francesco una pietra raffigura un labirinto, uno dei 5 presenti in Italia, il cui significato è ancora incerto. Anche qui nelle librerie cerco le cartine ma non trovandole sono costretto ad acquistarne una al 200.000 della Toscana; roba che va bene per i turisti in macchina e non per chi va a piedi. Telefono a S.Stefano di Magra dove il Parroco mi dice che non ha posto e mi indirizza a Sarzana 4 Km più avanti presso la Chiesa di S.Francesco vicino all’Ospedale Vecchio, oppure in via Braida all’ex Caserma di GdF dove vi è il Centro di Crescita Comunitaria dandomi i relativi numeri telefonici; un Parroco veramente simpatico e disponibile, L’accoglienza della Chiesa di S.Francesco mi informa che non può ospitarmi prima delle 18 per cui telefono al Centro di Crescita Comunitaria al sig. Tuffi che mi assicura una cameretta: però arrivare a Sarzana vuole dire camminare per 47 Km invece di 43! Alle 17 mentre faccio la spesa ed il turista per la città, scoppia il temporale obbligandomi a rientrare di corsa al Convento per cambiare i sandali ed i pantaloncini. Alle 20 vado a cena in un piccolo ristorante nascosto in una delle strette ed antiche viuzze proprio sotto il castello che domina la città dalla rocca. Domani dovrò camminare malvolentieri sulla SS62 fino a Sarzana con gli inevitabili problemi di traffico che ultimamente avevo perfino dimenticato.

13-07-00: Giovedì, Pontremoli – Sarzana. 47 Km 10 h

Ha piovuto leggermente questa notte ma nel convento ho riposato bene; solo qualche treno di passaggio mi ha svegliato con il suo rumore. Sono le 6 quando accosto, chiudendolo, il pesante portone incamminandomi sulla SS 62 verso la periferia entrando in un bar davanti alla stazione. E’ già affollato da portantini ed autisti della locale “Misericordia”: una associazione di pronto soccorso presente in ogni piccola città; prendo un caldo e buon cappuccino con delle paste, scambio quattro chiacchiere con loro e poi mi riporto sulla statale iniziando una tappa che sarà sempre su asfalto, con la strada che a volte diventerà anche troppo stretta. Non vi è storia fino a quando giungo al bel complesso della antica Pieve di Sorano di impronta Romanica; la tecnica della sua costruzione è riferibile ai Maestri Comacini con l’impiego di ciottoli e pietra di lavagna mentre la forma del campanile mi ricorda i campanili squadrati delle numerose pievi del lago di Como…Anche alcune vecchie case a cui passo accanto sono costruite con ciottoli e pietra di lavagna e sono tuttora di bell’aspetto ed abitate. Mi mantengo sempre sulla statale arrivando ad Aulla ponendo molta attenzione alle curve cieche della strada, e quando il traffico diviene più sostenuto ed a volte intollerabile, mi dico che è soltanto una tappa di trasferimento che mi avvicina di più a Roma. A Sarzana arrivo alle 16; è una bella città ed attraversandola nelle vie del centro mi trovo nel bel mezzo di un animato mercato pomeridiano che occupa tutte le vie e le piazzette. Mi dirigo velocemente in via Braida alla ex Caserma della GdF che si trova verso la periferia in una stradina appartata; al Centro di Crescita Comunitaria mi accolgono gentilmente informandomi che il pernottamento con la cena costa 40.000£, poi un giovanotto mi prende in consegna accompagnandomi alla mia cameretta mentre mi illustra tutte le attività che qui si svolgono. é una Comunità dove gli ex tossicodipendenti, ormai ristabiliti dalla malattia, hanno la possibilità di reinserirsi nella società civile e tutte le mansioni inerenti alla conduzione della Comunità sono svolte da loro: dal lavare i pavimenti fino al lavoro negli uffici della direzione. Dopo essermi sistemato nella cameretta esco in città per le compere girando per il mercato affollato, anche qui nelle numerose librerie non trovo cartine dettagliate per cui rientro essendo già le 19. Alle 20 si è tutti in sala da pranzo e ceno con il ragazzo dell’accoglienza; si chiacchiera un po’ di tutto, poi mi confida che ancora adesso non riesce a spiegarsi come ha fatto a finire nel tunnel della droga; aveva una bella famiglia e guadagnava bene: non si capacita di come sia stato semplice aver distrutto tutto. Ora va meglio, si è riaccostato alla sua famiglia ed il lavoro che lo occupa qui gli piace e si sta facendo una ragione per vivere una seconda vita. Mi indica poi una uscita di sicurezza per domattina perché qui alla sera chiudono tutto e fino alle 7,30 del mattino nessuno esce. Mi ritorna in mente la Comunità Emmaus a Bruay-le- Buissiere in Francia! Anche qui persone sfortunate cercano di reinserirsi in una società che li ha visti ai margini. Spero tanto che ciò che hanno vissuto serva sia a loro che ai tanti altri malati o no, che ancora non si rendono conto dei terribili problemi che qualsiasi tipo di droga e l’alcoolismo comportano quando se ne rimane vittime, più o meno inconsapevolmente.

14-07-00: Venerdì, Sarzana – Valdicastello Carducci. 38 Km 9 h

Oggi il mio primo pensiero va ad Alice, è il suo compleanno e mi dispiace non esserle vicino; ieri gli avevo fatto gli auguri e sapendo che oggi avrebbe sostenuto un esame in Università gli ho augurato un “in bocca al lupo”, sicuro che gli avrebbe fatto piacere. Alle 6 esco dal Centro di Crescita Comunitaria dirigendomi verso Molicciara incamminandomi sulla SS N1 dove il traffico è gia sostenuto con parecchi camion che trasportando blocchi di marmo, transitano coperti di polvere bianca. Non è polvere d’oro ma l’economia di questa parte della Versilia si reggeva fina a pochi decenni fa principalmente su questo duro e pericoloso lavoro, mentre ora vi è anche troppo turismo…Dopo pochi Km già penso che se avessi preso la litoranea vicino al mare sarebbe stato meglio che non camminare con tutti questi stabilimenti in cui si lavora il marmo a pochi metri dal mio cammino; mentre lontano alla mia sinistra le altissime Montagne Apuane con le cime frastagliate mostrano enormi e bianche ferite: sembrano ghiacciai a due passi dal Mar Ligure… Camminare qui mi richiede sempre la massima attenzione, grossi alberi sono ai bordi della strada e vi è poco spazio per aggirarli quando si incrociano i camion; la polvere bianca invade tutto e tutti mentre gli stabilimenti in cui si lavora il marmo si succedono gli uni agli altri. Al loro interno vedo delle grandi seghe alternative che lo fanno a fette ricavandone delle grandi e sottili lastre. In prossimità dell’abitato di Massa due persone mi fermano mentre esco da un bar dove ho preso una tardiva colazione chiedendomi se sono diretto a Roma e quale è stato il percorso da me seguito finora, la sorpresa è grande quando dico loro che provengo da Canterbury; a mia volta chiedo loro se sarebbe stato meglio per me seguire la litoranea dell’Aurelia, mi assicurano che camminare là sarebbe stato ancor peggio perché il traffico è molto più convulso. mi convinco che il mio scopo di propagandare il pellegrinaggio come fatto di fede è raggiunto facilmente provocando, con la mia presenza inequivocabile, la curiosità delle persone e camminando in queste periferie industriali, il mio aspetto con zaino e grosso bordone non lascia adito a dubbi circa il mio essere sulla strada. Anche il vicino fruttivendolo nel cui negozio entro per acquistare delle albicocche mi regala due grosse mele dicendo che io ho certamente bisogno di cibo, mentre lui ha certamente bisogno delle mie preghiere… Piccole gocce di solidarietà che allietano l’animo. Procedo verso Pietrasanta dove entro attraversando il centro animato da molti turisti, ed ammiro la bella piazza del Duomo invasa dal sole dove sono esposte delle grandi sculture di un artista contemporaneo. In una grande libreria trovo finalmente le cartine della Provincia di Lucca al 100.000 e quella della Provincia di Firenze al 150.000 ripromettendomi di tornare più tardi per un tour turistico nella città che non immaginavo cosi bella ed artistica. Ad una vigilessa che controlla un incrocio chiedo informazioni per arrivare a Valdicastello; mi dice che devo proseguire sempre diritto fino alla periferia dove è il cimitero e poi una strada a sinistra mi porterà in alto nella valle dove è Valdicastello Carducci a circa 4 Km da qui. Mi incammino sperando che non sia così lontana ma ben presto mi rendo conto che aveva ragione quando, arrivato al cimitero, un cartello mi dice che mancano ancora 3 Km e vedendo la strada, sono tutti in salita; ricomincia anche a piovere e devo indossare il Kway ed aprire l’ombrello. Passo davanti alla bella Pieve dei SS. Giovanni e Giuditta solitaria in un grande spiazzo e finalmente arrivo a Valdicastello luogo natale di Giosuè Carducci dove la sua casa natia è tenuta come Museo. Il Parroco Don Marco Marchetti arrivato da poco a bordo di un Ape Piaggio e mi accoglie gentilmente accompagnandomi in un saloncino dove la comunità parrocchiale ha il suo luogo di incontro, vi sono tavoli, sedie ed anche dei buoni materassi. Mi chiede sorpreso come mai sono venuto fin quassù, essendo Valdicastello fuori dal percorso dei pellegrinaggi, gli spiego così che il suo indirizzo è stato desunto dal libro di Corbellini… Mi informa che a Pietrasanta vi è una accoglienza presso un Seminario od un’altra istituzione di cui non si ricorda ora il nome… Oramai sono qui; tagliato fuori in questa valle rinunciando a qualsiasi velleità di ritornare a Pietrasanta, fra l’altro piove e cerco di sistemarmi al meglio mentre Don Marco gentilissimo, mi dice di chiamarlo se avessi bisogno di qualsiasi cosa. Alle 18,30 esco per comprare le provviste per la cena e per domani nel vicino negozietto recandomi poi al bar per un panino ed una birra. Alle 20 ritorna don Marco portandomi un monumentale piatto di pasta con arrosto, pomodori e del vino rosso; è una sua iniziativa a cui non ero preparato avendo io già cenato con del formaggio e salame. Mi dice di mangiare quello che riesco e di non preoccuparmi del resto; accetto con gratitudine cercando di far onore a tutto questo cibo che la Provvidenza mi manda per mezzo di questo Parroco gentile e caritatevole.

15-07-00: Sabato; Valdicastello Carducci – Lucca. 29 Km 7 h

Parto alle 6 scendendo piano dalla scaletta che mi porta sulla strada del paesino, lasciando la Chiesa della Parrocchia di Valdicastello il più silenziosamente possibile perché Don Marco ha due cagnolini che, al solo sentire scalpiccii di passi estranei fanno un baccano infernale abbaiando a più non posso: non è mia intenzione svegliare tutta Valdicastello per un solo pellegrino che parte… Il tempo è coperto e mi incammino bardato di tutto punto con l’ombrello a portata di mano scendendo verso la statale che raggiungo dopo una oretta, poi il cielo che si va schiarendo mi convince ad abbandonare il Kway ed a mettermi in pantaloncini quando arrivo all’incrocio dove è il cimitero. Vi sono poche vetture ora ed in poco tempo arrivo a Capezzano Pianore dove prendo a sinistra la strada che mi porta a Camaiore; sono le 8,30 ed il sole preme per uscire prepotentemente dalle nubi mentre il traffico prefestivo aumenta anche su questa strada; sono per lo più vetture che si dirigono al mare con a bordo famigliole e ragazzini ed i rari camion non disturbano più di tanto il cammino. Vi sono degli alberi che la ombreggiano rendendo ancor più piacevole la marcia con la temperatura che si mantiene fresca. Proseguo in salita fino a Camaiore prendendo poi la direzione di Montemagno mentre il paesaggio alle pendici delle montagne si allarga sempre più permettendomi di vedere le aspre cime dei Monti Apuani con le loro profonde e dirupate gole. Cammino ora sempre in costante salita verso Valpromaro quando prima era faticoso saliscendi; è sabato e come dalle mie parti, anche qui pattuglie di ciclisti più o meno numerosi e più o meno sbuffanti, affrontano queste strade e tornanti di collina le cui pendici sono ricoperte da uliveti, mentre alti cipressi in alto ai crinali nascondono ville e palazzi. Appena fuori dall’abitato di Valpromaro prendo la direzione di Piazzano salendo ancora per una bella strada in mezzo ai boschi; per quanto mi sforzi di guardare non trovo traccia dei sentieri sterrati di cui Cinti scrive nella guida, noto però a destra di un tornante un segnale della Via Francigena divelto ed un cippo rovesciato per terra con il segnale del CAI; sono posti all’inizio di un sentiero che si inoltra in leggera salita fra ortiche e bassi alberelli, è anche ingombro di rovi e di erbacce per cui preferisco continuare sull’asfalto che sale sempre a tornanti verso la sommità. Molto più avanti ed in alto vedo ciò che sembra l’uscita di un sentiero sbucare dalla valle a destra della strada, anche questo è pieno di erba alta ma essendo privo di segnaletica di qualsiasi genere non so se è il medesimo visto più in basso. Per ripidi tornanti scendo poi verso la località S.Macario in Piano; tracce di sentieri sterrati di cui parlano Corbellini o Cinti non ne vedo così come di segnaletica. In località S Angelo passo su di un ponte il fiume, poi attraversando per S.Anna e Nave entro in Lucca camminando in una periferia lunghissima verso il centro città, incontrando un movimento sostenuto di turisti; vi è anche un grande mercato che occupa le vie e le piazze con bancarelle che offrono ogni sorta di merce. Mi dirigo verso il Duomo con il sole che rende abbacinante la sua stupenda e decoratissima facciata, all’interno, le rosse colonne mi colpiscono per la loro unicità. Chiedo ad una addetta la direzione per la Casa del Clero, la quale mi indirizza verso una strada che si diparte verso destra in direzione del Duomo di San Frediano. Qualche difficoltà di direzione, poi in un bel portone ecco la Casa del Clero dove mi accolgono con grande cordialità assegnandomi una cameretta degna di un V.I.P .(con cena e colazione 45.000). Esco poi a fare il turista perdendomi piacevolmente tra i molti turisti e nei meandri del mercato recandomi a vedere, dapprima la bellissima Chiesa di San Michele in Foro e successivamente lo splendido ed appartato Duomo di San Frediano con la sua bellissima facciata a mosaico ed il campanile svettante al suo fianco, poi la caratteristica Torre alberata detta del “Guinigi”. Rientrando nella normalità delle cose “pellegrinesche”, telefono alla APT di Fucecchio per avere indirizzi sulle accoglienze della cittadina fornendomi così i numeri telefonici di Ponte a Cappiano sul Canale Usciana, dove vi è un nuovo Ostello. La ragazza di nome Barbara che mi risponde a Ponte a Cappiano mi dice di presentarmi fra le 13,30 e le 14, lei stessa verrà ad aprirmi, altrimenti l’apertura è alle 17. Alla Casa del Clero dove rientro alle 19,30 ceno in una piccola saletta appartata (nella saletta da pranzo cenano i sacerdoti quì ospitati), ed alle 21 mentre sto coricandomi si scatena un grosso temporale con grandine ed acqua a catinelle che copre con un velo di candide palline di ghiaccio i tetti sottostanti alla mia cameretta in questa bella Lucca, invasa dal sole questo pomeriggio, ed ora coperta da un drappo di nuvole nereggianti e rumorose.

16-07-00: Domenica, Lucca – Ponte a Cappiano. 26 Km 6,30 h

Uscendo da Lucca alle 6 mi incammino per via Roma, il tempo è ottimo e la temperatura ideale per camminare; il temporale di ieri ha spazzato via l’afa ed ora le ragnatele sospese sulle siepi sono adornate da piccole ed argentee goccioline di rugiada che brillano ai primi raggi del sole. E’ domenica ma vi è sulla sinistra della strada un sorprendente e mattiniero bar aperto per cui ne approfitto per fare colazione insieme ad un drappello di maturi ciclisti che discutono sul percorso che li attende in una simpatica parlata con forti inflessioni toscane. In poco tempo giungo a Capannori e prendo la direzione di Porcari; non vi è una netta delimitazione fra i due paesi avendo sempre della case o villettine ai lati della strada, per cui non capisco quando sono al termine di uno ed all’inizio dell’altro. Mi incammino ora su un bel viale alberato ed in leggera salita con interi battaglioni di ciclisti vocianti che si danno la voce incrociandosi con motti e lazzi approfittando allegramente di questa bella giornata domenicale libera dal traffico feriale. passando per i piccoli paesini di Turchetto e Fabbri arrivo ad Altopascio e da viale Europa entro nella cittadina per la Porta Pesciantina o Porta del Molino che mi immette in Piazza Ricasoli; non è mia intenzione fare tappa qui ma vorrei apporre il timbro degli Ospitalieri del Tau sulla credenziale, entro in Piazza Ospitalieri passando accanto al “Pellegrinaio” (l’ospitale dove secoli fa venivano ospitati i pellegrini poveri), con l’insegna in piastrella di terracotta in alto, sulla scaletta vicino alla porta. E’ mattino e non vi è nessuno degli ospitalieri, ma una signora mi pone delle domande chiedendomi se sono un pellegrino e da dove arrivo; le si illumina il volto quando le dico che provengo dall’Inghilterra e da Canterbury precisamente, lei è inglese e si chiama Jannina Veit Teuten ed è una pittrice. Da tre anni percorre la Via Francigena in lungo ed in largo assieme ad una scultrice dipingendone i luoghi più belli dall’Inghilterra a Roma; oggi ci sarà l’inaugurazione della sua mostra di dipinti ad acquerello qui ad Altopascio nella Sala dei Granai. Riconosco nei suoi quadri molti posti nei quali sono transitato o fatto tappa in Francia ed in Italia e mi trattengo a parlarne con lei per un’ora. Mi porta poi in biblioteca per appormi il timbro della stessa, dato che non si trova quello ufficiale dell’Hospital. Scatto delle foto alla piazza ed a una pietra che riporta la croce del Tau in fianco al campanile in alto al quale vi è la Campana detta “la Smarrita “; ci salutiamo mentre mi accompagna verso Porta Fiorentina attraverso la quale i Romei uscivano per proseguire il cammino verso Roma passando davanti alla bella chiesa di S.Rocco e dirigendomi verso Ponte a Cappiano. Un cartello che illustra un antico tratto della Via Francigena, a destra della strada mi fa proseguire su un tratto di acciottolato recuperato ed in buono stato di circa un Km di lunghezza, che termina in leggera salita ed in trincea nel paese di Galleno. Più avanti ancora un altro pannello che dice “Benvenuti sulla Via Francigena” mi indica ancora a destra un altro percorso verso i boschi in località “Le Vedute”. Una persona mi dice di tenere la sinistra perché è facile smarrirlo; sono due sentieri, uno a sinistra porta ad una villetta e l’altro prosegue verso i boschi poco lontani. La medesima persona mi si riavvicina dicendomi che il sentiero giusto è una traccia ancor più labile, a sinistra fra l’erba; il segnale è infrattato tra le piante e che forse è meglio fare la strada asfaltata perché più avanti vi sono altri sentieri che lo intersecano e se i segnali sono nascosti… Faccio buon viso a cattivo giuoco e mi incammino sull’asfalto raggiungendo Ponte a Cappiano alle 12,30; è un po’ presto ed aspetto che arrivi Barbara alle 13,30 seduto sul parapetto del canale Usciana. Seduto sul parapetto scatto alcune foto al ponte ed al paesaggio che da qui si gode fino alle prime propaggini dei Monti Albani. Alle 13,30 Barbara è puntuale ed entro in un Ostello nuovissimo e ben ristrutturato con molti posti-letto con la possibilità di accedervi anche per gli handicappati; mi sistemo in una cameretta proprio sopra la sede stradale e nel balconcino che le è accanto ho modo di tirare una funicella per stendere il bucato ad asciugare. Barbara mi chiede dei sentieri della Via Francigena a Le Vedute ed alle mie risposte mi dice che effettivamente vi sono dei campanilismi fra i vari paesini ed anche rivalità fra gli organismi che sovraintendono alla definizione ed alla segnaletica, per cui ancor oggi non si riesce a venirne a capo. Mi fornisce poi i numeri telefonici di Don Evaristo Masini a Gambassi Terme al quale telefono subito ricevendo l’assenso alla mia accoglienza per domani. Telefono anche a Monteriggioni per martedì ma non risponde nessuno al numero di Don Gianfranco Poddighe per cui penso di riprovare domani lungo il cammino. Noto parecchi extracomunitari anche in questo piccolo paesino che fanno gruppo a parte vicino al bar, aspettano pazientemente che si liberi l’unica cabina telefonica per poi fare delle lunghissime telefonate, probabilmente alle loro famiglie al luogo d’origine. Verso sera riprovo ancora a telefonare a Monteriggioni ma non vi è risposta alcuna per cui mi dirigo ad una pizzeria a 800m da qui in direzione di Fucecchio per la cena pensando che se avessi fatto tappa più avanti, a S.Miniato, forse sarebbe stato meglio ed avrei visto qualche chiesa o monumento in più…

17-07-00: Lunedì, Ponte a Cappiano – Gambassi Terme. 34 Km 9 h

Anche se cammino molto durante il giorno e alle volte sia stanco, il mio sonno normalmente leggero è divenuto, durante questo viaggio, leggerissimo e di poco spessore. E’ fatto solamente di poche ore di sonno, 4 o 5, poi il dormiveglia che mi consente però di riposare e di ripensare agli avvenimenti succeduti ed a quelli che avrò ancora davanti. Nel silenzio di queste albe di dormiveglia molti interrogativi salgono dalle profondità della mente libera da altre cose; interrogativi e certezze si confrontano, generando altre certezze ed interrogativi che svaniscono subito dopo essere state pensati. A volte mi sembra di essere seduto comodamente sopra un albero tra le fronde, non visibile, e vedere la mia mente seduta sotto che si confronta con un’altra se stessa su una infinità di argomenti che mi lasciano sgomento ed interdetto dato che nessuna delle due riesce a prevalere con raziocinio nel convincere l’altra sulla bontà delle sue argomentazioni: forse i sogni non sono altro che un risalire a galla del magma di contenuti mentali che ognuno di noi tiene bene serrato ed in ordine durante la veglia vigile del giorno, mentre durante il sonno, è come se tutta la psiche potesse parlare, vedere ed ascoltare migliaia di cose contemporaneamente apparentemente senza costrutto alcuno. Nessuna delle due alza la voce o ha fretta di esporre all’altra una tal mole di fantasticherie o, a volte, veri avvenimenti successe giorni o settimane prima. Sono come spiriti liberi che, finalmente liberati dalle incombenze materiali, discernono, e sempre per loro libera scelta, coesisteranno poi in me guidandomi a mia insaputa quando “scenderò” dall’albero sul far del giorno… Quiete notti di sonno o di dormiveglia che durante questo pellegrinaggio solitario mi accompagnano… Anche oggi parto alle 6 uscendo dall’Ostello che mi ha visto unico ospite dirigendomi verso Fucecchio lontana 4 Km; un cane randagio che dormiva come un clochard nella postazione Bancomat di una Banca, mi lascia proseguire per 100m per poi rincorrermi latrando a perdifiato assieme ad un altro botolo risvegliando tutta la periferia di Ponte a Cappiano; solo quando si trova a tiro del grosso bastone capisce che non mi è simpatico e se la dà a gambe. Questa storia di cani che abbaiano inopinatamente schizzando anche fuori dai cancelli è una delle cose che maggiormente mi infastidiscono in questo pellegrinaggio, ma tant’è, una volta non vi erano solo i cani che saltavano fuori… Alle 7 arrivo a Fucecchio e in una piccola drogheria compro le provviste per oggi; non salgo nella cittadina ma mi dirigo verso S.Miniato Basso. Un campo di girasoli con all’orizzonte la luna mi ruba una foto mentre cammino verso S.Miniato Alto risalendo la strada per circa 200m. Il tempo è bello e non vi è una nuvola in cielo, solo alle mie spalle delle nuvole verso i Monti Albani si alzano sopra le cime ma so che sono foriere di bel tempo. Anche qui evito di salire in S.Miniato Alto prendendo a destra per Corazzano e Casastrada; curiosamente, Corazzano non è segnalato nella mia cartina ma vi sono i cartelli stradali che lo indicano, mentre Casastrada che è segnato sulla cartina non ha alcun cartello segnaletico che lo riporta: è un bel rebus per mantenere la giusta direzione. Comunque procedo in discesa in direzione di Mariale, altra località non indicata dalla mia cartina e finalmente giungo al bivio per Corazzano; si è sempre in continuo salire e discendere, dirigersi ora a destra, ora a sinistra trovandomi all’interno un paesaggio la cui bellezza non riesco ancora a cogliere appieno. Un segnale mi indica la direzione di Coiano ma preferisco non discostarmi dalla mia traccia di tappa; il paesaggio che mi circonda si fa ancor più secco e desertico con le pendici delle colline che sembrano riarse dalla calura, e la terra è di un colore simile alla cenere. Grossi trattori cingolati arano con artistici ghirigori i fianchi di queste colline squarciando le zolle che risaltano scure di umore vitale, contribuendo a formare degli accostamenti di colori di terreno chiaroscuro veramente stupendo come fosse l’opera di un pittore; l’occhio fotografa queste “Crete“ con piacere. Vedendo in cima alla collina il classico casolare con l’immancabile fuga di cipressi accanto e questi chiaroscuri di terra curvilinei ed artistici, rimpiango ancor più di non avere un apparecchio fotografico che possa rendere giustizia a questo bellissimo quadro d’Autore.

Arrivo a Castelfiorentino dove vi è una nuova strada che mi permette di evitare di passare per la cittadina e di risparmiare almeno un Km (cosi dice un tale al quale avevo chiesto informazioni); la prendo in quanto si tratta di una circonvallazione e proseguo aprendo l’ombrello per ripararmi dal sole che è cocente. La strada è in salita per arrivare fino a Pillo; poche case attorno alla strada, poi riprende a salire in modo più marcato fino a giungere in località Pieve a Chianni, alla bella Pieve di S.Maria Assunta di impronta Romanica. Un intenso profumo di pini la circonda e vi sosto qualche minuto per delle doverose foto. Proseguo per Gambassi Terme a un Km di distanza ed alle 15 sono davanti alla bella chiesa all’entrata del paese; è in fase di restauro e delle antiestetiche reti di plastica rossa disturbano la sua bella ed austera facciata. Don Evaristo non c’è e nell’attesa ammiro a volo d’angelo il bellissimo panorama che da qui si gode su tutta la vallata che ho poc’anzi percorso ripagandomi così dalla fatica fatta per giungervi. Dopo circa 30 minuti arriva Don Evaristo e mi accompagna nei locali dove i giovani fanno catechismo; vi sono dei materassi nello scantinato vicino ad una vecchia caldaia e ne porto uno su in alto nel salotto attraverso una stretta scaletta. Verso le 17 esco per la cittadina e per telefonare ancora a Monteriggioni, ma anche questa volta il telefono di Don Gianfranco è muto. Prima di recarmi al ristorante per la cena ho definito tutte le tappe del percorso che ancora mi rimane da compiere per arrivare a Roma, e se la Provvidenza mi assiste credo che vi giungerò il giorno 27 ed il giorno 29 arriverò a casa dopo un giorno di pellegrinaggio nelle maggiori Basiliche Giubilari di Roma.

18-07-00: Martedì, Gambassi Terme – Siena. 46 Km 10 h

Lascio il tranquillo rifugio di Gambassi Terme alle 6 prendendo la strada che porta a Certaldo proprio di fronte alla Chiesa; i segnavia biancorossi del CAI ed i pannelli della Via Fancigena sono in bella evidenza invitandomi a seguirli fiducioso indirizzandomi più in basso, in corrispondenza di un tornante in una bella sterrata che a destra, si inoltra in discesa sotto una volta di fronde ombrose. L’occhio rosseggiante del sole fa capolino alzandosi appena sopra le prime colline all’orizzonte, mentre mi abbasso nel fondo della valle lasciando il colle di Gambassi Terme alla mia destra illuminato dalla luce dorata che fa risaltare ancora di più il colore ocra delle pietre con cui sono costruite le sue case. Il sentiero diventa erboso e mi porta dinanzi ad un piccolo corso d’acqua che un nuovissimo ponte in legno supera con grazia; il fatto strano è che il ponte è transennato e non vi sono segnali mentre il sentiero prosegue decisamente verso destra. Decido di affidarmi alla bussola e scavalco la transenna proseguendo in leggera salita, ritrovando più avanti fuori vista, il segnavia che mi riporta sull’asfalto. Poi in corrispondenza di una casa colonica il sentiero si infossa a destra nella valle scendendo ripido fra erbacce e pietrame nel terreno eroso da corsi di acque meteoriche; si addentra fra rade siepi di bassi alberi divenendo una traccia labile che risale a sinistra la pendenza. Ritrovo anche qui il segnale che è stato posto fuori vista come se chi li ha posti non sia pratico di segnalazioni sentieristiche, per cui i segnali li ha messi come gli è sembrato più opportuno, anche se non visibili a colui che avrebbe dovuto poi inoltrarsi sul sentiero. I segnali vanno messi in vista e sul sentiero giusto, senza che il pellegrino debba tirare a sorte per indovinarli perdendo tempo e sudore.

A parte questo la tappa è piacevole svolgendosi lontano dall’asfalto che troppo frequentemente mortifica questa Via Francigena; dopo l’abitato di Pancole il sentiero termina e con una larga carrareccia mi conduce di nuovo sull’asfalto in cima alla collina. Ho modo di ammirare il colle su cui sorge S.Gimignano e tutto il paesaggio attorno fatto di colline, valloncelli e casali con gli immancabili filari di verdi cipressi sul filo di cresta; strisce di paglia ben ordinata o grossi rotoli della stessa, apparentemente abbandonati sulle pendici delle colline, compongono un quadro pastorale fantastico per il colpo d’occhio. Comprendo l’amore che hanno i Senesi per le loro “Crete”; sono una splendida tavolozza di colori ocra, cangianti dal marrone scuro al color cenere con l’unica variante dei verdi cipressi, radi pini marittimi o estensioni di vigneti adagiati come drappi dalle pieghe ordinate sul fianco dei colli. Dopo essere arrivato a Bibbiano proseguo verso Le Grazie notando una strada che divalla velocemente a sinistra, non vi è nessuno nelle vicinanze a cui chiedere informazioni per cui proseguo fino ad incontrare le segnalazioni stradali incrociandola poi più in basso. A Le Grazie mi fermo ad un grande incrocio per telefonare ancora una volta a Monteriggioni ma senza esito. Alla Pro Loco chiedo di S.Antonio al Bosco ma quando riesco ad avere la comunicazione mi dicono che hanno tutti gli ambienti destinati ai pellegrini in fase di ristrutturazione e che non è possibile darmi alloggio. Riparto per Colle di Val d’Elsa trovando dei problemi di direzione durante il suo attraversamento, poi risolti al meglio. Proseguendo verso Monteriggioni, il sole che sta splendendo già da parecchie ore mi convince ad aprire l’ombrello per ripararmi, arrivando a Monteriggioni in salita quando sono le 12,30. Mi reco negli uffici del Comune per avere delle informazioni, loro però non possono essermi di aiuto ma mi informano che Don Gianfranco Poddighe è stato trasferito a Buonconvento; vado anche al Comando dei Vigili Urbani lì vicino ma anche loro non mi possono aiutare. Resto sgomento dal fatto che avendo trasferito Don Gianfranco, la struttura di accoglienza della sua Parrocchia non esista più e che il Comune non abbia provveduto ad una minima alternativa. Decido di proseguire fino a Siena che dista 15 Km da qui e telefono a Don Floriano alla Magione Templare di Porta Camollia per l’accoglienza, ma egli si lamenta perché non riesce a capacitarsi di come la sua Parrocchia sia inserita nell’elenco di quelle che danno ospitalità, mi dice che non ha proprio posto e di rammentarlo alla mia Confraternita. telefono allora al Convento di S.Francesco che mi assicura una cameretta e poi a Monteroni d’Arbia per l’accoglienza di domani dove mi dicono che non hanno la possibilità di ospitarmi. Opto per Ponte d’Arbia al Centro Crespi telefonando alla signora Patrizia Lotti che mi assicura che vi è posto; lei si scusa perché non potrà essere presente dicendomi che lascerà la chiave del Centro sotto lo zerbino… Finalmente mi posso incamminare verso Siena passando sotto alle belle mura di Monteriggioni mentre un notevole flusso di turisti in pullman o in macchina affollano i parcheggi. Per assicurarmi ospitalità in questa tappa avrò speso almeno 20.000£ di carte telefoniche e circa tre ore di tempo in tutti questi giorni! Cammino sulla Cassia che per ora è larga ed a volte anche in ombra sempre in leggera salita; giunto a pochi Km da Siena vengo raggiunto da alcuni pellegrini di Brescia che stanno compiendo un pellegrinaggio fino a Roma. Mi dicono che hanno un pullmino di appoggio su cui caricano tutti gli zaini ed hanno anche tutto l’occorrente per farsi da mangiare;fornelli, pentole ecc, ecc, ed anche le brandine per dormire. Nelle Parrocchie dove decidono di fermarsi chiedono solo un tetto dove mettere le brande; sono anche ben vestiti perché indossano magliette bianche immacolate e pantaloncini ben stirati… Anche entrare in Siena e raggiungere Porta Camollia è una bella scarpinata; un signore gentile percorre un tratto di strada con me dato che abita vicino al Convento di S.Francesco e mi accompagna fin quasi al cancello dove sono atteso. Mi conducono subito ad una bella cameretta; sono le 16 passate da parecchio e dopo una gratificante doccia esco per ammirare questa bella città scoprendo che a pochi isolati vi è Piazza del Campo dalla caratteristica forma a conchiglia. Il Palazzo della Signoria e la stupenda ed aggraziata Torre del Mangia sono inondate dal sole ed un poco più lontano vi è il bellissimo Duomo riuscendo a scattare loro qualche foto intanto che il sole tramonta in una luce calda e dorata. Rientro per farmi apporre il timbro sulla credenziale dal Padre Superiore prima che chiuda la Sacristia e poi mi dirigo ad un ristorante per una buona cena rientrando quando ormai è buio. La notte mi è difficile prendere sonno in quanto in una piazza qui vicino, un concerto di musica che si protrae fino alle 02 mi impedisce di chiudere occhio. Questo è lo scotto che a volte si paga quando si viene ad alloggiare in queste belle ma affollatissime città d’arte.

19-07-00: Mercoledì, Siena – Ponte d’Arbia. 21 Km 4,30 h

All’accoglienza ieri mi avevano detto che l’orario per la colazione era indifferibile e non prima delle 7,30; invece stamattina l’incaricato in cucina mi dice che potevo avvertirlo per anticipare l’orario. Beh, comunque oggi ho in programma una tappa corta, solo 21 Km fino a Ponte d’Arbia, quindi anche partire più tardi non mi creerà dei problemi. Alle 8,30 esco dal Convento mischiandomi al già nutrito flusso di turisti che in pantaloni corti e sandali si affrettano verso le loro mete Senesi in una babele di lingue ed abbigliamenti che a volte, essendo sbracati, offendono il buon gusto. Mi incammino verso la Porta Romana prendendo la Cassia che in discesa mi allontana dalla città, mi sento poco tonico; forse la lunga e snervante tappa di ieri e poi la musica ad uso dei turisti nottambuli di questa notte che non mi ha permesso di prendere sonno ne sono la causa. Non mi preoccupo più di tanto per questo dato che il tempo oggi mi sarà ancora amico con il sole che è già alto e caldo ed una lieve brezza mi rinfresca mentre fa ondeggiare le cime degli alberi. Raggiungo ben presto Isola d’Arbia e poi Ponte a Tressa; il paesaggio circostante mi avvolge nella unicità della sua magnificenza, non è paragonabile a nessun altro panorama che mi sia capitato di ammirare durante i miei pellegrinaggi per la continuità di ambientazioni e di accostamenti cromatici: è stupefacente pensare che non è opera di una sola mano ma frutto dell’opera dell’uomo su un ambiente di per sé stesso gia disposto all’armonia. Arrivando a Monteroni d’Arbia trovo che la città a dispetto di ciò che indica la cartina, è estesa e gradevole; continuando a percorrere la Cassia giungo a Ponte d’Arbia alle13 trovando un negozio aperto dove poter acquistare le provviste per il pranzo e per la tappa di domani. Mi domandano se sono un pellegrino e se mi fermo qui al Centro; al mio assenso ne sono contenti e mi informano che numerosi e folti gruppi di pellegrini hanno fatto tappa qui, indirizzandomi poi al Centro che si trova subito dopo aver passato il ponte, sulla sinistra. Trovo la chiave sotto lo zerbino ed entro in un Ostello che si dimostra grande ed accogliente; al piano terra vi sono oltre ai servizi, una grande cucina ed un ampio salone con tavoli, panche e parecchi materassi appoggiati in bell’ordine alla parete. Al piano superiore vi sono altre stanze con molti letti a castello coperti da grandi fogli di plastica per ripararli dalla polvere; sinonimo questo di regolare cura degli ambienti. Dopo una buona doccia ed aver steso all’esterno il bucato, mi cucino un minestrone ben caldo con formaggio grana e frutta come pranzo ed al termine avvicino tre panche alla parete poggiandovi sopra un buon materasso per una doveroso riposo che mi rimetterà in forma. Alle 17 vengo svegliato dall’ingresso di due signore facenti parte della Comunità che portano qui un altro materasso; mi domandano come va il mio pellegrinaggio e come è stata l’accoglienza in Francia. Parliamo per un’ora circa di questo Centro e della Comunità che lo gestisce; esco poi per fare delle foto e per visitare il paesino. Nell’Ostello vi sono due registri, uno è per le dediche al Centro mentre l’altro è per un signore che chiede gentilmente di lasciare degli scritti e delle considerazioni sulla Francigena e sui pellegrinaggi in generale per delle sue ricerche. Vi è anche la possibilità di usare il telefono che è dotato di un contascatti, molto comodo per chi non è provvisto di un cellulare. Alle 19 mi reco nella trattoria posta di fronte all’Ostello per la cena che si dimostra ottima servita dallo stesso proprietario, estroverso tipo di toscanaccio con la classica parlata strascicata simpatica e divertente. Al rientro all’Ostello telefono alla signora Buricchi a Radicofani riuscendo ad averla all’apparecchio dopo che al pomeriggio non ero riuscito per lungo tempo a contattarla; mi assicura della disponibilità di alloggio dicendomi che attendeva già da ieri un pellegrino che aveva chiesto ospitalità nei giorni scorsi e se per caso si trova con me. Spero anch’io di trovare un pellegrino almeno per scambiarci opinioni sul cammino e, se le tappe coincidono, camminare insieme, E’ già buio alle 22 quando mi stendo sul mio giaciglio dicendomi che forse una rete sotto il materasso era meglio… ma forse le ossa dello scheletro cosi riposano più ergonomicamente… forse potrei usare due materassi… Capisco che il sonno mi sta ghermendo dato che non connetto bene, e mi abbandono fra le braccia di Morfeo per un meritato e liberatorio sonno.

20-07-00: Giovedì, Ponte d’Arbia – S.Quirico d’Orcia. 21 Km 5,30 h

Sono stato cullato tutta la notte dal canto di un uccellino che cinguettava sui rami degli alberi all’esterno della finestrella dei servizi; forse era un piccolo caduto dal nido, però non riuscivo a decidermi di alzarmi per farlo sloggiare; ero troppo assonnato per cui ho sopportato il suo cinguettio anche se poco gradito. La tappa di oggi è corta ed anche se ho dormito poco non me ne faccio un cruccio dato che sono soltanto 21 Km per giungere a S.Quirico d’Orcia. E’ una cittadina che mi ha sempre attirato anche se non l’avevo mai vista prima d’ora e poi naturalmente vorrei trattenermi in questi paesaggi senesi il più possibile compatibilmente con il cammino. Nella grande e ben attrezzata cucina mi preparo la colazione con del gradito latte caldo, brioches ed un pezzo di cioccolato con delle fette di pane toscano; poi riordino e lascio il Centro alle 7,30 lasciando un donativo per l’ospitalità ed i servizi, incamminandomi sulla N2, la Cassia. Il tempo è bello non vi sono nuvole e ne sono lieto; quest’oggi attraverserò le tanto rinomate “Crete Senesi”; colline di natura argillosa caratterizzate da un aspetto incolto e desolato. Assomigliano a piccole cupole che si elevano a poche decine di metri d’altezza sparse per tutto il territorio che risulta brullo ed arido nella stagione estiva, formando un paesaggio che non ha uguali al mondo per la delicatezza dei suoi accostamenti cromatici. Buonconvento è subito raggiunto, avrebbe potuto essere anche lui un ottimo posto tappa, ma Ponte d’Arbia è menzionato come XIV tappa da Sigerico e mi è sembrato giusto sostarvi. Mentre cammino sulla Cassia ammiro la sua possente e alta cinta di mura di mattoni che ne hanno fatto nel Medioevo un borgo murato fin dal XIII secolo; ora la Cassia le passa accanto dividendo la parte più moderna dal bellissimo borgo racchiuso ancora nella cinta di mura. Proseguendo verso Torrenieri vedo in alto a destra la collina su cui sorge Montalcino lontano e fuori portata dal percorso di oggi, così come è fuori portata di tasca (per il pellegrino) il suo rinomato e prezioso vino. Mi avvicino alla deviazione che mi porta alla cittadina di Torrenieri e risalendo lentamente, il paesaggio che attendevo di ammirare si apre come un ventaglio mano a mano che salgo: credo che non sarà mai possibile abituarsi a questi scorci stupendi. E’ come guardare i dipinti di Monet o di Constable; non si finisce mai di ammirare la loro bellezza ed i loro accostamenti cromatici che qui però sono vivi e cambiano di ora in ora se non di minuto in minuto, con lo scivolare sulle colline delle ombre che le nuvole, oscurando i raggi del sole, provocano. È quasi mezzogiorno con il sole che mi rosola implacabile mentre scatto qualche foto sperando che rendano al meglio il panorama che vedo. entro poi in Torrenieri la cui pavimentazione stradale è ancora, sorprendentemente, di mattonelle. Ne esco salendo sempre e più avanti, lasciando Bellaria a sinistra, discendo in direzione di S.Quirico. Vi entro dalla Porta Senese camminando su una strada in salita i cui parapetti in mattoni portano scritte a vernice inneggianti :Viva Ferrari!, Forza Osca!, Viva Maserati!. In alto vedo l’inconfondibile Portale della Collegiata il cui piazzale è gremito da un centinaio di ragazzi con zaini e bordoni. la loro guida alzando la voce sopra il vocìo ed indicandomi dice loro: ”Guardate questa persona, lui sì è un vero pellegrino!”; è Don Claudio che mi sorride e mi dice di entrare un attimo nella canonica di fianco alla Collegiata, mi domanda come va e se posso aspettare una mezz’oretta per mettere il timbro sulla credenziale che gli sto porgendo. Mi presta il suo cellulare per telefonare alla signora Maramai e scappa via dovendo portare sul sentiero giusto tutti questi ragazzi che stanno andando in pellegrinaggio alla Abbazia di S.Antimo, una bella Chiesa Romanica originaria del VIII secolo a circa 12 Km da qui. Dopo aver avvisato del mio arrivo la signora Maramai, responsabile dell’accoglienza qui a S.Quirico, faccio delle foto alla Collegiata Romanica del XII secolo il cui bel Portale centrale è adornato da colonne scolpite. Due leonesse un poco erose sorreggono due colonne curiosamente attorcigliate; il Portale di destra invece è più ricco di sculture ed i due leoni sorreggono due figure di angeli, due bifore ai fianchi del Portale ingentiliscono e danno grazia alla costruzione. Prima che ritorni Don Claudio giunge la signora Maramai e pensando di ritornare più qui tardi mi avvio con lei verso l’Ostello, situato in un bel palazzo attiguo all’imponente Palazzo dei Chigi. E’ tutto nuovo e ben arredato; vi sono parecchi letti a castello ed i servizi sono quanto di meglio possa desiderare un pellegrino. Mi accomodo in una stanzetta con la vista su un cortiletto adornato da un bel pozzo ed avendo qui un piccolo balconcino ho la possibilità di lavare e far asciugare il bucato. Mi stendo poi sul lettino per una bella siesta venendo svegliato alle 16,30 dai lampi e tuoni di un bel temporale che rinfresca l’atmosfera: fortuna che ho un tetto sopra la testa perché se ero sul cammino a quest’ora non vi era nulla che avrebbe potuto ripararmi. Alle 18 assisto alla S.Messa al cui termine mi viene apposto il timbro sulla credenziale; poi vado a cena al ristorante “Le Contrade” consigliatomi dalla signora Maramai, mi costa poco e vi si mangia bene spendendo 30.000£. Rientro poi alle 21 per rassettare lo zaino e per scrivere il diario prima che il sonno mi sorprenda.

21-07-00: Venerdì, S.Quirico d’Orcia – Radicofani. 26 Km 7 h

Il gagliardo bip-bip dell’orologio mi trova già sveglio alle 5,30 mentre dal balconcino della cameretta guardo il sorgere dell’alba dai tenui colori rosati che illuminano il fazzoletto di cielo racchiuso fra i tetti di questo palazzo. Alle 6 sono sulla strada che attraversando il borgo mi conduce alla Porta Romana; il bar di fronte all’Ostello, contrariamente alle informazioni avute, non ha ancora aperto mentre un forte profumo di pane appena sfornato si espande disperdendosi per la via. Il nastro della Cassia mi accoglie subito mentre nei valloncelli la nebbia mattutina tarda ad alzarsi ed all’orizzonte, ancora nascosto dalle basse colline, il sole che sta sorgendo dona un colore caldo al paesaggio. Poche vetture transitano sulla strada ed il pellegrino può gustare appieno la visione di questi panorami; mi avevano avvertito prima di iniziare il pellegrinaggio, che camminare sulla Cassia sarebbe stata fonte di pericoli ma, almeno in questi tratti, la “596 dei Cairoli” e la “234” dopo Pavia, sono state molto più pericolose. Approssimandomi poi alla cittadina di Gallina ho modo di ammirare illuminata dal sole la Rocca di Bagno Vignoni che, lontana ed a destra, spicca sul colle che si eleva dalla valle mentre estesi appezzamenti di terreno sulle pendici delle colline sono punteggiati da numerosi e grandi rotoli di paglia residui della mietitura del frumento. Altri appezzamenti sono rivestiti da erba rada e secca sembrando incolti, mentre gli immancabili casali o fattorie vigilate dai radi cipressi ne ornano la sommità movimentando e spezzando la fuga di linee curve. Attraverso poi l’abitato di Gallina, che la Cassia separa come una Main Street senza fermarmi nei bar ora aperti; vorrei arrivare a Radicofani non più tardi delle13 sapendo che gli ultimi 7 Km saranno tutti in salita fino ad arrivare agli 829m dove è innalzata la sua Rocca che scorgo appena esco da Gallina, lontanissima in cima ad un colle tronco-conico ricoperto da verdi boschi. Questa valle dell’Orcia è desertica non vi sono persone nei poderi e macino Km senza vedere anima viva che non sia a bordo di una vettura; ai poderi coltivati od ai pascoli si frappongono dirupati calanchi le cui profonde fessure fendono i fianchi delle colline come profonde ferite, solo eriche e bassi e duri cespugli sono aggrappati ai suoi ripidi e scoscesi pendii frenandone l’erosione durante i violenti acquazzoni estivi o i freddi e rigidi inverni.

Lunga è la salita per arrivare a Radicofani addolcita però dalla vista senza eguali sulla vallata sottostante; anche il pellegrino che cammina sotto il sole alto e cocente, sudato e senza la possibilità di fermarsi al riparo di ombrosi alberi l’apprezza. A destra, il grosso borgo di Abbadia S.Salvatore spicca illuminato dal sole avendo alle sue spalle la grande mole scura del Monte Amiata rivestita di boschi che si eleva fino a 1738m dominando la vallata. Entro in Radicofani alle 13 giungendo davanti alla bella Parrocchiale dalla facciata austera e senza fronzoli; alcune persone sedute al bar della piazzetta mi accompagnano con una piccola processione all’abitazione della signora Buricchi responsabile dell’accoglienza dei pellegrini. E’ una personcina simpatica e cordiale e mi guida all’Ostello a pochi passi dalla sua abitazione nella via principale, molto bella ed antica dalle case tutte in pietra. E’ situato all’ultimo piano dove vi sono parecchi letti e dopo le formalità di rito si attarda a chiacchierare amabilmente chiedendomi se ho incontrato il pellegrino che attendeva e di cui aveva saputo di una sua indisposizione giorni fa. Mi informa prima di lasciarmi che se voglio prendere domani il tracciato della Francigena; che sterrato corre sul crinale delle colline, dovrò porre la massima attenzione ai cani che i pastori sardi lasciano incustoditi a guardia delle greggi nei pascoli attigui. Dopo essermi sistemato e steso il piccolo bucato alla finestra scendo alla Parrocchiale per farmi apporre il timbro sulla credenziale ma il sagrestano mi dice di ritornare stasera alle 6 quando vi sarà la S.Messa per incontrare il Parroco. Mi incammino allora verso la Rocca salendo i tornanti della strada con gli odorosi pini che mi fanno ombra fino alla sommità. La Rocca è imponente ed è tuttora in fase di restauri e merita la fatica fatta per salirvi; al suo interno sono allestite delle sale in cui sono esposti molti reperti di vasi ed oggetti riportati alla luce durante i restauri. Planimetrie e proiezioni virtuali permettono di ammirarla come era un tempo ed in cima si ha modo di ammirare a 360° tutte la vallate e le strade sottostanti che convergono verso di essa. Risale al 1154 e fu un feudo del condottiero Ghino di Tacco, figura ancor oggi enigmatica di quei tempi. Ridiscendo poi più velocemente per un sentierino che si diparte dal cimitero situato poco sotto e mi siedo sui gradini della Parrocchiale chiacchierando con la gente comodamente seduta alla sua ombra. Poco dopo alle 17,30 arrivano due bikers, Angelo e Aurelio, anche loro in pellegrinaggio ciclistico verso Roma provenienti uno da Parma e l’altro da Fidenza. Li accompagno al rifugio dato che la signora Buricchi è assente e do loro appuntamento a dopo la S.Messa per la cena in una vicina trattoria; sono lieto di avere due pellegrini per compagni questa sera spezzando così una solitudine pellegrina di lunga data. Al termine della S.Messa il Parroco mi appone il timbro e con i due bikers pellegrini mi dirigo alla trattoria consigliatami dalla signora Buricchi che nel frattempo li ha incontrati. A cena ci si accalora con discussioni e considerazioni sui pellegrinaggi come forma di fede o come via e mezzo per portare a ravvivare la fede in chi lo intraprende, trovando alla fine delle risposte condivise da tutti e tre. Mi dicono che domani faranno anche loro la sterrata di crinale che porta a Ponte a Rigo sperando che i cani non ci siano, ed il proprietario della trattoria, che evidentemente è un amico dei pellegrini ed che aveva partecipato alle nostre considerazioni, ci propone il prezzo di 20.000£ per la cena; Veramente esiguo per le portate che ci ha riservato. Così rientrando all’Ostello, lo salutiamo ringraziandolo di cuore.

22-07-00: Sabato, Radicofani – Acquapendente. 28 Km 6 h

Questa mattina parto alle 6 dopo aver salutato Angelo ed Aurelio che partiranno più tardi diretti a Bolsena, dirigendomi verso l’imbocco della sterrata di crinale che scendendo a sinistra del tornante sulla vecchia Cassia mi porterà a Ponte a Rigo; avrò cosi modo di risparmiare un paio di Km e di camminare su terra e non su asfalto. Sono già disceso per circa 800m quando mi raggiunge un contadino a bordo di un vespino; si ferma al mio fianco e mi mette al corrente del fatto che alcuni giorni prima nelle vicinanze di un casale appartenente a dei pastori sardi, a tre o quattro Km da qui, alcuni cani di guardia alle greggi hanno “sciupato”(assalito) dei pellegrini che transitavano, graffiandoli e mordendoli. I Carabinieri erano poi intervenuti presso i proprietari multandoli ed obbligandoli a tenere i cani legati all’interno del casale; però lui ora non può assicurarmi se l’obbligo è stato ottemperato o meno, per cui è meglio che valuti il rischio se passare o meno di là… Resto interdetto ad ascoltarlo poiché è il terzo avvertimento che mi viene dato a questo riguardo e non è proprio il caso di sottovalutarlo visto che cammino solitario; anche il figlio di Dino Olivetta, come lui stesso mi aveva detto a Vercelli, ha rischiato di essere morso su questa strada. Così imprecando ai pastori sardi ed ai loro cani decido di tornare sulla strada asfaltata per dirigermi sulla nuova Cassia in basso nella valle. Questo fatto di non poter transitare con relativa sicurezza su strade pubbliche solo perché vi è la possibilità di essere minacciati da cani di guardia alle greggi (non cani randagi), è irritante, e mi indispone ancor più nei riguardi dei proprietari di cani che non vengono addestrati al rispetto delle persone che transitano nelle vicinanze. Purtroppo questo è un fatto che si sta rivelando una costante poco gradevole di questo pellegrinaggio. Discendo velocemente verso la nuova Cassia quando da una villetta che ha il cancello aperto, schizza fuori abbaiante e ringhioso un cane maremmano che attraversa la strada, fronteggiandomi e restando a debita distanza solo alla vista del bastone che gli agito sul muso. Questo mi sembra troppo e quando la proprietaria esce per richiamarlo la redarguisco con parole dure ed appropriate al caso. Arrivo all’incrocio con la Cassia proseguendo verso Ponte a Rigo e fermandomi dove la sterrata di crinale si innesta sulla Cassia; attendo per vedere se Angelo ed Aurelio sono in arrivo ma inutilmente, forse sono già passati o forse partiranno più tardi per cui decido di avviarmi arrivando a Ponte a Rigo. Sono poche case e mi domando come può esserci qui una Ospitalità per i pellegrini come scrive Cinti nella Guida di Confraternita. Proseguo ancora sotto un bel sole che scalda le ultime brulle collinette mentre ora ai bordi della Cassia si avvicendano stabilimenti e officine di ogni tipo che lavorano laterizi ed all’esterno mettono in bella vista vasi ed orci di buona fattura. In lontananza si scorgono le alture dei Monti Volsini che celano nella loro conca vulcanica il bacino del lago di Bolsena. Raggiungo il Ponte Gregoriano la cui costruzione risale al XV secolo; è lungo 247m ed è composto da sei archi, ma è stato restaurato recentemente a causa dei danni avuti durante l’ultima guerra. Vedendo un cartello con il logo della Via Francigena che indica una sterrata a destra della Cassia mi inoltro per una stradella che si inerpica ripida, prosegue poi con giravolte fino alla città che si scopre solo quando si è davanti ad essa all’uscita dei boschi. Entrando in Acquapendente alle 12, chiedo informazioni alle persone sedute all’esterno di un bar per arrivare al Monastero di Santa Chiara; è nascosto fra strette vie, tutte in salita o discesa, dato che la cittadina è anch’essa costruita sulla sommità di un colle. La Badessa aldilà della grata mi accoglie cordialmente, ed apponendomi il timbro sulla credenziale mi consegna le chiavi dell’Ostello attiguo al Monastero. E’ come un Hotel a tre stelle per il pellegrino, con belle camerette e dotato di tutti i servizi compresa una bella cucina; ho la possibilità di lavare e far asciugare il bucato. Esco poi per visitare la città girandola in lungo ed in largo, arrivando infine alla Chiesa del Santo Sepolcro all’uscita dalla città verso Roma. Al suo interno enormi quadri fatti con petali di fiori: i cosiddetti “Pugnaloni”, sono appoggiati alle pareti in bella mostra; essi sono degli elementi folclorici di questa città e le loro origini risalgono all’XI secolo in onore della Madonna del Fiore. La parte posteriore della Chiesa è composta da due grandi absidi che ne racchiudono una terza più piccola al centro. L’Ufficio Turistico che inopinatamente si trova qui, quasi all’esterno della città, ha dei grandi pannelli riguardanti la Via Francigena ma al suo interno non hanno niente (cartine od informazioni), che io non abbia già, per cui rientro al Monastero. Sono le 17 quando rientro, e sono riuscito anche a trovare una cartina presso una edicola. Entro nella bella Cappellina a fianco del Monastero dove sta celebrando la S.Messa Don Marcello; un Sacerdote che era all’accoglienza dei pellegrini alla Basilica di S.Francesco ad Assisi. Egli festeggia il 50° anniversario di Sacerdozio con gli amici del Terz’Ordine Francescano di Acquapendente. All’uscita della Chiesa, incontro sul sagrato 3 fraticelli, anche loro pellegrini diretti a Roma, provenienti dalle parti di Modena. Poi i componenti del Terz’Ordine Francescano che stanno festeggiando Don Marcello invitano noi quattro pellegrini a prendere parte alla loro cena. Avendo modo di parlare con i tre fraticelli su dei possibili pellegrinaggi Gerosolimitani, vengo a conoscenza delle grosse difficoltà che i nostri religiosi e la nostra religione, trovano in quelle Regioni; Turchia, Siria ecc ecc; avallate se non istigate, dalle Autorità locali. Gli amici di Don Marcello, tutte cordialissime persone, ci mettono a nostro agio e, più prosaicamente, ci rimpinzano con cibo e bevande a cui facciamo grande festa. Anche loro ci rivolgono tante domande sul pellegrinaggio che stiamo facendo a cui cerchiamo di rispondere fra una fetta di torta ed un bicchiere di bianco… Anche oggi la Provvidenza mi aiuta a concludere, con letizia e convivialità; assieme ai tre fraticelli ed i componenti il gruppo del Terz’Ordine Francescano di Acquapendente, una giornata iniziata male e che sta terminando bene con Don Marcello che ci impartisce la sua Benedizione sulla buona riuscita del nostro pellegrinaggio.

23-07-00: Domenica, Acquapendente – Montefiascone. 33 Km 7,30 h

Cerco di fare meno rumore possibile uscendo dall’Ostello per non svegliare i tre fraticelli che ancora riposano; ieri quando erano giunti erano veramente stanchi ed accaldati e le loro tonache erano grigie di sudore. Mi spiegavano che viaggiando con la tonaca è un bel problema per la calura che non ha modo di uscirne, ma anche per la maleducazione di certune persone che a bordo di vetture oppure semplici passanti per la via, rivolgono loro male parole o commenti ironici. Questo è un aspetto del cammino che finora non avevo mai preso in considerazione ma che mi colpisce lasciandomi con una sensazione di sdegno verso questo comportamento che taluni, odiosamente, tengono nei confronti di coloro che portano la tonaca. Mi incammino verso la Cassia passando per la Porta Romana rivedendo la Chiesa del S.Sepolcro le cui absidi sono indorate dal sole mattutino; non vi è traffico su questa Cassia domenicale anche perché sono solamente le 6 e di domenica si poltrisce volentieri in un comodo letto. Attraverso S.Lorenzo Nuovo dove in Piazza Europa capannelli di persone uscite dalla funzione domenicale sostano davanti alla Chiesa di S.Lorenzo, oppure si accalcano ai tavolini dei bar vociando con marcate inflessioni laziali. Sempre restando sulla Cassia proseguo tralasciando una segnaletica della Via Francigena che si diparte a destra, ed ancora più avanti un’altra che a sinistra su una carrareccia mi porterebbe verso le località di Casale Sterta e Podere Nuovo per ridiscendere poi a Bolsena. La vista di casolari sulla carrareccia ed i latrati di numerosi cani non mi attirano per nulla malgrado la segnaletica; così mantengo una buona andatura sulla Cassia giungendo poi in un punto panoramico dove scorgo per la prima volta le acque azzurre del lago di Bolsena. Scendo velocemente per arrivare a bordo lago prendendo ad un crocicchio di strade quella che sembra porti a lago ma un signore, più avanti ed al quale chiedo informazioni, mi dice che al termine non vi sono strade a bordo lago che conducono a Bolsena, e la sola possibilità di andarci è quella di prendere una barca. Ritorno indietro sulla Cassia sotto il sole, mentre la vista del lago mi è impedita dalle numerose case e campeggi che punteggiano le rive fino all’entrata di Bolsena. Qui mi dirigo lungo Viale Colesanti verso Piazzale Dante Alighieri in riva al lago, dove ho modo di sostare su una panchina gustandomi la vista di questo grande specchio d’acqua. E’ il primo dopo parecchie settimane di cammino fra pianure monti e vallate; E’ domenica e numerosi turisti e bagnanti affollano la spiaggia antistante ed il piccolo mercatino adiacente; mi fermo qui circa 20 minuti, il tempo sufficiente ad uno spuntino necessario ad affrontare il cammino fino a Montefiascone. Riprendo il cammino lungo l’ombreggiato Viale Cadorna a bordo lago, poi risalgo sulla Cassia iniziando a camminare sul lungo falsopiano che mi porta sempre più in alto ad ammirare l’intero bacino del lago con le due isole, la Bisentina e la Martana che si elevano al suo interno. Alla sinistra della strada, una curiosa conformazione di rocce basaltiche a forma prismatica provocata dal rapido raffreddamento della materia vulcanica è chiamata “Pietre Lanciate”che la leggenda vuole lanciate qui da un Gigante. Sempre in salita entro in Montefiascone alle 13,30 attraverso una Porta Monumentale e mi dirigo al Monastero delle Benedettine nascosto nelle strette viuzze; una anziana Suora mi accoglie affabilmente accompagnandomi ai piani alti del Convitto adibito ora ad Ostello per i pellegrini, mi sistemo magnificamente, ed esco per visitare la città che essendo in salita, si dimostra più faticoso del previsto. Telefono poi a Cura di Vetralla per l’ospitalità di domani ma non risponde nessuno ed allora decido di chiedere ospitalità al Convento di S.Angelo sul Monte Cimino, dove mi dicono che “forse” vi è un posto per cui domani ci andrò passando per S. Martino al Cimino. Telefono anche a Campagnano, vicino all’Autodromo di Vallelunga, che mi assicura dell’ospitalità, per cui le accoglienze dei due giorni a venire sono quasi garantite. Al rientro al Monastero trovo una coppia di giovani pellegrini provenienti da Padova, ed appena arrivati da Bolsena, che sono alloggiati in una altra ala del Convitto scambiandoci qualche impressione su questa parte laziale del Pellegrinaggio che ci porterà domani verso i lontani Monti Cimini: io al Convento di S.Angelo e loro a Capranica.

24-07-00: Lunedì, Montefiascone – Cura di Vetralla. 30 Km 8 h

Il pensiero della dubbia ospitalità a Convento S.Angelo non mi ha permesso di dormire serenamente, disturbando il già leggero sonno notturno che in questo pellegrinaggio si è manifestato e che comunque non intacca il riposo. Alle 6 mi accingo a lasciare il Monastero preceduto dalla giovane coppia di pellegrini di Padova già con gli zaini sulle spalle; la premurosa Suora che mi ha accolto ieri mi accompagna all’uscita augurandomi buon cammino mentre in una saletta attigua, ospiti presenti per alcuni giorni di Esercizi Spirituali stanno recitando il S.Rosario. Fino a Viterbo vi è solo la Cassia da percorrere con il traffico d’autovetture e di camion che s’intensifica sempre più avvicinandosi alla città; è una marcia noiosa quella che mi porta all’interno di Viterbo, dove mi fermo a tutte le librerie e chioschi di giornali lungo la via per acquistare una cartina stradale per il proseguimento del cammino, da Capranica fino a Roma. Sono costretto ad acquistarne una al 250.000 non trovandone di più dettagliate! La ricerca della strada che porta a S.Martino al Cimino, si rivela difficoltosa; a volte cartelli di dubbia interpretazione mi fanno perdere parecchio tempo. Il traffico qui in Viterbo a volte diventa assillante e insopportabile nei momenti in cui parecchi conducenti si “addormentano” sul claxon contribuendo al già notevole strepito. Infine imbocco la giusta direzione iniziando a salire sotto alberi le cui radici occupano quasi per intero il marciapiede; più avanti una strada si stacca a sinistra con il cartello che indica perentoriamente «S.Martino al Cimino», è una stradella che allargandosi o restringendosi s’inerpica ancor più sul fianco dei Monti Volsini. Il traffico diviene quasi inesistente e posso guardare giù in basso la valle dove si snoda la Cassia; anche le abitazioni si fanno sempre più rade e con il vento che nel frattempo si è levato, m’inoltro in un ambiente che diventa sempre più boscoso e solitario.Grandi castagneti e faggete sono interrotti soltanto da piccoli appezzamenti adibiti a pascolo o da boschi di piante cedui con gli immancabili cespugli di ginestre; credo che siano di proprietà privata perché sono quasi tutti cintati con del filo spinato. La salita fra i boschi sembra non abbia mai fine rivelandosi una bella tappa che mi ripaga dello sforzo che mi costa il camminare in salita, anche se alleviato dal vento che mi rinfresca. Entro in S.Martino al Cimino passando per un grande portale detto Porta di Viterbo, e chiedendo informazioni circa la direzione da prendere per arrivare a Convento S.Angelo, risalgo la sua via principale. E’ larga e tutta in forte salita con le case che digradano verso le Mura; mentre numerosi turisti e persone del posto passeggiano scattando foto oppure fermandosi ai tavolini dei bar per l’aperitivo. Mi dirigo in alto alla via, verso l’Abbazia Cistercense risalente al XIII secolo dall’imponente facciata e l’interno a tre navate; sono un poco stupito di trovare in questo paese quasi sperduto in mezzo alla montagna una cosi bella Abbazia, ma sono cosi tante le cose che non so, per cui mi limito ad ammirarla pensando al suo lontano e splendente passato. Poi a sinistra e passando sotto un altro Portale nelle Mura, esco dalla cittadina incamminandomi sulla lunga strada asfaltata che corre tutta sul fianco del monte. Ne segue le gole in mezzo a fitti boschi, estremamente solitaria e con frequenti saliscendi che mi portano sempre più in alto. Incontro pochissime vetture che probabilmente preferiscono, per arrivare a Vetralla, prendere la strada che porta a Tobia ed a Tre Croci; molto più lineare ed in discesa. Sono 9 i Km di cammino su questa bella strada boschiva, prima di giungere al viale alberato che a sinistra mi porta al Convento. Quando suono il campanello, i dubbi che avevo diventano realtà; un sacerdote in abiti civili mi dice che qui non vi è possibilità di accoglienza perché sono rimaste solo tre persone, ed adesso devono chiudere; lui stesso si deve recare al mare a Tarquinia in ferie. Telefona egli stesso a Cura per avvisarli del mio arrivo ma non ricevendo risposta mi sollecita a salire a bordo della sua auto, incaricandosi di accompagnarmi laggiù per rendersi conto del fatto che nessuno risponde al telefono. Accetto il passaggio, anche se preferirei raggiungere Cura a piedi, visto che si dimostra molto premuroso e dispiaciuto per non potermi dare accoglienza; così in 15 minuti percorriamo i 4 Km di discesa che ci separano da Cura dove un giovane diacono, alla Parrocchia di S.Maria del Soccorso, mi accoglie scusandosi per la faccenda del telefono che non era stato ben agganciato. Mi accompagna in uno stanzone accanto ai locali dell’oratorio e mi domanda come è stato il cammino; mi informa dei pellegrini che sono stati qui precedentemente. Mi appone il timbro sulla credenziale, poi stiamo a chiacchierare con un folto gruppetto di giovani che nel frattempo sono arrivati assieme ad un giovane coadiutore di colore. Nello stanzone che contiene 5 letti ed un grande tavolo vi è anche una grande finestra che però non si chiude bene ed il vento sempre robusto vi si insinua fischiando malignamente. Prendo una buona doccia nel locale a fianco dove lavo i pochi indumenti, e poi esco per la cittadina che si sviluppa lungo la Cassia che la attraversa, mentre nella piazza davanti alla bella Chiesa della Parrocchia molte persone passeggiano, o sedute sulle panchine, guardano il via vai di vetture. Trovo un piccolo supermarket in cui acquisto il necessario per la cena e per la tappa di domani, quindi telefono alla Parrocchia di La Storta senza avere risposta per cui rientro all’Oratorio, restando a chiacchierare sotto un ombroso bersò con i ragazzi fino all’ora della mia parca cena.

25-07-00: Martedì, Cura di Vetralla – Campagnano di Roma. 33 Km 7,30 h

Il vento ha soffiato tutta la notte facendo frusciare le piante del giardino all’esterno dell’Oratorio, ma non mi ha dato fastidio; era più fastidioso un grosso e giallo lampione che, illuminando il cortile dell’Oratorio rischiarava attraverso la porta a vetri lo stanzone in cui dormivo. Alle 6 sono sulla Cassia gia discretamente trafficata; la strada però è abbastanza larga per cui non vi sono difficoltà di cammino ai suoi bordi: Nei pressi dell’incrocio con la 493 proveniente da Casaletto noto dei grandi ruderi che si elevano dal terreno a fianco della strada; sono dei ruderi di antichi monumenti funerari di cui uno più alto mi colpisce per la forma del suo basamento che è quadrata mentre la parte superiore è cilindrica. Dall’altra parte della strada quasi di fronte a loro vi sono i resti di una Chiesa medioevale; sarebbe la Chiesa di S.Maria in Albis distrutta nel VIII secolo. Giacciono così, malinconicamente lasciati all’incuria del tempo, mentre potrebbero essere valorizzati come reperti archeologici. Qui vicino c’è anche un campo detto “Le Querce d’Orlando”, dove secondo la leggenda, sostò il famoso Paladino di CarloMagno; però non vi sono più le querce a rammentarlo ma solamente delle piante di nocciolo. Sempre sulla Cassia giungo al complesso della Madonna del Piano dove sosto per uno spuntino non potendo visitare nulla essendo tutto chiuso. Arrivo poi a Capranica; un grosso borgo abbarbicato attorno alla roccia della montagna e più avanti ancora giungo a Sutri. La cittadina mi appare arroccata in alto sulla collina tufacea; non risalgo la strada che mi porterebbe a visitarla poiché la mia meta è il Mitreo (dove vi sono le Rovine), al cui interno vi è la Chiesa della Madonna del Parto e pochi metri più avanti l’Anfiteatro Romano. Il Mitreo però è chiuso senza la possibilità di accedervi ma è possibile visitare l’Anfiteatro; mi stupisce per la forma del suo interno che non è circolare ma è di forma ellittica. E’ interamente scavato nel tufo, con delle catenelle che impediscono di accedere alle grotte o di salire sulle sue gradinate. Chiedo al custode di scattarmi una foto davanti alla porta d’accesso, cosa che fa volentieri, invitandomi poi a firmare il registro dei visitatori. Riprendo il cammino sulla Cassia verso Monterosi fotografando il suo bel lago ed in località Gabelletta, la Cassia diventa superstrada; caldissima e pericolosa fino a quando, poco dopo la località di Settevene, prendo la deviazione che a sinistra mi porterà a Campagnano di Roma passando vicino all’Autodromo di Vallelunga. Il caldo è veramente tanto ma su questa strada non vi è modo di sottrarvisi; vi sono solo radi boschetti di robinie alla cui ombra è possibile sostare per bere acqua che è divenuta tiepida. Le piante dei piedi fanno fatica ad appoggiarsi all’asfalto divenuto caldissimo e piccole gocce di catrame brillano liquefatte; il calore che passa attraverso le suole consumate degli scarponcini ai piedi, mi consiglia di camminare il più possibile sul bordo erboso. Scorgo finalmente sulla collina la sagoma del campanile della Chiesa-Cattedrale di S.Giovanni arrivandovi al termine della salita alle 13,30; Don Renzo mi aveva consigliato di non giungere prima delle14 perciò mi siedo sui gradini della stessa ad attendere il suo arrivo. Al suo posto giunge un giovane coadiutore di colore che mi invita a seguirlo al Centro d’Accoglienza, a circa 800m da qui telefonando prima a Sergio l’incaricato della sua gestione. Sergio ci attende e mentre parliamo, ecco che arriva un altro pellegrino; si chiama Filippo Bonfante e proviene dalle parti di Verona. Questo pomeriggio avevo visto la sua firma sul registro all’Anfiteatro di Sutri ed ora me lo ritrovo qui, forse era in qualche bar lungo il cammino perciò non lo ho visto. Veniamo alloggiati benissimo in questo ostello, poi Sergio ci afferma che stasera ci porterà la cena alle 20 e di riposarci nel frattempo, quindi di recarci alla Parrocchia di S.Giovanni per avere il timbro culla credenziale. Ci sistemiamo comodamente e poi usciamo per visitare la città; Filippo mi informa, mentre ci avviamo, che il pellegrino che la signora Buricchi attendeva a Radicofani era lui; si era sentito male a S.Quirico perciò si era fermato e poi si era recato a Ponte a Rigo preferendo non fare la salita a Radicofani. Afferma altresì che a Ponte a Rigo vi sono dei container climatizzati per l’accoglienza dei pellegrini e che si era trovato benissimo, mi informa ancora che sul cammino vi sono anche Claudio Loreggia con la moglie ed i due figli, i quali dovrebbero giungere qua oggi, ed anche un bergamasco di Mornico al Serio che ha un mulo al seguito di nome Quiglio! Quante notizie in una sola volta! Sono felice anche perché dopo 55 giorni di cammino la mia solitudine è finita poiché decidiamo di arrivare a Roma camminando assieme per i restanti Km. Alla sera come promesso, arriva Sergio con una signora portandoci la cena ed anche del vino che noi avevamo gia comprato, pensando che cenassero con noi. Non è loro possibile per impegni precedenti, ma veniamo a sapere che in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, saranno alloggiati in paese 200 ragazzi ed a Vallelunga giungeranno 10000 ragazzi Polacchi! La loro Comunità è in fermento per i preparativi che secondo me, visto la loro sollecitudine ed accoglienza verso di noi è gia al meglio. Anche qui in Italia vi sono delle belle Comunità ecclesiali che danno una limpida e chiara risposta al “bussare” dei pellegrini…

26-07-00: Mercoledì, Campagnano di Roma – La Storta. 20 Km 5 h

Qui a Campagnano nei locali del Centro vi è alloggiato anche un obiettore che però non abbiamo modo di incontrare poiché rientra molto tardi dal suo impegno sociale. Lo salutiamo perciò questa mattina alle 7 quando siamo costretti a svegliarlo per lasciargli le chiavi del luogo. Ci avviamo per le strade della cittadina giungendo alla piazza da dove prenderemo la strada che con 4 Km di percorso ci porterà sulla Cassia in basso nella valle. La giornata è già assolata e calda ma non abbiamo molti Km da fare, anche se camminare sul nastro d’asfalto non è piacevole dato che nessuno dei due ha cartine che permettono di destreggiarsi fra carrarecce o sentieri per arrivare a Formello, Isola Farnese, Veio ed infine giungere a La Storta. In prossimità della località di Baccano situata una depressione vulcanica di circa 3 o 4 Km di diametro con al centro l’omonimo lago, la Cassia diventa superstrada lasciandoci però a lato circa un metro di spazio su cui camminare; il traffico è intenso e continuo e gli operai che lavorano alla sua manutenzione oppure nei cantieri di lavoro aperti ci salutano allegramente chiedendoci la nostra provenienza; chissà quanti pellegrini hanno avuto modo di incontrare o di parlar loro durante il periodo dei lavori! A circa metà tappa lasciamo la Cassia prendendo una laterale che ci porterà a La Storta e vedendo il bivio che a sinistra indica la direzione per l’area archeologica delle rovine Etrusche di Veio ci ripromettiamo di venirci questo pomeriggio per una doverosa visita. E’ una periferia lunghissima ed anonima quella che attraversiamo; le rovine di un’antica Cisterna Romana a sinistra della strada sono segnalate da un pannello, ma lo stato d’abbandono in cui versa la fa assomigliare più ad una discarica. Alle 12, alla fine di questo lungo suburbio arriviamo, capendo di essere giunti a La Storta, in Piazza della Visione. E’ cosi chiamata dalla visione che nel 1537, S.Ignazio di Loyola, pregando in quella che allora era una modestissima chiesetta a fianco dell’Albergo di Posta, ebbe con l’apparizione di Dio Padre che raccomandandolo a Gesù suo Figlio gli disse: ”Io a Roma sarò con Voi”, confermando così la sua intenzione di chiamare sé ed i suoi compagni la “Compagnia di Gesù”: meglio nota oggi come i “Gesuiti”. Ci dirigiamo, risalendo una bella scalinata, in alto alla Chiesa della Parrocchia del S.Cuore, il Parroco non c’è, perciò suoniamo il campanello della Curia che ha la sua sede a fianco. Monsignor Nicolini ci accoglie cordialmente scherzando sul fatto che io sia brianzolo (anche lui è delle mie parti); ci appone il timbro della Diocesi Suburbicaria di S.Rufina sulla credenziale, affidandoci poi le chiavi dell’alloggio per i pellegrini situato nei locali sopra la canonica. All’interno non vi è nulla salvo un divano letto con una poltrona ed i servizi; sistemiamo rapidamente le nostre cose recandoci ad una vicina tavola calda per un piatto di pasta. La cittadina è frequentata da moltissimi extracomunitari e slavi che, seduti sulle panchine oppure nell’attesa alle fermate degli autobus, formano dei capannelli a sé stanti. Un ragazzo di Capo Verde vedendomi con la conchiglia al collo afferma che anche lui è cattolico e che è stato a Santiago di Compostella; ora lavora a Roma ma ogni giorno deve prendere l’autobus per ritornare qua a La Storta dove abita con altri connazionali. Prendiamo un autobus che rapidamente ci conduce sul Monte S Michele all’area archeologica di Veio, tuttora in fase di restauri e di ricerche, dirigendoci a piedi verso la profonda incassatura nella valle in cui giace. Passando su di un ponte il fosso della Mola con la sua cascata che precipita in un orrido, ci inoltriamo fra le grandi pietre che celano ancora oggi una civiltà dai molti segreti. Rientriamo alle 19 con l’ultima corsa dell’autobus Atac alla canonica di La Storta ritrovando il nuovo Parroco Don Stefano che ci rimprovera, indisponendoci, perché uno di noi non ha il materassino e l’altro non ha il sacco a pelo. Non rispondo alle sue parole poiché come pellegrino, devo accettare quello che mi è dato, cercando di frenare anche la vis polemica del mio compagno che, neo pellegrino, avrebbe da ridire. Ma quando egli ci afferma che “questo non è un albergo”; prego fortemente il Signore di aprirgli il cuore e la mente verso i pellegrini: difatti qua non è per niente un “albergo”; solo pareti e pavimento che per il pellegrino sono più che sufficienti. Perciò non capisco la sua sgradevole polemica. Ci rechiamo più tardi alla S.Messa da lui stesso officiata e rinnovo al Signore la mia preghiera di poco prima nei suoi riguardi. A tarda sera arrivano due giovani pellegrini Cecoslovacchi che stendono i sacchi a pelo sul pavimento di un’altra stanza accingendosi a mangiare mezza anguria per cena. Offro loro parte dei miei viveri per domani e parlandoci un po’ in inglese ed un po’ in francese capiamo che provengono da Bologna, dove sono arrivati in treno da casa loro. Poi hanno sempre camminato sulle strade statali e sulla Cassia pur di arrivare a Roma senza problemi d’orientamento.

27-07-00: Giovedì, La Storta – Roma. 20 Km 4,30 h

Mi sveglio alle 5,30 chiamando anche Filippo poiché per entrambi la voglia di arrivare presto in Piazza S.Pietro è grande ed oggi, dopo tanto cammino ci arriveremo. Non avremo più tappe da pianificare e chilometri da percorrere, né cartine da consultare o precarietà da accettare; però non avremo più l’incontro a volte sorprendente e vivo con le persone che, del pellegrinaggio, è uno degli aspetti che più mi attraggono. In silenzio per non svegliare i due giovani pellegrini Cechi lasciamo la canonica e l’abitato di La Storta alle 6 incamminandoci per l’ultima volta sulla Cassia già ben trafficata da vetture ed autobus (anche qui come a Milano il fenomeno del pendolarismo è diffuso e la Capitale attrae a sé come una calamita molta forza-lavoro che di sera è obbligata a ritornare sui propri passi, facendo di queste periferie metropolitane dei quartieri dormitorio). Dopo 4 Km circa poco prima dell’abitato de La Giustiniana lasciamo la Cassia per immetterci sulla Via Trionfale dove vi è meno traffico, ma si ha anche modo, purtroppo, di notare il degrado ambientale in cui versa questa periferia. Mentre sostiamo seduti su di un muretto in ombra ad una stazione di servizio, non posso fare a meno di pensare ai pellegrini che in folti gruppi arriveranno a Roma in questi giorni, marciando su queste strade che in taluni casi non offrono nemmeno lo spazio di poter camminare sulla riga bianca ai bordi. Al termine di Via Trionfale prendiamo a sinistra la strada che entra nel parco di Monte Mario, dove ad un belvedere scorgiamo il Cupolone Michelangiolesco della Basilica di S.Pietro. L’emozione è grande! Siamo giunti finalmente alla meta ed il colpo d’occhio sulla Basilica e sull’Urbe adagiata ai nostri piedi con il sole che la illumina è appagante. Discendiamo rapidamente la strada pedonale che ci porta in Via Gomenizza e poi per Vie e Piazze, raggiungiamo il colonnato del Bernini entrando finalmente in Piazza S.Pietro. Sono le 10,30 di un giorno memorabile: mi sembra del tutto naturale essere qua, non mi capacito ancora di tutti gli avvenimenti succedutisi durante il cammino da Canterbury sino a qui. Della Provvidenza che mi sempre sostenuto, delle persone che mi hanno aiutato, la pioggia ed il sole, il vento ed il caldo, i sorrisi di coloro che mi hanno accolto alleviando la grande solitudine che mi è sempre stata accanto; unica, e vera compagna silenziosa di questo pellegrinaggio solitario. La letizia di scoprire giorno dopo giorno alcuni miei pregiudizi svanire e l’accoglienza cordiale e senza riserve di Comunità, Parrocchie, famiglie e persone lungo tutto il cammino. Questo aspetto era ciò che maggiormente desideravo constatare durante il mio pellegrinaggio e questo è ciò che ho trovato. La certezza per il pellegrino di questo XXI secolo, laico e secolare, di poter “bussare” alla porta e di trovare colui che la apre accogliendolo. Sono attimi di forte emozione in cui tutti gli avvenimenti salienti del cammino passano davanti agli occhi come una velocissima “moviola”; i volti delle persone che mi avevano espressamente richiesto, una volta raggiunta la meta, una preghiera per loro mi spronano a dirigermi verso la Basilica, e dopo esserci cambiati gli indumenti e depositati gli zaini ed i bordoni, entriamo attraversando la Porta Santa all’interno dell’immensa Basilica; maestosa e raccolta nonostante le centinaia di persone che la percorrono con i nasi per aria. Mi dirigo rapidamente alla statua dell’Apostolo per ottemperare alle mie promesse sentendo, con queste preghiere, di aver arricchito ancor più il mio pellegrinaggio. Alla nostra richiesta, nonostante la Sacristia sia chiusa, Monsignor Enea Accorsi ci appone sulla credenziale il timbro che più d’ogni altro suggella e qualifica il nostro Cammino, quello delle “SACRARIUM SS. BASILICAE VATICANAE”.

Quando risorgiamo alla luce che inonda Piazza S.Pietro ritroviamo Helen e Peter, i due giovani pellegrini Cechi, poi anche la giovane coppia di pellegrini di Padova incontrati a Montefiascone, poi Claudio Loreggia e sua moglie con i loro due figli ed alla fine, anche il pellegrino di Mornico al Serio con il mulo Quiglio, legato con la cavezza ad una colonnina al centro della piazza sorvegliato da due carabinieri. Siamo felicissimi di esserci incontrati in una circostanza così straordinaria tutti insieme, ed all’ombra del colonnato ci scambiamo le molte ed a volte comuni impressioni avute durante il cammino; le difficoltà, e le speranze esaudite, come questa veramente eccezionale, di poterci ritrovare una volta raggiunta la meta. Alle 15,30 ci lasciamo fissandoci l’appuntamento a più tardi oppure a domani. Io mi dirigo alla Pensione S.Pietro, a pochi isolati da qui dove grazie a Monsignor Nicolini ho avuto modo di riservarmi una stanzetta. Dopo una doccia ed un piccolo riposo, ritorno alla Basilica per la S.Messa rimanendovi fin quasi l’ora di chiusura ammirando tutto il possibile, anche se domani vi ritornerò per visitarla con più calma come un perfetto turista.

28-07-00: Venerdì, Pellegrinaggio alle Basiliche Patriarcali di: S.Pietro, Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le Mura.

È giunto anche l’ultimo giorno di questo mio pellegrinaggio a ritroso sulle tracce dell’Arcivescovo Sigerico. Egli ritornando a Canterbury da Roma dopo aver ricevuto il “Pallium” dalle mani di Papa Giovanni XV come suggello alla sua nomina; annotò in un “diario” che si è tramandato fino ai nostri giorni, tutte le località dove sostò durante il viaggio, permettendoci così di avere una specie di guida del percorso che i “Romei” di allora seguivano, giungendo a Roma per pregare sulla tomba dell’Apostolo Pietro. Egli nei due giorni di sosta nella Città Eterna visitò ben 23 Chiese mentre io mi accontenterò oggi di visitare le quattro maggiori Basiliche, alfine di concludere degnamente nello spirito del pellegrinaggio questo Cammino nel quale, i contenuti interiori e spirituali si rafforzano, traendone grande vantaggio, da quella estetici, suscitati dall’ammirare queste grandi opere d’arte frutto del genio umano. Non va tralasciato l’apporto alla conoscenza di se stessi che la fatica del Cammino produce sull’animo del pellegrino giorno dopo giorno. Entro nella Basilica Culla della Cristianità, passando per la Porta Santa come è necessario fare per impetrare il perdono e la remissione delle colpe ed ottenere l’indulgenza annessa a ciò; simbologia di un novello cambiamento interiore che il Cammino, nei secoli passati molto più che adesso (visto i grandi pericoli a cui i pellegrini andavano incontro), rendeva suscettibile di metamorfosi. Sono le 9 e la Basilica accoglie già un buon numero di fedeli di ogni nazionalità che i numerosi volontari posti all’esterno ed addetti alla loro accoglienza, controllano ed informano sulle modalità per accedere attraverso la Porta Santa, all’interno. Anche ieri ho notato il gran lavoro che svolgono questi giovani con semplicità e letizia verso i pellegrini; una testimonianza che rende merito a loro e ad una ottima ed ineccepibile organizzazione. Ho modo di assistere alla S.Messa e poi fare qualche foto che ieri, per la troppa folla, non avevo potuto scattare alla Veronica di Francesco Mochi collocata alla base di uno dei pilastri che sostengono la cupola, poi alla Statua di S.Pietro in Cattedra, ed infine alla Pietà di Michelangelo, sempre affollata all’inverosimile. Mi reco poi nelle sottostanti Grotte Vaticane, poiché la Basilica Vaticana oltre ad essere un Tempio di culto, è anche un Tempio cimiteriale dove una moltitudine di Papi riposano nel sonno Eterno. Discendendo Via della Conciliazione, passo il Tevere incamminandomi lungo Corso Vittorio Emanuele, Piazza del Gesù, S.Pietro in Vincoli raggiungendo infine la Basilica di S.Maria Maggiore cosi chiamata poiché essa è la più grande Chiesa dedicata alla Vergine. All’interno, la Cappella Sistina costruita da Domenico Fontana per il Papa Sisto V ed il Battistero sono affollate da pellegrini che, trafficando con cineprese e macchine fotografiche, riprendono tutto il possibile. Tutto ciò che vedo è di una magnificenza per la quale non vi sono aggettivi; è fatta per edificare e confortare con queste sublimi opere l’animo del fedele che l’ammira. Mischiandomi ad una folla cosmopolita di giapponesi, spagnoli e chissà di quante altre nazionalità, mi avvio lungo via Merulana verso l’Arcibasilica di S.Giovanni in Laterano, imponente e splendida. Scopro nella navata di destra mentre cerco di vedere tutto, una bella statua di S.Giacomo con in mano il bordone da pellegrino. Visitare queste grandi Basiliche è forse più faticoso, complice anche il gran caldo che vi è oggi in città, che camminare giorno dopo giorno come ho fatto in questo pellegrinaggio; vi è sempre tanta folla a piedi ed il traffico veicolare non ha nulla da invidiare a quello milanese, caotico ed arrembante. Mi fermo sostando su una panchina all’ombra di giardinetti ombrosi per uno spuntino “pellegrino” ed alle 13 mi incammino sotto il sole a picco e cocente verso la Basilica di S.Paolo fuori le Mura, lontanissima al termine della via Ostiense. Attraverso il largo Viale delle Terme di Caracalla, poi la circonvallazione Ostiense per giungere infine davanti al bellissimo porticato della Basilica, che è seconda solo alla Basilica Vaticana come grandezza. Vengo accolto dalla grande statua del Santo posta nel giardino, sostando davanti alla stupenda facciata adorna di un mosaico che brilla illuminato da questo sole luminoso. Non vi è gran folla al suo interno; la lontananza dal centro si fa sentire ed è perciò più comodo aggirarsi con calma ammirandone il suo splendore. Rientrando poi verso Piazza S.Pietro mi sento frastornato per tutto la magnificenza di opere che ho visto e sedendomi sotto il colonnato del Bernini, mi domando quanti di noi pellegrini che in questo Anno Giubilare sono già venuti, sono ora presenti o che qui verranno per incontrare Gesù, sapranno chiedergli, come gli chiese Incontrandolo Pietro in fuga da Roma: ”Domine quo Vadis?”, e poi ritornare, con Lui nel cuore, alle proprie case ed in questa società dominata dall’indifferenza e da grandi contrasti anche fra i cristiani: non per essere crocifissi, ma per testimoniare con fermezza e serenità l’appartenenza alla sua Chiesa, accettando le condizioni che Egli aveva dettato per seguirlo: “ Se qualcuno vuole venire con me, smetta di pensare a se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua”.

Sala Mauro “Pellegrino”.  Anno Santo Giubilare 2000

Cartina e tappe

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