Segni e caratteristiche distintive del Pellegrinaggio nell’iconografia dell’Apostolo San Giacomo
Ángel González Fernández Presidente de la Archicofradía Universal del Apóstol Santiago.
Per ovvie ragioni, l’apostolo Giacomo non poteva essere un pellegrino jacobeo. Tuttavia, quando si trattava di configurare le sue immagini, avveniva un trasferimento iconografico per cui i segni e i tratti distintivi dei pellegrini jacobei, modellavano la figura dell’Apostolo e davano una caratterizzazione alle sue rappresentazioni. Questo avviene non solo quando si tratta di configurare l’immagine del cosiddetto Giacomo Pellegrino, la sua rappresentazione più comune, ma questi tratti distintivi sono presenti in qualche modo anche in quasi tutte le altre sue rappresentazioni, come quelle che si riferiscono alla sua vita di apostolo del Signore o quelle che lo rappresentano come un leggendario cavaliere in battaglia.
Questo fatto e le sue ragioni (che indubbiamente richiedono un’analisi più approfondita di quella attualmente possibile) sono pienamente evidenti alla luce delle tre rappresentazioni iconiche di San Giacomo che compaiono sulla pala d’altare della cappella maggiore della Cattedrale di Compostela.
Forse il caso di una pala d’altare maggiore in cui il santo titolare di una chiesa appare in tre versioni diverse, e attraverso due immagini distinte, dovrebbe essere considerato insolito. Nel caso della cappella maggiore della Cattedrale di Compostela, ciò è senza dubbio dovuto al tentativo di presentare iconograficamente le tre grandi dimensioni in cui si articola la figura dell’apostolo San Giacomo il Maggiore: il pellegrino, personificazione e anima del pellegrinaggio, il cavaliere e l’apostolo, evangelizzatore dell’Occidente.
Ma il fatto è che il San Giacomo Pellegrino, dalla sua posizione centrale nella pala d’altare (centrale per la disposizione degli spazi, certo, ma anche per l’aspetto tematico, come si conviene a una cattedrale, concepita come santuario di pellegrinaggio), questo San Giacomo Pellegrino, si proietta, con i suoi simboli caratteristici, sull’immagine di San Giacomo Cavaliere, su cui si trasferiscono molti dei segni distintivi del pellegrinaggio, e si proiettano anche sull’immagine dell’Apostolo stesso, che, nella parte inferiore della pala, già sull’altare, subirà nei secoli successive trasformazioni morfologiche che lo renderanno, nell’aspetto e nei segni distintivi, un altro pellegrino. È il caso dell’Apostolo che si fa pellegrino, forse con l’intento di raggiungere, da parte dei pellegrini che vengono ad abbracciarlo, un livello di piena identificazione con la figura del santo di cui sono venuti a venerare le reliquie.
È noto che la figura dell’apostolo Giacomo si articola in due dimensioni principali: quella biografica, la sua vita, potremmo dire, e un’altra, di non minore importanza: quella che inizia subito dopo la sua morte in un crudele martirio, con il racconto della traslazione dei suoi resti mortali in Galizia e, da lì, la sua amplissima proiezione Compostellana.
La prima di queste due dimensioni ha un chiaro fondamento biblico, pur comprendendo anche elementi biografici di non così autorevole evidenza, apportati dalla tradizione e basati, più che su dati empirici, sulla fede assertiva e devota dei credenti cristiani di ogni tempo, con il conseguente riconoscimento a livello di culto. Ci riferiamo, ad esempio, alla sua azione evangelizzatrice in Occidente e, in particolare, nella Penisola iberica, o all’apparizione della Vergine Maria, quando ella era ancora in carne e ossa, per confortare l’Apostolo sulle rive del fiume Ebro.
La seconda dimensione costitutiva della figura dell’Apostolo San Giacomo, quella compostellana, ha il suo punto di riferimento fondamentale nel ritrovamento e nella sepoltura del corpo dell’Apostolo e, da lì, nel fenomeno del pellegrinaggio alla sua tomba, evento di grande portata europea e universale. Dal punto di vista iconografico, questa seconda dimensione e, al suo interno, il riferimento al pellegrinaggio e al suo ampio tema è quella che prevale al punto da conferire quasi, come abbiamo detto, un certo senso unitario e omogeneo a tutte le rappresentazioni iconografiche dell’Apostolo. C’è una vera e propria ricostruzione retrospettiva della sua figura e del suo aspetto, gli eventi che lo riguardano dopo la sua morte serviranno a caratterizzare la sua figura e le sue rappresentazioni durante la sua vita.
A prescindere dal fatto che, come abbiamo già sottolineato, i segni e i tratti distintivi del pellegrino compaiono in qualche modo nella maggior parte delle rappresentazioni iconiche di San Giacomo, nella pala d’altare della cappella maggiore c’è un San Giacomo pellegrino, nella posizione di colui che è appunto in cammino come mostrano chiaramente le pieghe della tunica dell’Apostolo. In altre parole, non è solo un San Giacomo vestito da pellegrino, ma sembra anche agire come tale.
Non possiamo perdere di vista un aspetto fondamentale: la cattedrale di Compostela, come abbiamo detto, è eretta, sistemata e persino decorata come centro di pellegrinaggio. Essendo la meta del pellegrinaggio, è il pellegrinaggio che le dà significato. Questa centralità tematica del pellegrinaggio, che riguarda la cattedrale nel suo complesso, culmina nella disposizione e nell’ornamentazione della grande cappella maggiore e spiega perché, oltre all’insolita profusione di riferimenti simbolici al pellegrinaggio, soprattutto nelle immagini del Santo Apostolo, vi sia un trattamento eccezionale della cattedrale stessa, c’è un trattamento eccezionale del pellegrinaggio stesso e questo si esprime soprattutto attraverso la singolare esaltazione iconica del pellegrino San Giacomo, immediatamente sotto il soffitto a cassettoni del grande baldacchino, sul quale convergono e lo proteggono le trentasei colonne salomoniche, splendenti nella loro splendida superficie dorata.
Più che di una scultura o di un’immagine, si tratta di un grande gruppo scultoreo, composto da ben undici grandi figure. In posizione centrale e preminente si trova San Giacomo in abito da pellegrino, accuratamente decorato con stampe verdi e oro; indossa una tunica e un mantello di fattura naturale, oltre a un cappello a tesa larga, ripiegato sul davanti. Nella mano destra tiene un lungo bastone con una zucca, sormontato da un cono appuntito, mentre nella mano sinistra regge il libro delle Scritture, appoggiandolo al fianco, come si addice al suo status di apostolo. La figura è straordinariamente aggraziata e snella, con le pieghe della tunica che accennano in modo espressivo alla posizione di cammino. Il volto, con lo sguardo lontano e l’espressione esultante, i capelli lunghi ondulati e dorati e la barba, tutto in armonia con l’oro delle vesti, è in sintonia con la regale raffinatezza dei personaggi che sta ritraendo e che lo onorano. Infatti, ai piedi dell’Apostolo pellegrino, quasi trasfigurato, inginocchiati ai suoi piedi e che lo circondano ci sono quattro re ispanici, coperti da ampi mantelli e cappe di ermellino. Non indossano corone, ma allargano le braccia, rendendo ben visibili nelle loro mani i corrispondenti scettri reali. Secondo il Libro II della “Fábrica della Cattedrale di Santiago”, si dice che l’autore del gruppo scultoreo, Pedro del Valle, volesse rappresentare quattro grandi re, riconosciuti benefattori della causa jacobea e, nello specifico, della cattedrale: Don Alfonso II, che la realizzò; Don Ramiro I, che concesse il voto a questa santa chiesa; Don Fernando V, che conquistò Granada e concesse i voti detti “de Granada” e Don Felipe IV che donò mille scudi d’oro e altre importanti rendite per il sostegno del culto jacobeo nella cattedrale.
Ma oltre a questa corte reale che si prostra e rende omaggio al suo patrono, il grande pellegrino, una colorata rappresentazione della corte celeste, composta da otto grandi angeli, si trova ai lati, tenendo con le mani e sulle spalle il grande soffitto a cassettoni del baldacchino. È circondato anche da altri angeli, in immagini più piccole, ma in un atteggiamento analogo di sollecitudine.
Infine, come se collegasse le due parti dell’ambiente creata sotto il grande baldacchino, c’è qualcosa come un’abbagliante porzione di cielo o di gloria, molto di gusto barocco e senza dubbio ispirata alla “Gloria del Bernini” in Vaticano.
È composta da piccole nuvole arrotondate, come volute che girano su se stesse, e, in mezzo a queste, angeli e teste alate di piccoli angeli, e inoltre, espandendosi in tutte le direzioni e incorniciando tutto, fasci di raggi luminosi e splendenti, come se un grande sole, percepibile solo attraverso questi raggi, fosse dietro di essa, fondando e proteggendo tutto. Vista di fronte, e dal presbiterio, questa rappresentazione abbagliante sembra arrivare all’altezza dei piedi del pellegrino San Giacomo, che sembra così camminarci sopra; è un effetto che, insieme alla presenza della corte regale e angelica, dà l’aspetto di un’esaltazione, una vera e propria apoteosi o trasfigurazione del pellegrino San Giacomo e, con lui, dello stesso pellegrinaggio jacobeo, alla cui esaltazione tutto è consacrato.
La scena dell’esaltazione di San Giacomo Pellegrino è, vista nel dettaglio, il vero centro e cuore della cappella maggiore, che, dalla parte più centrale e profonda, si estende e avanza in colonne salomoniche fino a riempire l’intero presbiterio. Ognuna delle 36 colonne è un vero e proprio fuoco ardente, come se una forza interiore incontenibile facesse attorcigliare i fusti su se stessi e ondeggiare, mentre una potente forza vitale interna si sprigiona in improbabili forme vegetali: tralci, grappoli d’uva, una portentosa trasformazione della materia inerte in materia vivente.
Nella parte più alta della pala si trova la rappresentazione di San Giacomo cavaliere, combattente in Clavijo. Come se contravvenisse alla legge di gravità, questa immagine di San Giacomo, su un grande destriero possente e pieno di spirito, si alza sulle zampe posteriori e proietta le zampe anteriori in avanti e verso l’alto, come se abbozzasse un salto ardito sul grande vuoto dello spazio della cattedrale.
Molto spesso in casi come questo, in cui il cavallo dell’Apostolo ha le zampe anteriori sollevate nel vuoto, toccando il suolo solo con le zampe posteriori, uno o due dei nemici vengono utilizzati per appoggiare il cavallo, facilitando così l’equilibrio dell’intera scultura. Questo è il caso della maggior parte delle rappresentazioni di Santiago Matamoros. Ma questo non è il caso del Matamoros sul baldacchino della cappella maggiore: i mori sconfitti, separati dal cavallo, sembrano più che altro in procinto di precipitare nel vuoto della chiesa.
È stata fatta una classificazione tipologica della grande varietà di rappresentazioni di Santiago Matamoros, che può essere ridotta a quattro: Guerriero a cavallo, Pellegrino a cavallo, Apostolo a cavallo e Cavaliere a cavallo. Nel caso che stiamo analizzando, quello dell’altare maggiore, si tratterebbe in linea di principio di un guerriero a cavallo: l’abbigliamento di un guerriero a cavallo è chiaramente visibile nelle braccia, nelle gambe, nel tronco e nelle calzature adatte al combattimento. Ma anche gli attributi del pellegrino sono visibili su di loro: sul mantello rosso, un mantello da pellegrino con conchiglie a smerlo; è anche coperto da un cappello a tesa larga, anch’esso con conchiglie a smerlo nella piega della tesa anteriore, con fibbie incrociate.
Nell’insieme spicca il bianco splendente del cavallo. Già quando l’Apostolo appare al re Ramiro per incoraggiarlo alla battaglia, gli rivela che lo vedrà su un cavallo bianco. Oltre alla nobiltà universalmente attribuita al cavallo, indispensabile nella realtà come nelle rappresentazioni artistiche di qualsiasi guerriero vittorioso, qui abbiamo la distinzione che deriva dal suo candore incontaminato. Secondo gli etnologi, è convinzione universale che il colore bianco del mantello conferisca al cavallo un aspetto più gradevole, un carattere di eccellenza che li rende particolarmente inclini alla vittoria o al successo nelle imprese. Nel Libro dell’Apocalisse, si vede Dio cavalcare un destriero bianco, seguito dagli eserciti celesti anch’essi su cavalli bianchi. Conosciamo anche San Venceslao che, durante la battaglia di Chlume del 1126, viene visto incoraggiare i soldati boemi contro i tedeschi su un destriero bianco.
Si può dire che l’espressione Santiago Matamoros ha fatto fortuna, nel senso che il suo uso si è generalizzato attraverso i secoli ed è arrivato fino ai giorni nostri. In realtà, va anche sottolineato che è certamente molto infelice riferirsi così all’Apostolo, anche se nei Vangeli viene chiamato Figlio del Tuono. L’espressione “uccide” (qualunque essa sia) non corrisponde ad alcun dato biografico, né, propriamente, ad alcuna creazione leggendaria o popolare. È solo un modo per esprimere la convinzione che l’Apostolo sia venuto a difendere la civiltà cristiana, incoraggiando e aiutando i soldati cristiani che hanno combattuto e sono morti per essa sul campo di battaglia.
Inoltre, l’aspetto bellicoso di un personaggio nell’esercizio della violenza combattiva è notevolmente attenuato dall’uso sulla sua figura dei segni e degli emblemi del pellegrino, che sono indiscutibilmente segni di pace. A ciò si aggiunge il fatto significativo che in molte di queste immagini di San Giacomo, come in quella che corona la cappella principale, la spada brandita dall’Apostolo è una spada fiammeggiante, con una lama ondulata che simula la fiamma. È una delle poche spade, se non l’unica, che non è stata concepita come arma da guerra, ma con una portata fondamentalmente simbolica o cerimoniale. È, ad esempio, la spada con cui viene spesso rappresentato l’arcangelo San Michele, a simboleggiare la sua funzione di difesa della luce contro le tenebre. È anche la spada che, secondo il racconto della Genesi, Dio pone alle porte del paradiso, una volta espulsi Adamo ed Eva, per significare in modo permanente il divieto di tornare all’albero della conoscenza del bene e del male.
La terza delle grandi rappresentazioni iconografiche dell’Apostolo Giacomo sull’altare maggiore è anche quella più vicina al livello in cui si trovano i fedeli nella chiesa, che possono persino accedere facilmente al “camarin” dove si trova l’immagine per toccarla, abbracciarla e baciarne la fascia. Questo è il Santiago che riceve, che incarna e in cui si fa subitanea l’azione del ricevere e dell’accogliere, davanti al pellegrino e per lui. È il Santiago dell’abbraccio. Attraverso questo abbraccio, nella sua dimensione fisica, si realizza l’incontro tanto desiderato e a lungo cercato tra il pellegrino e l’Apostolo.
Carro Santamaría, nel suo lavoro sull’altare maggiore della Cattedrale di Compostela, osserva che l’impossibilità di soddisfare “il desiderio di un contatto diretto con le reliquie, sia esso fisico o semplicemente visivo, rendeva necessaria la creazione di una paraliturgia che soddisfacesse le aspirazioni del pellegrino a un contatto diretto al momento dell’arrivo alla basilica dell’Apostolo”. Essa c’è, e come vedremo, ci sono prove grafiche che questa “paraliturgia” dell’abbraccio è diffusa almeno dal XV secolo.
Questo atteggiamento ricettivo e accogliente nei confronti del pellegrino è il dato che maggiormente mette in relazione il San Giacomo seduto della cappella maggiore con quello altrettanto seduto del bifacciale del Portico de la Gloria: una rappresentazione iconica dell’atteggiamento di ricezione, assistenza e accoglienza: è la posizione di colui che, seduto all’ingresso della sua casa, appoggiato al suo bastone, attende e accoglie il pellegrino viaggiatore, rendendogli palpabile il raggiungimento della meta tanto attesa e tanto faticata.
L’immagine dell’altare maggiore ha subito nel corso della storia importanti trasformazioni morfologiche, in risposta allo sforzo di rendere la figura dell’Apostolo sempre più vicina a quella di un pellegrino, e quindi di facilitare in qualche modo la simpatia e l’identificazione con lui da parte dei pellegrini che si recano nella grande basilica e salgono al camarin per dargli il tradizionale abbraccio.
Seguendo il corso delle trasformazioni a cui abbiamo accennato, si può dire che questa venerata immagine, nel corso di una storia che inizia nel primo quarto del XIII secolo, ha presentato fino a tre aspetti diversi.
Nella prima delle sue conformazioni morfologiche, l’immagine, così come uscì dalle mani degli autori della cerchia di Maestro Mateo nel 1211, in occasione della consacrazione della cattedrale, doveva apparire molto simile a quella che compare all’inizio del Libro I, Capitolo I, del Codex Calixtinus. Infatti, come sottolinea lo storico e archeologo Ambrosio de Morales, l’immagine rappresentava l’Apostolo “che benedice con una mano e un libro nell’altra”.
Nella stessa ottica, il canonico, storico e archeologo Carro García osserva: “l’immagine dell’Apostolo era in pietra, dorata e policroma; l’Apostolo era seduto; con una mano benediceva e nell’altra teneva un libro”. E continua la descrizione affermando che “portava al collo una collana d’argento dorato; e sul suo capo pendeva dalla volta della cappella una corona, anch’essa d’argento e dorata”.
Ci sono numerose prove dell’esistenza di questa corona, e persino della “coronatio peregrino rum”, un rito o una cerimonia in cui alcuni pellegrini (almeno si dice dei tedeschi) avevano il privilegio o l’abitudine di toglierla e metterla sul capo, in una breve e simbolica incoronazione: come l’Apostolo stesso appare incoronato come vincitore dopo il suo martirio, così anche il pellegrino, vittorioso dopo aver superato con successo la difficile prova del pellegrinaggio, viene ricompensato con la sua “coronatio” sull’altare dell’Apostolo. Ma il fatto è che, essendo stato sottoposto per secoli a continue manipolazioni, il suo deterioramento era inevitabile, al punto che in un inventario del 1648 si legge: “l’Apostolo ha una collana d’argento e una corona della stessa, che pende dal suo capo, di cui mancano alcuni pezzi”.
Tuttavia, anche prima delle modifiche introdotte in epoca barocca, esistono due testimonianze grafiche che mostrano come l’immagine avesse già subito trasformazioni significative molto prima delle modifiche apportate nel XVII secolo (1671-1676).
Una di queste testimonianze, a cui abbiamo già fatto riferimento, compare nel Tumbo B, una raccolta di documenti prodotti tra il 1346 e il 1354. L’immagine dell’Apostolo si trova sotto un disegno schematico del baldacchino di Gelmirez (che si mantiene fino al baldacchino di Fonseca), ma già in una posizione molto diversa e che non assomiglia affatto a quella del Codex Calixtinus. L’Apostolo è raffigurato in posizione seduta, con il nimbo e con il pastorale a forma di tau nella mano destra, mentre nella sinistra regge un cartiglio sul quale si legge “Sanctus Iacobus”. Sulla porzione di mantello blu che copre il braccio sinistro sono presenti quelli che sembrano essere tre smerli da pellegrino.
L’altra testimonianza a cui ci riferiamo, dell’ultimo quarto del XV secolo, corrisponde a un’incisione del Cartulario dell’hospital di Saint Jaques de Turnoi: il santo, anch’esso seduto e ancora senza mantello, appare sotto un disegno del baldacchino tardogotico di Fonseca della seconda metà del XV secolo.
Se passiamo dalla struttura morfologica di questa immagine alle modifiche introdotte nella seconda metà del XVII secolo, vedremo che le differenze non sono molto significative: Secondo Carro, sul suo capo è stata posta un’aureola, senza cappello; il mantello e la tunica sono stati ritoccati e decorati; è stata realizzata una nuova mano per reggere il bastone, ora lungo e con una zucca, anche la mano sinistra è stata ridisegnata; è stato composto il cartiglio e aggiunta la seguente iscrizione: Hic est corpus divi Iacobi Apostoli et hispaniarum Patroni. In effetti, l’immagine mostra l’indice della mano destra rivolto verso il basso, in direzione del luogo del tempio dove sono conservate le spoglie dell’Apostolo. È tutto molto significativo: il San Giacomo “moderno”, potremmo dire, vestito da pellegrino, rimanda a molti secoli fa: all’Apostolo, presente (hic est) nelle spoglie mortali custodite nella sua tomba.
La novità più rilevante e quella che meglio si inserisce nell’intento di dare un aspetto più tipicamente pellegrino è la presenza di un mantello sopra la tunica. Opera di Juan Figueroa, fu donata da Fray Antonio de Monroy, arcivescovo di Santiago de Compostela tra il 1685 e il 1715.
Fin dalla sua collocazione, questa “esclavina” è quella che riceve gli abbracci dei fedeli, tanto che, dopo 300 anni, il suo deterioramento era molto evidente, logorato, non solo dagli abbracci, ma anche dalle aggressioni di chi, con coltelli e altri arnesi o addirittura a morsi in alcuni casi, si dedicava a saccheggiare le pietre di grande valore. Per tutti questi motivi, il Capitolo ha deciso prima di ripararla e poi di sostituirla nell’Anno Santo del 2004 con una replica di Fernando Mayer. È un po’ più pesante dell’originale, ora nel museo della Cattedrale, e le pietre preziose sono state sostituite da repliche sintetiche.
Come abbiamo detto, i segni e gli emblemi del pellegrinaggio, una volta trasferiti sull’immagine di San Giacomo pellegrino, hanno continuato a caratterizzare tutte le altre rappresentazioni iconografiche dell’Apostolo.
Arrangiamento e libera traduzione Mauro Sala.